LET’S GET LOST

Storie di uomini e di jazz

Teramo, 2 maggio 2024. Grati ad uno straordinario artista che ha voluto donare la sua visionaria e geniale interpretazione all’invito a perdersi nella musica, vedendo nella curva di un sax la prua della nave di Ulisse o una sirena a cui non ci si può sottrarre Carmine Di Giandomenico “Let’s Get Lost” L’Associazione Culturale Music By Eder convoca, per giovedì 2 maggio 2024 alle ore 10:00 c/o la Sala Giunta nella Sede Comunale di Via Carducci, Teramo, la conferenza stampa di presentazione dell’edizione estiva di “Let’s Get Lost – storie di uomini e di jazz” Summer 2024.

La splendida cornice di Piazza Sant’Anna ospiterà artisti internazionali che hanno scritto la storia della musica prog, jazz ed elettronica. Interverranno gli amministratori degli Enti patrocinanti:

· Gianguido D’Alberto, Sindaco Città di Teramo

· Antonio Filipponi, Assessore Cultura ed Eventi Città di Teramo

· Andrea Core, Vicepresidente Provincia di Teramo · Salvatore Florimbi, Vicepresidente Vicario CCIAA Gran Sasso D’Italia

· Marco Di Nicola, Presidente B.I.M. Teramo Consorzio dei Comuni Vomano e Tordino

· Eder (Emiliano di Serafino), Presidente Associazione Culturale “Music by Eder”




MAGGIO TEATINO

Presentato il cartellone degli eventi. Vicesindaco de cesare, assessore pantalone e consigliere Giannini: “al via un cartellone vario che animerà tutto il territorio. Grande partenza con i gemelli diversi per san Giustino”

Chieti, 2 aprile 2024. Al via gli eventi del cartellone del Maggio Teatino, più di 80 iniziative che animeranno il territorio di Chieti fino a giugno inoltrato. Stamane la presentazione con il vicesindaco e assessore a Cultura ed Eventi Paolo De Cesare, con l’assessore al Commercio Manuel Pantalone e il consigliere Valerio Giannini.

“Abbiamo costruito un cartellone iconico e identitario per celebrare il Maggio Teatino che comprende circa 80 eventi, si ripete ormai da tantissimi anni e che anche quest’anno ha visto un’attività di cooperazione importante tra l’Amministrazione comunale e le associazioni culturali del tessuto socio culturale cittadino – annuncia il vicesindaco Paolo De Cesare, assessore aa Cultura ed Eventi – : come si può vedere dal programma, è un cartellone ricco di iniziative culturali ad ampio raggio: dall’arte alla letteratura, dai libri,  ai concerti, al teatro, alle mostre. Proponiamo un’attività radicata al territorio, supportata con tanti servizi e mettendo a disposizione location e contenitori, a partire dal museo cittadino civico Costantino Barbella, il teatro Marrucino, piazza Vico, la Villa Comunale, Piazzale Marconi. Un maggio che comincia in grande con la Festa di San Giustino, l’11 maggio è la festa del nostro Santo Patrono e finalmente dopo alcuni anni torniamo a celebrarla nella rinnovata e ritrovata piazza, capiente e costruita per ospitare grandi eventi, nazionali e internazionali, cosa a cui ci stiamo preparando, insieme alla Deputazione Teatrale del Teatro Marrucino. Sabato 11 maggio ci sarà il concerto gratuito del gruppo “I gemelli DiVersi”, conosciuti ed affermati che ha partecipato al Festival di Sanremo e composto canzoni importanti ed hanno avuto una grandissima visibilità con brani celebri quali “Mery” e “Fotoricordo” che hanno caratterizzato un periodo, ma soprattutto in tempi recenti sono tornati ad avere una grande visibilità: nell’ultima edizione del 2024 del Festival di Sanremo si sono esibiti con Mr. Rain in un duetto che ha avuto il picco di telespettatori, sono ora richiestissimi e non è stato facile incastrare la data. Il programma della serata è corposo: si parte dalle 21.00 con i Vaskomania, band ormai affermata dentro e fuori regione, Magia90, una serie di dj famosissimi degli anni’90 con un intrattenimento, uno show a tutto tondo dalle 23.30 fino a tarda serata. A seguire chiuderemo con un gruppo di Dj di Chieti, una testimonianza importante di teatinità: i Marinoise, ovvero Dj Matteo Marinozzi e Paolo Noise. È un programma significativo per la nostra città. I costi della rassegna e del calendario del programma delle feste di San Giustino sono totalmente attinti a fondi di capitoli di sponsorizzazione e a una piccola parte di proventi della tassa di soggiorno che è finalizzata per attività culturali e il turismo. Ringrazio il consigliere Giannini che non fa mai mancare il suo contributo creativo e l’assessore Pantalone per la fattiva sinergia con l’assessorato al Commercio”.

