Non dimenticare di rimuovere il bidone nero, ormai finito sotto la barca del pescatore
Pescara, 24 settembre 2022. Frequento abitualmente la spiaggia libera subito a sud del torrente Fosso Vallelunga, a dieci minuti a piedi dalla mia abitazione. Le mie incursioni sull’arenile sono molto mattutine e quindi ho modo di osservare i dintorni, a quell’ora poco o per nulla frequentati dai bagnanti.
Ma non da chi, già prima del mio arrivo, al crepuscolo, ha già percorso in lungo e in largo questi spazi alla guida di un grande setaccio meccanico trainato da un trattore gommato, per ripulire la sabbia dalle tracce dei villeggianti del giorno precedente. Non ho mai guardato cosa quel mezzo tirasse su da quel continuo rimestare, ma immagino tante cicche di sigarette e poi oggetti più disparati, di metallo e soprattutto di plastica, persi o diciamo “distrattamente” abbandonati.
Ma a seguire la strada tracciata dal vaglio mi sono spesso accorto che parecchie cose rimanevano non raccolte, sempre più frantumate e nascoste tra i granelli di rena, fino a diventarne parte intima e inseparabile.
Mi sono chiesto sempre quanto fosse opportuna quella operazione, fatta a valle, quanto invece non investire più massicciamente sulla comunicazione e quindi sull’educazione dei frequentatori dell’area a rispettare questa delicata interfaccia mare-terra, tanto dinamica quanto fragile nella sua quotidiana trasformazione.
Ho visto mezzi meccanici “dragare” anche dentro in primi cm di acqua per rimuovere alghe e quant’altro costituisse ostacolo, anche visivo, al piacevole e salutare passeggio dei bagnanti. So bene trattarsi di un ambiente altamente antropizzato e come tale ovviamente gestito, perché i frequentatori ne traggano il giusto godimento. Tutto questo nelle spiagge libere, perché poi altrettanto avviene, e con maggiore cura, in quelle soggette a concessione dove la pressione “turistica” è maggiore come conseguentemente la richiesta di pulizia.
Nel tratto in esame, la parte a monte della spiaggia è separata dal lungomare da una pinetina, che si estende proprio dal Fosso Vallelunga verso sud, per poco più di 800 metri. Si tratta del comparto di Località Vallelunga della Riserva Naturale Statale S. Filomena, istituita nel 1977, che con maggiore superficie si rinviene a nord, tra Pescara e Montesilvano. Verso il mare l’area protetta è delimitata da una staccionata in legno lungo cui, tra diversi rilievi dunali, si affacciano diversi varchi per l’attraversamento.
E proprio su queste staccionate ho rinvenuto i cartelli di attribuzione alle spiagge in esame del marchio “bandiera blu”, per via del rispetto di una serie di parametri, tra cui la qualità delle acque, la gestione ambientale, l’informazione e l’educazione ambientale, e servizi e sicurezza. Tutti obiettivi evidentemente centrati, vista la concessione del prezioso vessillo.
Ma a guardare in giro è facile accorgersi che qualcosa non torna, ed in particolare su diversi fronti. Ripulire le spiagge ogni mattina si rende una azione necessaria perché evidentemente, per colpa o per dolo, c’è chi sporca: di ciò sono evidenti le tracce anche dopo il meticoloso passaggio del setaccio. Il che potrebbe anche tradursi in una non incisiva informazione/educazione ambientale degli utenti o in una insufficiente dotazione di attrezzature per la raccolta dei rifiuti (ma se ne trovano di alcune di bizzarre affogate nella sabbia praticamente sulla battigia, come a invitare i bagnanti a lasciavi i propri rifiuti poco prima di entrare in acqua, meno uscendo!).
Rifiuti che invece abbondano copiosi proprio in prossimità della staccionata della pineta, dove forse li spinge il vento ma dove più verosimilmente vengono abbandonati da chi li ha prodotti: sono infilati dappertutto, dai posti di guida di vecchi pedalò fin dentro anfratti cespugliosi che orlano l’area protetta.
Ma è proprio all’interno di quest’ultima che si rinvengono le cianfrusaglie più varie, sicuramente non volate qui da chissà dove ma appositamente lasciate, nascoste sul bordo lato mare del muretto di delimitazione.
Uno spazio verde che seppur protetto appare nel più totale abbandono, anche dal punto di vista vegetazionale, laddove si rinvengono essenze esotiche e infestanti provenienti dal mondo antropizzato circostante.
Immagino si tratti di un’area, essendo Riserva Statale, la cui competenza gestionale non sia in carico al Comune quanto ai Carabinieri Forestali con cui, se fosse così, andrebbe almeno aperta una interlocuzione collaborativa affinché l’impegno dell’Amministrazione comunale sul fronte della sostenibilità trovi qui elementi di rafforzamento e consolidamento e non di deperimento.
Oltre alle scogliere frangiflutti posti sulla linea dell’orizzonte, sulla riva di questo tratto di mare emergono, in sequenza ripetuta, i cosiddetti “pennelli”, opere “idrauliche” realizzate anni fa per contrastare l’erosione della spiaggia. Il primo di questi manufatti che si incontra a sud del Fosso Vallelunga, croce di chi passeggia per la difficoltà di superamento dell’asperità rocciosa, è stato dotato di una sorta di grata per impedirne l’accesso verso il mare (oggi ignorata da tutti, anzi la scogliera è luogo di pesca e stage fotografico molto ambito). Addossato a detta cancellata, fa da lungo tempo bella mostra di sé un bidone nero pieno di rifiuti che, vista la protezione, neanche le mareggiate riescono a rimuovere. Anzi funge da calamita per tanti altri materiali che, per chissà quale e ignota ragione fisica, vanno ad accumularsi proprio lì nei dintorni.
Una mattina ne ho parlato con un pescatore, più mattiniero di me, che si è lasciato andare a un lungo elenco di improperi, alcuni poco ripetibili, nei confronti di maleducati e incivili vacanzieri, molto attenti a fruire delle bellezze del luogo ma molto distratti nel momento di lasciare la propria impronta … ambientale sulla sabbia.
Segnalo tutto questo perché l’impegno profuso da tanti non sia vanificato da pochi, magari solo perché insufficientemente informati. Su questo fronte, quello comunicativo, una iniziativa di “pulizia ambientale” di forte richiamo, che veda insieme all’Amministrazione comunale anche i Carabinieri Forestali, i gestori degli stabilimenti, le associazioni e la gente comune, potrebbe essere elemento di ulteriore sostegno per il rinnovo dell’ambito riconoscimento cromatico.
Come prima cosa ridare dignità alla Riserva, quindi, anche con interventi di tutela e presidio, e poi, non ultima, non dimenticare di rimuovere il bidone nero, ormai finito sotto la barca del pescatore.
Giancarlo Odoardi
Giornalista, ecologista, ciclista urbano
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