16, novembre 2022
di Domenico Galbiati
Quale proiezione temporale attribuiamo al fenomeno delle migrazioni? Intanto che ci affanniamo in una sarabanda di parole che, anziché difendere i confini secondo le mitiche attese della destra, innalza steccati tra i paesi del vecchio continente e lo sospinge verso una crescente irrilevanza, immaginiamo che i flussi di migranti siano destinati ad esaurirsi o almeno assestarsi, entro quale lasso temporale?
Pensiamo davvero di farla finita erigendo muri , senza accorgerci che, in tal modo, non facciamo altro che tirar su le pareti del nostro carcere? Oppure pensiamo che si tratti di un processo francamente strutturale e di talmente lunga durata da doversi spalmare, quasi ne diventi una costante, almeno sui molti decenni che restano al XXI secolo? È una domanda dalla quale tutti ci si tiene alla larga, come se si avesse paura di guardare in faccia davvero, fissandolo negli occhi, un processo che, in fondo, ci destabilizza e ci allarma, più di quanto siamo disposti ad ammettere, anche sul fronte di chi pur non condivide le posture muscolari del governo. Eppure, è una domanda cui non dovremmo sottrarci.
Per “governare” determinati eventi occorre farsene un’immagine quanto più possibile realistica e quando si affronta un guado è sì essenziale conoscere la profondità delle acque e la portata del fiume, ma soprattutto è importante sapere a che punto si è della traversata. E le nostre società pur tormentate, ma sostanzialmente soddisfatte e pingui se confrontate con le aree del mondo meno sviluppate, a che punto sono della faticosa salita a quel crinale che nasconde le valli e le praterie di un nuovo mondo, del quale pur già avvertiamo un indistinto brontolio lontano, senza comprendere se siano venti di guerra o di pace?
Non possiamo camminare a tentoni e governare i fenomeni migratori giorno per giorno e neppure aiutando gli immigrati a costruire una condizione di possibile sviluppo, com’è giusto, là dove sono nati, se non circoscriviamo tutto questo in una nuova cornice, cioè nella consapevolezza che siamo ineluttabilmente incamminati verso la formazione di società multietniche, multiculturali e multireligiose.
Questo avviene per le ragioni più immediatamente evidenti, per sfuggire alle guerre, per il divario economico e per quello demografico, per ragioni geo-strategiche. Eppure, c’è a monte una ragione sovraordinata, che trascende le altre e semplicemente risponde al “genio” dell’umanità, a quella spinta innata ed incoercibile ad accrescere, arricchire, approfondire le relazioni che, da sempre, hanno rappresentato la chiave di volta del progresso morale e civile dell’umanità che oggi sembra avvicinarsi ad un passaggio assolutamente nodale della sua vicenda.
Insomma – dobbiamo rendercene conto – anche noi stiamo migrando, non meno di chi giunge da noi. Migriamo nel tempo, da una stagione della storia ad un’altra.
Domenico Galbiati
Foto RAINews
Anche noi in cammino con i migranti – di Domenico Galbiati – Politica Insieme
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