“Si tratta di un cartellone davvero straordinario, perché che unisce un aspetto sul quale stiamo lavorando, la sostenibilità anche economica e finanziaria, viste le condizioni dell’Ente, alla vita in città, due cose che possono coesistere con idee e lungimiranza e programmazione – aggiunge l’assessora Manuel Pantalone – . Abbiamo fatto in modo che ci fosse anche un numero significativo di ambulanti a sostegno della giornata del Santo Patrono per generare respiro al comparto e perché l’evento possa essere un’occasione anche per il tessuto commerciale cittadino. Sono felice che faccia parte degli appuntamenti anche un evento per i giovani cioè la due giorni del 9 e 10 maggio organizzata con la Consulta e l’Ufficio Scolastico e fondi di Abruzzo Giovani, quelli del progetto “Ritorno al Futuro”, l’evento lo presenteremo a breve, coinvolgerà tutti gli studenti della provincia che si cimenteranno in attività artistiche, sia pittoriche sia musicali. Siamo certi di una partecipazione massiva non soltanto dei nostri concittadini, ma dei turisti che verranno in città per un cartellone che sconfinerà anche oltre maggio”.       

“È sempre più difficile mettere insieme un cartellone perché i costi degli artisti e dei servizi negli anni sono quadruplicati e per un Comune in dissesto tutto diventa più complicato – conclude il consigliere Valerio Giannini – . Viene restituita la piazza alla città per San Giustino e sarà già questo motivo di orgoglio e felicità. Questa festa capita di sabato e questo ci ha dato lo spunto di cercare di mettere su un palinsesto che permettesse di far festa fino a tarda notte. Per questo ci siamo rivolti ad un pubblico più giovanile. Abbiamo scelto il tema degli anni’90 perché negli ultimi due anni c’è stato un vero e proprio ritorno di tendenza, sia per cantanti di quel periodo, sia per format di discoteca, dance e commerciali. I Gemelli DiVersi: rappresentano in pieno gli anni’90. Dopo essersi separati, sono tornati insieme con un tour dei 25 anni, “Un attimo ancora” ed è stato un successo incredibile che li ha riportati alla ribalta e a Sanremo, con Radio 105 che segue tutto il loro tour. L’auspicio è che anche le attività recepiscano il messaggio che sarà una notte intensa.  Apriamo e chiudiamo con Chieti”.




IN ONORE DELLA MADONNA DELLA LIBERA

Al via gli eventi legati alle celebrazioni della festa patronale

Pratola Peligna, 2 maggio 2024. Come consuetudine, la tradizione religiosa sarà unita allo spettacolo e promette di offrire tre settimane di gioia, intrattenimento e celebrazione.

L’apertura ufficiale è prevista oggi, giovedì 2 maggio, e si concluderà sabato 18 maggio con il concerto di uno tra i più grandi musicisti e cantautori del panorama musicale italiano,  Alex Britti. Il programma delle festività sarà ricco di iniziative che soddisfano tutti i gusti e le età, offrendo un’opportunità unica per i residenti e le migliaia di visitatori di immergersi nelle antiche tradizioni e nei riti religiosi che caratterizzano questo evento così significativo per la città.

Si inizia domani quindi alle ore 17:30 con l’inaugurazione della Mostra Pittorica e Fotografica “Pratola nell’arte” a Palazzo Santoro Colella. Alle 18,30 invece sarà presente lo chef Davide Nanni in un incontro pubblico per la presentazione del libro “A sentimento”. A seguire, dalle 19 in poi, spazio alla musica a piazza Madonna della Libera con l’accensione delle luminarie che darà il via ufficialmente alla festa.

Domani, venerdì 3 maggio, come da tradizione ci sarà l’arrivo dei pellegrini di Gioia dei Marsi previsto nel tardo pomeriggio. La sera, invece, spazio all’intrattenimento con lo spettacolo del comico Max Giusti accompagnato dalla sua orchestra spettacolo.

Il sabato e la domenica saranno dedicati ai riti religiosi: quest’anno la messa principale nel giorno del Santo Patrono sarà officiata dal Cardinale Gerhard Ludwig Müller. Ovviamente non mancheranno le processioni, i fuochi d’artificio e le bande, tra cui quella dei Granatieri di Sardegna e, la settimana successiva, la Fanfara dei Carabinieri a cavallo, inserita nel 4° Reggimento dell’Arma.

