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L’USO SAPIENTE DELLA PAROLA

La Moschea di Samira di Pierfranco Bruni

di Roberta Mazzoni *

L’opera “La moschea di  Samira” (Milella) di Pierfranco Bruni si presenta come una mescolanza di poesia e di prosa che si fa essa stessa poesia, per l’uso sapiente della parola e la musicalità della resa. Il luogo diventa non luogo perché li abbraccia tutti, da oriente a occidente, è spazio dell’anima che prende la forma degli spazi che abita.

Samira non è in un luogo, Lei è nei luoghi, è amore che supera l’umano per toccare l’ineffabile, è incontro di uomini, di religioni, di lingue e di Mediterraneo in cui l’acqua è mescolanza di genti e culture. Bruni è un viaggiatore virtuoso che passeggia tenendo tra le mani un blocco bianco su cui prendere appunti, su cui trascrivere suggestioni dettate da ciò che cattura lo sguardo e che va oltre il monumento,  la piazza, il mercato, la casa, per cogliere le sensazioni lasciate dai colori, dai suoni, dagli odori, dai gesti semplici di persone incontrate per caso o vissute per un tempo lungo o breve.

E le idee prendono la forma della poesia che è mistero ed altro al tempo stesso, è incanto di fronte a uomini e luoghi. Qualsiasi tipo di incontro è amore che, al pari della fede, entra inaspettato nel cuore. Nella parte dedicata a Gesù, alla Madonna, Maria di Magdala, Pilato, Pietro, tutto è incentrato sul valore del perdono che viene concesso anche a chi ha peccato, a chi ha ucciso, a chi se ne è “lavato le mani”, perché l’amore puro può tutto. Pilato non ha scelto, è stato scelto e dunque amato.

Gli amori veri, come quello per Samira, in viaggi sia fisici che spirituali, sono un inno a non lasciarsi distrarre da cose senza importanza e a vivere nell’immediatezza dell’attimo presente che diventa subito passato. Le emozioni non devono rimanere tali ma trasformarsi in sogno. L’amore è qualcosa di magico o misterioso come i personaggi mitologici che hanno riempito questi luoghi con le loro presenze: Odisseo, Circe, Didone…

Gli amori veri come quello per Samira non muoiono mai perché non hanno un tempo, sono sublimazione e ponte verso l’ineffabile e l’intangibile. “Samira è tempo perduto e ritrovato”.

P.S. Queste, di getto, le mie impressioni: non me ne voglia l’autore. D’alto canto chi scrive, lasciando la sua opera nelle mani dei lettori.

*Ordinaria di Italiano. Marche

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