Un’antica tradizione delle nostre terre
[Articolo pubblicato in «ABRUZZOSETTE», Settimanale indipendente fondato da Remo Celaia, Anno XIII n. 2 del 18 gennaio 1979 L’Aquila.]
di Franco Cercone
Al turista frettoloso che raggiunge Pacentro si apre subito davanti agli occhi la realtà di una nuova vocazione e cioè quella turistica e gastronomica, confermata dai numerosi ristoranti tipici che vanno sorgendo un po’ ovunque in questo paese da considerarsi tra i più belli d’Abruzzo. Pochi però si soffermano ad osservare i suoi monumenti artistici e gli incomparabili scorci che hanno come scenario finale le torri del castello, teatro di lotte violente fra Cantelmo e Caldora e tantomeno i magici presepi che vengono allestiti nelle case private e nei luoghi pubblici.
L’ultimo grande artista del presepio pacentrano è stato Giuseppe Avolio, che morto sedici anni fa ha lasciato tuttavia ai suoi paesani l’impronta di un certo stile, di una vera e propria scuola nella composizione delle figure e del paesaggio che animano la Sacra Rappresentazione.
L’erede di questa antica arte pacentrana è oggi il prof. Francesco Buccitelli, validamente assistito dalla sorella Vera, nella cui abitazione il presepio, composto secondo i canoni di G. Avolio, occupa una intera stanza. I personaggi che affollano il luogo della Natività e creati per lo più – particolare degno di nota su cui torneremo appresso – nei primi decenni del nostro secolo, presentano misure diverse e sono in cartapesta o terracotta.
Le statuette più grandi raggiungono circa 75 cm., sono collocate all’inizio dello scenario mentre le più piccole, di 25 cm., sono poste in fondo alla parete e ciò dunque in ossequio a quelle leggi prospettiche spesso carenti nei famosi presepi settecenteschi napoletani, i quali comunque hanno esercitato una forte influenza su quello pacentrano. In quest’ultimo, come mi ha precisato il prof. Buccitelli, la capanna non assume un posto fisso per cui il presepio pacentrano risulta, ad una attenta osservazione, anno per anno, diverso e perciò ricco di inventiva e fantasia.
Sulla rivista Civiltà della Campania (n.1 dic. 1974) Domenico Rea ha osservato che i famosi presepi napoletani conservati nel Museo di San Martino costituiscono “per scenografia e paesaggio, un’imitazione abbastanza al naturale della scenografia e del paesaggio urbani napoletani, in cui una volta trionfava l’idea del mercato bazaar…”
Il che significa che fra scenario del presepio e quello della vita quotidiana esistono strette relazioni ed il primo è spesso uno specchio fedele del secondo. In tal senso il presepio pacentrano è più sobrio di quello napoletano e non presenta una vasta gamma di personaggi dai caratteristici mestieri, forse perché l’abruzzese fin dai tempi lontani, è stato solo pastore e contadino. Nel primo mancano quei personaggi allegri e scanzonati, colti sorridenti nell’attività quotidiana, come nel famoso Presepio Cuciniello del Museo San Martino[foto2], oppure modellati come quelli della Sacra Rappresentazione di Andrea Perucci (1651-1704), la cosiddetta “Cantata dei pastori”, nella quale i doni portati da questi ultimi alla sacra famiglia consistono “in un cesto di pomodori alla Madonna, un corno contro la jettatura a San Giuseppe ed una seggiolina a Gesù Bambino” (A. Perolini Il Presepio popolare italiano, pag.13,Roma dic.1972-genn.1973).
Le statuette pacentrane invece si presentano con volti austeri che a stento trattengono quell’atavico senso di solitudine, frutto anche dello storico isolamento della regione, che sonnecchia un po’ nel cuore di tutti gli abruzzesi.
Anche la capanna perciò – che è il cuore del presepio – risente nella concezione pacentrana di questa particolare atmosfera. Il Bambino è semplice, San Giuseppe ha lo sguardo di un uomo vissuto sui campi, mentre la Madonna, che si presenta come una povera contadina, ci rammenta i versi danteschi del XX canto del Purgatorio: “…dolce Maria…/povera fosti tanto / quanto veder si può per quell’ospizio / ove ponesti il tuo portato santo”.
Fra i personaggi che animano il presepio pacentrano un cenno a parte meritano le contadine dell’area peligna riprodotte nei costumi tipici dei paesi d’origine. Giuseppe Avolio infatti, per aver modellato le sue statuette nei primi anni del nostro secolo, ci ha offerto la possibilità di ricostruire con una certa fedeltà sia la foggia che i colori dei tessuti adoperati per le varie componenti del costume. Per quanto ci risulta mancano in Abruzzo esempi di presepi sceneggiati derivati dal dramma liturgico medioevale o da sacre rappresentazioni, come quella allestita a Greccio da San Francesco e di cui Tommaso da Celano ci ha lasciato una palpitante descrizione. Il cosiddetto “Presepe vivente” rappresentato a Rivisondoli, dopo gli entusiasmi iniziali, è andato infatti man mano perdendo quell’importanza che all’inizio sembrava rivestire, dimostrando ancora una volta come sia necessaria alla continuità di tali manifestazioni una solida eredità tradizionale che nel caso di Rivisondoli manca del tutto, essendo il “Presepe vivente” sorto ex novo per esigenze turistiche.
Queste sono ovviamente solo alcune fra le numerose considerazioni che il presepio di Pacentro, magistralmente allestito dal prof. Buccitelli, suscita all’osservatore. Perciò su questo importante tema di vita tradizionale torneremo a parlare al più presto fra le pagine di Abruzzo Sette.
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