di Michele Rutigliano
Politicainiseme.com, 11 febbraio 2024. Da un po’ di anni a questa parte, ogni volta che la Svimez pubblica il Rapporto annuale sul Mezzogiorno, veniamo puntualmente assaliti dallo sconforto.
Com’è possibile che i giovani, soprattutto laureati e diplomati, vogliono andarsene dal Sud per andare a lavorare al Nord, in Europa, o addirittura in America o in Australia?
Perché, nonostante i miliardi della spesa pubblica, dei fondi comunitari e ora del Pnrr, le città meridionali continuano a spopolarsi e a invecchiare?
E perché i giovani che restano non vogliono metter su famiglia e le coppie non vogliono fare figli?
Potremmo continuare, così, per ore e ore. Con questa frustrante giaculatoria dei perché e dei percome, senza arrivare ad uno straccio di conclusione. Che non siano poi le solite, farcite di allarmismi, di grida di dolore o di fosche previsioni per il futuro. Mettiamo da parte, per favore, le continue recriminazioni sull’impotenza o sull’insipienza della politica.
La verità è che non possiamo dare la croce addosso sempre e solo alla politica. Con la politica si può cambiare molto. Ma non possiamo chiederle di risolvere tutto. Nella Storia ci sono tanti altri fattori, diversi dalla politica, che hanno trasformato mentalità, simboli e costumi. Ed è per questo, se vogliamo essere intellettualmente onesti, che non possiamo passare sotto silenzio le responsabilità degli imprenditori, dei sindacati e di tutti quegli attori che a vario titolo rappresentano la cosiddetta società civile.
In poche parole, se il treno si è fermato e non riparte più, non è che possiamo incolpare gli sventurati passeggeri. I quali, a conti fatti, sono gli unici a pagare per i ritardi e gli errori delle alte sfere. Per fortuna, anche al Sud la realtà è in costante mutamento. Sta evaporando, e finalmente, quella mentalità che pretende tutto e subito dallo Stato. Senza nessuna assunzione di responsabilità da parte di chi, in quanto attore, contribuisce alla vita del foro pubblico. Per fortuna, dicevo, sta emergendo anche al Sud un senso civico e una coscienza critica che guarda in tutte le direzioni. Lo sforzo comune, allora, deve essere indirizzato a contrastare il declino del Mezzogiorno. Un declino che coinvolge non solo i piccoli comuni ma gran parte delle zone rurali e delle sue aree interne.
Ed ecco allora prospettarsi soluzioni diverse. Penso ai benefici che possono arrecare al Mezzogiorno il Terzo settore, l’economia sociale di mercato, l’economia solidale. E in genere tutto quel sistema economico che gira intorno all’ impresa e all’economia fondata sul cooperativismo e non solo sulla competizione e sul profitto. Attenzione, però! Non sto parlando di un’economia terzomondista o sudamericana. No. Sono due cose diverse. Sto parlando di quel modello economico e produttivo che ha avuto successo in Emilia-Romagna, in Toscana, Lombardia, Veneto, Liguria. In quelle stesse Regioni dove il reddito, l’occupazione e il benessere e quindi, più in generale la qualità della vita, vanno al galoppo. Mentre in molti territori meridionali, (non in tutti per fortuna), si procede ancora…. con la camminata veloce.
Vogliamo fare qualche esempio di territorio del Sud dove il Terzo settore potrebbe dare una spinta forte al rilancio dell’economia? Prendiamo la Basilicata. Una Regione che, insieme alla Calabria, oscilla quasi sempre tra il penultimo o, addirittura, l’ultimo posto nelle classifiche nazionali. Diciamo subito che il terzo settore è presente in Basilicata nei settori dell’assistenza, dell’educazione, della cultura, dell’ambiente, della salute e della solidarietà. Secondo gli ultimi dati ufficiali dell’Istat, quelli del 2019, il terzo settore occupa nella Regione circa 14 mila persone, pari al 4,4 % dell’occupazione totale, con una quota superiore alla media del Mezzogiorno( 3,9 %) e inferiore a quella nazionale (5,1 %). Contribuisce, inoltre, al 3,6 % del valore aggiunto regionale, con una quota in linea con la media del Mezzogiorno e inferiore a quella nazionale (4,4 %).
Anche le cooperative sociali svolgono un ruolo importante. Operano prevalentemente nei servizi sociosanitari, educativi e culturali. E si caratterizzano per una forte integrazione con il sistema pubblico, da cui dipendono in larga misura per il finanziamento e l’affidamento dei servizi. Mentre le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale sono molto attive nei settori dello sport, del tempo libero, della cultura e dell’ambiente.
Ci sono prospettive di sviluppo di questo settore in Basilicata?
Certamente. Tra le diverse opportunità ci sono i fondi e le misure previste dal Pnrr che destina 50 milioni di euro per il 2023 a interventi sociali per contrastare la povertà educativa in tutto il Mezzogiorno. Sempre il Pnrr prevede azioni per rafforzare la digitalizzazione, l’innovazione, la sostenibilità e l’inclusione sociale, ambiti nei quali il terzo settore può svolgere un ruolo di protagonista. Per realizzare quest’obiettivo, però, è necessario che sia sostenuto da politiche pubbliche efficaci e da una maggiore disponibilità di risorse finanziarie. E non dimentichiamo infine quali sono le principali sfide che il Mezzogiorno, e in particolare la Basilicata, dovrà affrontare nel prossimo futuro, per raggiungere uno livello di sviluppo che possa avvicinarsi sempre più a quello delle regioni del Nord.
E allora, la prima sfida per la Basilicata sarà la diversificazione della sua economia. Per creare nuove opportunità di lavoro e stimolare la crescita economica. In secondo luogo, la Regione dovrà attrarre più investimenti industriali per creare posti di lavoro e stimolare l’economia locale. Infine, la nota più dolente di tutte: la mancanza di infrastrutture, in particolare nel settore dei trasporti. Una mancanza che limita la sua capacità di attrarre investimenti e sviluppare il suo commercio.
Per quanto riguarda, infine, la questione sociale, la Basilicata dovrà concentrare i suoi sforzi nel contrasto all’emigrazione. Dovrà trovare modi e mezzi per trattenere i suoi giovani e porre un argine all’invecchiamento della popolazione, a fronte di un pauroso calo delle nascite. È del tutto evidente allora che, con questi scenari all’orizzonte, il Sud e la Basilicata, avranno sempre più bisogno di nuove energie. Così come la Regione, che tra pochi mesi andrà alle urne, avrà bisogno di una nuova classe dirigente. Per affrontare insieme un altro ciclo della sua storia, possibilmente più dinamico e dignitoso di quello, un po’ deludente, del suo recente passato.
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