di Domenico Galbiati
23 dicembre 2022
Sosteneva Mino Martinazzoli che, per quanto la politica sia importante, la vita è più importante della politica; e, si può aggiungere, più imprevedibile e più ricca, mai scontata, intessuta di sentimenti e di emozioni, di quelle ragioni del cuore che fanno tutt’uno con quelle della mente in un insieme inestricabile. Significa che la politica, per quanto nulla debba trascurare delle mille ramificazioni secondo cui si dispiega la vita delle persone e delle comunità, non può fondarsi su sé stessa, ma ha bisogno di trarre alimento da un’ultima radice più profonda.
Quando pretende di essere autosufficiente rischia di coltivare il sentimento di un’onnipotenza che non le appartiene, di rattrappirsi in un approccio tecnocratico oppure di cedere a suggestioni e lusinghe ideologiche. Per quanto scorra nell’alveo dell’ opinabile, la politica aspira – o almeno così idealmente dovrebbe essere – ad orientare il potere secondo un ordine di valori che, sia pure in forma di differenti declinazioni, riconducano alla verità di ciò che è più autenticamente umano.
Le forze politiche nella nostra tradizione ed in quella europea hanno un’impronta che non si esaurisce nel pragmatismo empirico dei partiti americani. Al contrario, esibiscono un’ ascendenza filosofica, un afflato antropologico. Rispondono, anche quando non mettano espressamente a tema l’argomento, ad una concezione dell’uomo e della storia che rappresenta la fonte da cui trae origine una visione, le linee di forza di un campo magnetico che assemblano in un “progetto” quell’ insieme di opzioni programmatiche che, senza questa coerenza intrinseca, si disperderebbero in una pluralità disordinata ed informe.
In questo quadro la virtu’ dei “popolari” è, appunto, quella di mantenere vitale ed aperto il rapporto tra la vita e la politica, sottraendo quest’ ultima alla melassa ideologica di chi immagina di imbragare i processi della storia, costringendoli dentro un abito mentale presupposto a monte. Al contrario, i popolari sanno che non esiste alcuna formula, non c’è una sorta di algoritmo della storia, capace, di per sé, di dare conto dei suoi sviluppi. La storia è libera ed aperta davanti a noi, non è prigioniera di una qualche legge intrinseca che la determini meccanicamente, cosicché l’ideologo di turno possa pensare di “possederla”.
“Popolarismo” è sinonimo di libertà, di creatività, di apertura alla realtà nella sua immediatezza piuttosto che all’idea secondo cui ce la rappresentiamo. È indice della capacità di coltivare quella “de-coincidenza” del pensiero e della vita, di cui parla Francois Jullien, che, da filosofo ateo, sostiene, esplorando il Vangelo di Giovanni, come il cristianesimo, anzi Cristo sia l’unica possibile fonte della “novità” cui incessantemente tende la vita.
Il popolarismo è adesione e coerenza a principi, criteri, istanze originarie che permangono stabili e, allo stesso tempo, sistema di valori aperto, induttivamente capace di apprendere dall’esperienza vissuta. È il rispecchiarsi di quell’interiorità che rende viva e vitale la persona, nella dimensione più vasta di una comunità che, in quanto tale, diventa popolo, cioè condivide attese, progetti, finalità e speranze. Corpo solidale che cammina dentro la storia e la costruisce, secondo la concezione lineare del tempo che, introdotta dal cristianesimo, supera ed abolisce quella soffocante circolarità dell’eterno ritorno in cui persistono i nazionalismi e le posture ideologiche di ogni genere.
Se la radice originaria – che, nel nostro caso, si rifa’ ad una visione cristiana dell’uomo e della vita – ha un ruolo fondativo inamovibile per chiunque vi si ispiri, a prescindere dai diversi cammini che ognuno ha percorso nella quotidiana querelle della politica attiva, il risveglio “popolare”, cui assistiamo da tempo e più incalzante dopo la consultazione politica dello scorso settembre, nulla ha a che vedere con la cosiddetta ricomposizione della diaspora. Non si tratta di rimettere insieme schegge di un passato importante, ma che appartiene ad un tempo “altro”. E’ necessario capire se e come l’ispirazione cristiana, la cultura di stampo personalista che sottende, sia in grado di intercettare le trasformazioni che si accavallano le une sulle altre in questa fase, ad un tempo, problematica ed affascinante.
Le convergenze che anche INSIEME auspica sono possibili solo affrontando questi tornanti della storia. Consapevoli della tradizione da cui veniamo, ma altrettanti coscienti della necessità di costruire percorsi inediti che siano all’altezza della sfida epocale da cui siamo investiti.
I popolari e la radice comune – di Domenico Galbiati – Politica Insieme
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COME È POSSIBILE!!!!!