La seconda settimana sarà incentrata sulle realtà locali: due giornate vedranno protagonisti i bambini con “Il paese dei balocchi”. La musica invece sarà al centro dell’attenzione del programma serale: spazio agli appassionati di liscio, balli di gruppo e caraibici in una serata danzante con la partecipazione delle scuole di ballo. Un altro evento in programma è “The Voice Pratola”,  talent show dedicato ai cantanti peligni e, a seguire, spazio alla “Dance Meraviglia” con un trio di Dj che si alterneranno in consolle fino a tarda notte. Special guest del fine settimana sarà Roy Paladini e i “Super Star Show”, il re del pop vincitore dell’ultima stagione di “Tale e quale show”, di Rai 1.

La terza settimana inizierà il giovedì con un viaggio tra i maggiori successi della musica italiana con il concerto dei “Nel mondo e nell’anima”. Il venerdì vedrà protagonista la Compagnia della Rancia con il musical “Cenerentola”. Ed infine il gran finale di sabato 18 maggio: come già detto, prima ci sarà l’esibizione del cantautore Alex Britti e a seguire si tornerà agli anni Novanta e a “La Storia della Dance”, in compagnia del noto dj Dino Brown.

Tra le numerose iniziative non mancheranno altri incontri pubblici con alcuni tra i personaggi più conosciuti della tv. Domenica 12 maggio, sarà presente Giuseppe Pirozzi: l’attore di una delle serie tv italiane più conosciute degli ultimi anni sarà il protagonista di un’iniziativa incentrata sui temi del bullismo e dell’inclusione giovanile. Venerdì 17 maggio l’appuntamento conclusivo: si parlerà di “Cinema, fiction e teatro”, con un’intervista all’attore Gabriel Garko.

Per informazioni dettagliate sul programma completo delle festività e sugli eventi, si possono consultare le pagine social “Comitato Festa Madonna Della Libera 2024”.

Raimondo Onesta




ASPETTANDO IL GIRO D’ITALIA

Un weekend di appuntamenti imperdibili.

Martinsicuro, 2 maggio 2024. Fervono i preparativi in vista del Giro d’Italia nella città truentina che vedrà Martinsicuro città di partenza di tappa il prossimo giovedì 16 maggio. Un evento storico per Martinsicuro che l’amministrazione vuole celebrare al meglio: monumenti principali illuminati di rosa già in questi giorni e tanti eventi preparatori dedicati al mondo delle due ruote, come quelli previsti per questo weekend.

Si parte venerdì 3 maggio in sala consiliare quando alle 21 andrà in scena una serata dedicata al grande campione abruzzese Vito Taccone. Con l’occasione verrà proiettato il docufilm Il camoscio e il borraccino per proseguire con la presentazione del libro “Vito Taccone, il camoscio d’Abruzzo”. In sala sarà presente l’autore Federico Falcone e il figlio del campione, Cristiano Taccone, modera l’incontro Alessandra Renzetti. Sabato  4 maggio, invece, spazio alla musica con il concerto della Fanfara dei bersaglieri “L. Pellas” di Jesolo in piazza Anfiteatro. L’appuntamento è fissato per le ore 21.

Domenica 5 in scena un doppio appuntamento: si parte alle 8 con la gara ciclistica per le vie cittadine Trofeo Delta Costruzioni – Memorial Roberto Celani, mentre nel pomeriggio, alle 17, si torna in sala consiliare per “Una colonna in cerca di autore” un incontro-dibattito con il prof. Tito Rubini moderato da Francesco Cianciarelli. L’evento sarà allietato da Sara Torquati e il suo pianoforte.




OPPOSIZIONE IRRESPONSABILE

Il PCI di Ortona punta a un vero cambiamento

Ortona, 2 maggio 2024. Il Partito Comunista Italiano di Ortona esprime forte disappunto nei confronti del recente comportamento del gruppo di opposizione di centro-destra nel Consiglio comunale. Invece di utilizzare il proprio mandato e il voto politico per bocciare la discutibile amministrazione Castiglione durante l’approvazione del bilancio, hanno preferito dimettersi davanti a un notaio, eludendo le proprie responsabilità e le attese dei cittadini.

Questa decisione rappresenta non solo un gesto di chiara fuga dalle proprie responsabilità politiche ma segna anche il fallimento del progetto politico di “Solo Ortona nella testa”, e del gruppo Fratelli d’Italia e Lega, che ne hanno sposato la causa. L’abbandono di consiglieri e la mancata partecipazione a questo progetto di Ilario Cocciola, candidato sindaco alle passate amministrative del suddetto gruppo, sono la prova evidente delle crisi interne e della mancanza di una visione unitaria e costruttiva per il futuro di Ortona.

