di Domenico Galbiati
21 FEBBRAIO 2023.
Era inevitabile che i risultati delle ultime elezioni, sia politiche generali, sia quelle regionali, facessero risaltare ancora una volta l’entità del fenomeno dell’astensionismo. Un dato su cui hanno, invece, glissato un po’ tutti. Vincitori e vinti.
Entrambi i fronti si sono limitati a parole di circostanza.
L’astensionismo, infatti, fa comodo ad ambedue gli attori del bipolarismo maggioritario, nella misura in cui, contenendo l’elettorato, incrementa il peso specifico dei reciproci perimetri di appartenenza e d’apparato.
Si autoescludono, in sostanza, ampie fasce di un elettorato meno accessibile ai partiti e poco o nulla prevedibile in quanto all’espressione del consenso.
Fa comodo soprattutto a chi intende proporre la riforma “presidenzialista” della Costituzione e trae spunto anche da questa oggettiva difficoltà della rappresentanza. La quale, al contrario, e a maggior ragione, chiede di scongiurarlo.
È vero che non si può ricusare l’esito di un voto che vede, comunque, compromessa la sua piena valenza e neppure accogliere ciò che suggeriva Massimo Maniscalco nel suo bell’articolo di due giorni fa sul desolante astensionismo. Eppure, il problema dell’astensionismo va affrontato seriamente, non fatto soltanto oggetto di appelli e perorazione alla buona cittadinanza.
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