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IL VERBO «PECURÀ»

di Franco Cercone

Articolo pubblicato alla pagina n.31 del Bollettino Trimestrale ASTRA

[Tradizioni Popolari Abruzzesi. Anno II Numero 2 (gennaio-febbraio-marzo) 1974]

Questo strano verbo è particolarmente usato nella Valle Peligna ed anche nel chietino, nel senso di guardare, osservare.

A Cansano, mio paese nativo, l’espressione «PECURÀ MOJ» equivale a «ma guarda un po’!».

Tale verbo è strettamente collegato, almeno ritengo, ad un’area geografica come quella peligna, la cui attività principale, da tempo immemorabile, è stata sempre la pastorizia.

In un primo momento, forse, il verbo «pecurà» ha avuto soltanto il significato di «guardare le pecore», anche se in latino «pecus» indica il bestiame in genere.

Il Finamore a tal proposito nota solo quanto segue: Pecurà, musare, guardare attentamente, come fa la pecora. Semplicemente «guardare».  

Nelle società primitive i beni erano costituiti essenzialmente dal bestiame, che pertanto doveva essere sorvegliato e difeso. Il potere esercitato dal capo sul gruppo era in relazione non solo alla sua forza fisica, bensì anche al bestiame posseduto.  

E poiché il bestiame significava ricchezza, da pecus è derivato il termine «pecunia».

Successivamente, grazie all’economia dello scambio, il concetto di ricchezza si allarga per comprendere non solo il bestiame, ma anche i prodotti della terra, utensili, armi e così via. Aumenta così il numero delle cose da «pecurà››, cioè da guardare, sorvegliare. Il verbo «pecurà» si stacca così dal suo primo ed unico oggetto, il bestiame, ed assume il significato più vasto di osservare.

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