Pescara, 11 maggio 2022. Vengono ormai dalle maggiori Agenzie del mondo (dai trattati fra Stati, ai comitati di esperti internazionali, all’UNESCO, all’Unione Europea) documenti, studi, relazioni e protocolli che gli Stati concordano di seguire come guida per gli adeguamenti normativi e come risposta rapida agli eventi imprevisti. Si risponde così all’esigenza di seguire la rapida evoluzione di certi settori della vita economica o sociale; essi si raccolgono sotto il nome di SOFT LAW.
Nel campo dell’ambiente e del verde urbano in Europa abbiamo una corposa mole di documenti e indirizzi di soft law, che riguardano le “infrastrutture verdi”, uno dei due pilastri sul quale si poggia la lotta al cambiamento climatico; l’altro pilastro è la riduzione di emissione di gas serra.
Già il nome “infrastruttura verde” offre immediatamente la dimensione di intervento necessario: solo attenti studi, progettazione, realizzazione e protezione porterà risultati.
Oltre alle soft law europei, esistono anche una serie di indirizzi nazionali: ad esempio quelli del comitato scientifico per lo sviluppo del verde urbano, costituito dalla legge 10 del 2013, ed una serie importante di protocolli di buone pratiche e regolamenti, alcuni diventati legge nei CAM (Criteri Minimi Ambientali) Decreto Ministeriale.
Esse mirano alla crescita ed alla cura delle “infrastrutture verdi”, alla difesa del suolo e della sua permeabilità, perché questo è l’unico modo per rendere resilienti le nostre città, non c’è altro mezzo. E questo è un fatto incontrovertibile.
Questa mole ormai imponente di documenti ci dice come dobbiamo progettare le nostre città, indica una visione per renderle resilienti e tante pratiche da seguire: moderni manuali di progettazione, dal marciapiede alla città; che sono a disposizione delle Amministrazioni e molte già li studiano e li applicano.
A Pescara, invece, assistiamo da tempo a disorganiche trasformazioni che vanno esattamente in direzione contraria, in ritardo di almeno mezzo secolo.
Per esempio, in caso di lavori pubblici stradali in luoghi alberati, esistono una serie di prescrizioni: come evitare il taglio delle radici, e in caso sia impossibile, come procedere con lame affilate, disinfettare il taglio, inserire nuova terra fertile, utilizzare dei diffusori delle sollecitazioni a compressione dovuto al peso delle auto, utilizzare solo materiali drenanti per far passare la pioggia.
E invece…
In questi giorni assistiamo a un vero dissesto arboreo: su via Castellamare (la Strada Parco) le radici degli alberi sono tagliate e annegate nel cemento.
Nelle strade alberate dai pini, come viale Kennedy e via Luisa D’Annunzio, le radici sono strappate e risepolte nell’asfalto, ripristinando l’esatto contesto asfittico che ha generato la fuoriuscita delle radici in cerca di aria e acqua.
In via Pepe si sarebbe potuto fare un progetto verso la nuova città, in occasione dei lavori che hanno interessato il fosso Bardet e le tubature di convoglio acque meteoriche: dentro la soft law si avverte che queste sono le occasioni per cercare di “stombare” i fossi tombati e ripristinare la permeabilità del terreno con giardini della pioggia per raccogliere l’acqua piovana sul terreno; invece nulla di questo e, anzi, già che c’erano, hanno tolti i pini perché di troppo, e troppo compromessi dagli scavi.
Appare così chiaro che a Pescara il dibattito culturale e progettuale non ha intaccato minimamente il settore dei lavori pubblici e del verde urbano che viaggiano come universi paralleli e non come applicazione di un disegno organico, attuale e concordato.
Probabilmente a Pescara non è ancora il tempo della Soft Law e della visione d’insieme di una città resiliente. A Pescara ora è il tempo del Far West.
Il Comitato Direttivo della Sezione “L. Gorgoni” di Italia Nostra, Pescara.
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