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I CATTOLICI A TRIESTE: LUCI ED OMBRE

di Domenico Galbiati

Trieste, 14 luglio 2024. I cattolici – ha sostenuto Papa Francesco a Trieste, parlando del loro necessario impegno politico – devono “non tanto pretendere di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico”.

Si tratta, nella sua apparente semplicità, di un’affermazione densa ed importante, che, se ben compresa, indica un metodo, traccia un percorso e segnala una finalità di cui dobbiamo farci carico. Vorrei prendere da qui le mosse per tentare un ragionamento che, conclusivamente, riconduca poi a queste stesse illuminanti parole del Santo Padre.

La “Settimana Sociale dei cattolici in Italia” non ha fatto fino in fondo i conti con un dato di realtà da cui non si può prescindere: l’ormai affermato e consolidato pluralismo delle opzioni politiche dei cattolici. Non si tratta della cosiddetta “diaspora” se, come tale, intendiamo il processo di frammentazione della rappresentanza politica dei cattolici che ha fatto seguito alla conclusione dell’ esperienza storica della Democrazia Cristiana. Si tratta, piuttosto, di un processo di maggior rilievo e di più antico corso che risale, almeno, agli anni del Concilio ed ha visto una riflessione ed un’articolazione interna al “mondo cattolico” di grande rilievo culturale, sociale e politico, il quale, non a caso, ha coinciso con il superamento del “collateralismo”. Come ci poniamo oggi di fronte ad un tale dato di fatto?

Ci vorrebbero, anzitutto – e non ci sono – luoghi, promossi dallo stesso mondo ecclesiale – che non li prevede – in cui fraternamente, nel segno superiore della fede condivisa, cattolici sinceri e praticanti che la pensano, su molti argomenti di capitale importanza, in modo diametralmente opposto, potessero confrontarsi e spiegarsi fra loro. In quello spirito di reciproca e fraterna correzione che anche il Vangelo raccomanda.

Non deve forse cominciare da qui, in questa dimensione di immediata prossimità, l’esercizio di quella “carità politica” che Papa Francesco ci invita poi ad ampliare all’intero contesto civile, senza barriere ideologiche od altre remore?  Senza la pretesa che nessuno convinca o converta nessun’altro al proprio orientamento elettorale, ma, se non altro, per una schietta chiarificazione di argomenti e contro-argomenti, che, tra l’altro e pur indirettamente, finirebbero per offrire un’opportunità di rasserenamento del complessivo confronto/scontro in atto nel Paese.

Solo così potremmo ancora parlare di “mondo cattolico”, cioè di una presenza – oggi di fatto dissolta – che abbia quei caratteri di organicità e, insieme, di reciprocità solidale, di articolazione interna plurale eppure unitariamente connotata, che i greci esprimevano con la parola “cosmo”, inteso come “ordine” la cui armonia rappresenti, di per sé , un valore che vada al di là della somma delle sue parti.

In caso contrario – ed è la condizione attuale – possiamo dire, tutt’al più, di un’ “area cattolica”, cioè di un perimetro ideale in cui convivono, più o meno consonanti oppure più o meno divergenti, esperienze ed indirizzi di pensiero, gruppi d’opinione diversi e differenti, i quali, tradotti sul piano dell’ opzione politica, è del tutto naturale ed ovvio che si attestino su posizioni alternative o addirittura antitetiche. Come interpretiamo questa situazione fattuale?

Il pluralismo politico dei cattolici è una dissipazione da superare, una condizione cui applicare processi di “reductio ad unum”, cioè tenendo pudicamente sullo sfondo, pur con la sottile ipocrisia di non ammetterlo, l’obiettivo illusorio di una sostanziale, mitica unità politica dei cattolici, sia pure espressa in forme adatte al tempo?  Magari immaginando – e qui l’ipocrisia è macroscopica, ma soprattutto l’assunto è smentito da una lunga, costante, mai interrotta esperienza da decenni a questa parte – che cattolici sparsi, da destra a sinistra, passando per tutte le sfumature di grigio di un “centro” sognato, possano davvero convergere e far causa comune, addirittura orientando il decorso del “discorso pubblico”, almeno quando si affrontino argomenti vitali per una concezione cristiana di cosa siano l’ uomo, la vita, la storia?

