La luna de settembre ha ju cierchie tunne; A revederce bella, tra maggie e giugne
[Intervento di Franco Cercone tenuto nella conviviale A.I.C. (Accademia Italiana della Cucina) delegazione di Isernia e L’Aquila: anno 2010]
Questo distico dal forte valore proverbiale, assai noto fra i nostri pastori transumanti, si rinviene nel II volume degli Usi e Costumi abruzzesi del De Nino ed esprime con maggior realismo rispetto al noto verso dannunziano (settembre andiamo, è tempo di migrare) un malcelato senso d’angoscia per l’imminente partenza per la Puglia, preannunciata dall’ultimo plenilunio estivo.
Ed all’angoscia si accompagnava la tristezza per il lungo soggiorno nella “desolata pianura apula”, come scriveva Francesco Bruni nel 1855 nell’Opera Canti del mandriano abruzzese, una pianura senza soluzione di continuità e dove non riecheggiavano “le dolci melodie della zampogna abruzzese”.
Ma se era “silente” la musica, non altrettanto era la poesia; sicché alcuni pastori di Villetta Barrea, di Pescasseroli, di Scanno, di Leonessa e di Castel del Monte hanno saputo trarre ispirazione dal silenzio dei pascoli, interrotti solo dai campanacci d’armento e dal latrare dei cani custodi.
Ed è proprio uno di tali poeti, Cesidio Gentile, che ci permette di entrare nel vivo del tema, scelto per questa simpatica conviviale patrocinata dalle delegazioni dell’Accademia Italiana della Cucina di Isernia e L’Aquila, presiedute autorevolmente dalla prof.ssa Giovanna Maj e dal Dr. Luigi Marra.
Del poeta pastore Cesidio Gentile, nato a Pescasseroli nel 1847, si è interessato particolarmente Benedetto Croce nella sua Storia del Regno di Napoli, allorché nell’”Appendice” a tale importante opera (“Due Paeselli d’Abruzzo”), traccia un breve lineamento storico di Montenerodomo e Pescasseroli, rispettivamente paese d’origine dei Croce e dei Sipari, famiglia cui apparteneva la madre del filosofo.
Il Croce ebbe la possibilità di rinvenire un poemetto di Cesidio Gentile, in cui il poeta pastore di Pescasseroli immagina di colloquiare con un altro pastore di Scanno. Costui aveva ricevuto dalla moglie una lettera in cui essa rivelava le insidie che attentavano al suo onore due signorotti di Scanno e nello tesso tempo la fine della provvista dei viveri.
Il pastore risponde alla moglie con il seguente sonetto, che fa vibrare il nostro animo per la freschezza delle immagini ed il commovente contenuto:
Faccio una prece all’eccelsa Regina
Che non ti faccia mancar cosa alcuna.
Meno la vita mia così tapina,
Mi lagno spesso della mia fortuna,
che devo star da te tanto lontano,
tu negli Abruzzi ed io nel verde piano.
Fatemi almeno il core aver contento,
fa’ che nessuno con te si dorma accanto;
ed io, pascolando il bianco armento,
sempre all’amore tuo vado pensando.
Cara consorte, mettici il talento,
cerca d’avere d’onestate il vanto;
rinnova la fedel moglie d’Ulisse,
come il poeta a noi ce la descrisse.
Due importanti aspetti emergono da questa poesia, legati alla lunga assenza degli uomini occupati nel Tavoliere: le insidie cui le donne rimaste sole erano esposte in paese e la fine delle scorte alimentari della casa, soprattutto nel momento critico della “costa di maggio”.
È in tali frangenti che emerge il valore delle donne abruzzesi e molisane, le quali assurgono ad un ruolo di vere e proprie eroine anche quando, dopo l’Unità d’Italia, vedranno partire i loro uomini oltre Oceano ed assumeranno la triste nomea di “vedove bianche”.
La scrittrice inglese Anne Macdonnell sa cogliere in modo mirabile nel suo noto libro di viaggio In the Abruzzi (Londra 1909) la situazione psicologica in cui versavano le nostre donne, uno status psicologico che ci è offerto dal famoso quadro Bestie da soma del Patini. Scrive infatti la Macdonnell:
“In Abruzzo alla donna spettano tutti i lavori, specialmente quelli faticosi. Ci sono dei luoghi dove a malapena ci si rende conto della presenza degli uomini ed in cui è la donna a dominare la scena. Il lavoro domestico e la gravidanza costituiscono solo una parte della sua vita. Lei affastella il legname per l’inverno, lei cuoce il pane, lei fila la lana ed il lino; tinge i tessuti, fa i vestiti e bada alle pecore per uso domestico. Lei costruisce persino le case, è uno straordinario facchino e con portamento maestoso porta sulla testa quello che vuoi, dal bagaglio più pesante ad un aratro, oppure una lettiera di ferro”.
Ma v’è di più. È la donna che custodisce i segreti delle erbe medicamentose e nel tramandarne i poteri salutari alle future generazioni fu spesso accusata di ‘stregoneria’. Fu proprio questa preziosa conoscenza che permise alle nostre comunità di cibarsi di erbe di campo e di sopravvivere in occasione delle frequenti carestie, come quella terribile del 1764. Ce lo ricorda appunto la Statistica Murattiana del 1811.
È la donna ad essere depositaria di miti e leggende, di canti popolari, di rituali magici e di proverbi tramandati attraverso il racconto orale accanto al camino, nelle lunghe ed interminabili serate d’inverno. Grazie alla memoria delle nostre nonne, un patrimonio culturale di inestimabile valore si è sottratto così alla distruzione del tempo ed attraverso il racconto orale è pervenuto fino a noi contribuendo alla conoscenza delle complesse radici della nostra società.
Il culto così intenso in Abruzzo ed in Molise, professato alla Vergine ed a molte Sante, non è altro che la proiezione della funzione e del ruolo preminente esercitato dalla donna nella nostra società. Fra quest’ultime vanno annoverate soprattutto le Sante galattogene, come Sant’Agata, Santa Scolastica e Sant’Eufemia, preposte alla salvaguardia del seno materno, perché il latte della madre era l’unico nutrimento su cui le donne dei ceti agro-pastorali potevano contare.
Non è questa la sede per dilungarci in tale affascinante tema storico – religioso e per analizzarne tutti gli aspetti. Una cosa però va detta a mo’ di conclusione: la storia d’Abruzzo e Molise è stata scritta nel corso dei secoli principalmente dalla donna. Ed alla donna ogni nostro paese e ogni nostra contrada dovrebbe erigere un monumento che tramandi ai posteri il suo eroismo ed il senso etico con cui ha plasmato tutta la nostra vita.
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