Pensiamo che basti l’ appello al “bene comune”, l’invito alla “formazione delle coscienze”, meno ancora l’invenzione di neologismi sghembi come “spartito” per ottenere o favorire un esito del genere? Oppure, pensiamo che non so quale accorta mediazione, tra cattolici di una parte e cattolici della parte avversa, consenta di codificare posizioni che siano compiutamente espressive di una corretta e coerente lettura del momento storico, rispettosa delle categorie interpretative che ci offre la Dottrina Sociale della Chiesa?

In altri termini, ammesso che sia possibile, una tale mediazione – o più probabilmente “compromesso” – gravata, su ambedue i fronti, dalla coabitazione politica con forze di diversa matrice, non risulterebbe addirittura controproducente e fuorviante rispetto all’obiettivo di restituire alla società italiana, in una fase talmente intricata, una voce schiettamente di ispirazione cristiana?

La quale, oggi soprattutto, richiede una giusta misura di apertura, inclusività ed accoglienza, ma, ad un tempo, franchezza, rigore e talvolta pure una serena intransigenza.

Ma – ed è il secondo corno del dilemma – non dobbiamo, piuttosto che un impoverimento, considerare il pluralismo politico-elettorale dei cattolici come una risorsa e, perfino una opportunità, una ricchezza, sia pure, in un certo senso, paradossale?

Non è fors’anche il portato di una libertà di spirito ancora viva, di una autonomia di giudizio e di una facoltà critica ancora non omologate e spente, frutto dell’ assunzione di responsabilità personale, anche quando giunge a valutazioni che non si condividono?

Non è, a suo modo e nel contempo, il rifiuto di una ideologizzazione della visione cristiana e l’affermazione piena della “laicità” dell’impegno politico, fondato sulla franca e libera assunzione di una personale responsabilità che, solo in forza di tale “singolarità” è componibile in un concerto collettivo?

Ma se tale è, il quadro complessivo in cui operiamo, non è forse legittimo o, meglio, necessario e finanche doveroso, che tra le varie opzioni che i cattolici esprimono, ve ne sia almeno una, la quale cerchi faticosamente di indicare la via che conduce ad una proposta “politica”, nel senso proprio del termine, che sia di “ispirazione cristiana”

Accetti, cioè , l’impegno e il rischio di cimentare una concezione cristiana della vita nella nuda concretezza dell’ accadere quotidiano, con lo spessore inedito del nostro straordinario momento storico?

Superando d’ un balzo – perché di questo si tratta – quel sottile eppure, fin qui, impenetrabile confine tra “pre-politico” (qualunque cosa voglia dire) ed impegno espressamente “politico”, che neppure a Trieste è stato attraversato.

Si tratta del passo che, emblematicamente e con tutte le insufficienze di cui siamo perfettamente consapevoli, INSIEME, accogliendo l’ispirazione di Monsignor Simoni, ha voluto compiere da ormai diversi anni a questa parte. Consapevoli – e questo carattere è dirimente – che oggi proporsi come “forza politica d’ispirazione cristiana” significa, prioritariamente, non rivolgersi ai propri correligionari, bensì cercare quegli argomenti e quelle parole nuove dello stesso lessico politico, che sappiano dar conto, anzitutto a chi proviene da altre culture, della ricchezza umana e civile intrinseca ai valori che noi abbiamo gratuitamente ricevuto in dono con la fede.

Dopo di che i cattolici votino come meglio credono. Ciascuno secondo l’ inclinazione della sua libera coscienza, meglio se verificando, almeno i cattolici tali non solo sociologicamente, l’effettiva rispondenza dei loro assunti con i capisaldi del Magistero e della Dottrina Sociale della Chiesa.

Ad ogni modo, i cattolici non hanno il diritto di trattenere per sé i talenti di cui dispongono in ordine alla vita civile e politica della “polis” che abitano, né di trafficarli malamente senza verificare l’ approdo, in quanto ad incremento di valore umano del tessuto civile, del loro spessore.

Si torna, a questo punto, alle parole iniziali di Papa Francesco. Per i cattolici, com’è successo in altri passaggi anche dolorosi della loro storia, non si tratta oggi di rincorrere il potere, una sorta di politica di potenza, ma piuttosto di esercitare, attraverso una raffinata intelligenza politica delle cose, una funzione che potremmo dire, a suo modo, pur laicamente, “profetica”, comprendere, cioè, quali siano le tendenziali linee di sviluppo del nostro tempo con quel po’ di anticipo che consenta, fin dove possibile – ed è il compito della politica – di guidarne l’ evoluzione, anziché osservarne passivamente gli sviluppi e patirne gli effetti.

I cattolici a Trieste: luci ed ombre – di Domenico Galbiati – Politica Insieme

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