Questo comportamento ha contribuito a un’instabilità amministrativa che ha lasciato la città in una situazione di paralisi politica e di mancanza di rappresentanza efficace sul territorio. Inoltre, la gestione provvisoria imposta dal Commissario prefettizio è la diretta conseguenza dell’incapacità di questa opposizione di assumersi le proprie responsabilità governative.

Il PCI di Ortona, in vista delle prossime elezioni amministrative che si terranno la prossima primavera, si impegna a costruire un fronte unico di SINISTRA, che sia capace di opporsi efficacemente sia all’amministrazione Castiglione che ha visto la disastrosa celata convivenza del PD e di Forza Italia, sia all’attuale opposizione “uniti per ortona”, entrambe dimostratesi disastrose per la nostra comunità. Invitiamo tutti i cittadini che desiderano un autentico cambiamento, in un’ottica frontista, a unirsi a noi per restituire a Ortona il ruolo e la dignità che merita.

Il Partito Comunista Italiano rimane al fianco dei lavoratori e dei cittadini  promuovendo una politica di trasparenza, equità e progresso sociale. Ora più che mai, è essenziale concentrarsi su una politica che metta al centro le esigenze reali della gente, piuttosto che i giochi di potere che hanno caratterizzato l’attuale panorama politico. Per un Ortona più giusta e solidale, il nostro impegno continua.

Partito Comunista Italiano –  di Ortona




PIÙ SICUREZZA SUI POSTI DI LAVORO

Dalla manifestazione del Primo Maggio la richiesta Uil Abruzzo

Giulianova, 2 maggio 2024. “Più sicurezza sui luoghi di lavoro”, è la richiesta che arriva dalla Uil Abruzzo che questa mattina ha partecipato, insieme a Cgil Abruzzo Molise, alla manifestazione del Primo Maggio che si è svolta a Giulianova, in provincia di Teramo.

Dopo il corteo che ha attraversato via Matteotti, i delegati sindacali sono intervenuti in piazza della Libertà ribadendo i concetti chiave delle iniziative sindacali in corso, primo tra tutti quello della sicurezza sui luoghi di lavoro. Un tema che il sindacato porta avanti da tempo attraverso la campagna nazionale zero morti sul lavoro, tesa a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sicurezza sul lavoro. Che, secondo il segretario generale Uil Abruzzo, Michele Lombardo “è un’emergenza vera di questo Paese che conta oltre tre morti al giorno. Bisogna intervenire subito. E non con decisioni spot, come l’omicidio nautico. Sì alla patente a punti, ma con vere regole che la rendano afflittiva e funzionale. Crediamo che la vita di una persona non può valere solo 20 punti e che la vita di più persone, come quelle strappate alle famiglie nelle tragedie di Firenze e Suviana, non possano valere complessivamente solo 20 punti”.

Le altre richieste che arrivano dal palco di Giulianova sono la reintroduzione del cartellino identificativo per chi entra nei siti produttivi, per poter verificare la regolarità del rapporto di lavoro, l’estensione completa del codice degli appalti pubblici al settore privato, la definizione dei decreti attuativi ancora mancanti dal decreto 81/2008, la formazione per tutti i lavoratori, soprattutto per chi ha contratti precari.

E poi l’importanza del confronto con le parti sociali, tema sostenuto anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che è stato pubblicamente ringraziato a Giulianova.  “Il presidente Mattarella –  ha sottolineato il segretario Lombardo – ogni giorno ci rende orgogliosi dell’istituzione che rappresenta. Nel discorso di ieri ha ricordato che il movimento sindacale è un interlocutore insopprimibile. Grazie Presidente!”




S-DRAMA SCHOOL

Arotron a lavoro;  educazione teatrale con le classi prime

Pianella, 2 maggio 2024. Prosegue senza sosta il progetto “S-DRAMA SCHOOL” a cura di Arotron di Franco Mannella: un percorso di educazione teatrale iniziato lo scorso marzo a cui partecipano le classi prime della scuola primaria dell’Istituto Comprensivo Statale “Papa Giovanni XXIII” del comune vestino, accolto con entusiasmo dalla coordinatrice del plesso Milena Di Gregorio. Il progetto è stato fortemente voluto dalle maestre, con l’approvazione del Dirigente scolastico D’Aloisio Tommaso; grande l’entusiasmo anche tra le famiglie dei bambini. Le maestre delle classi prime coinvolte sono Lucia Rossi, Aida Di Ghionno, Ivana Ruggiero ed Eleonora D’Intino.

Il percorso, che prevede una lezione a settimana per ciascuna classe, si serve degli strumenti del teatro per accompagnare i bambini in un viaggio alla scoperta delle emozioni, delle loro caratteristiche e delle strategie più sane per riconoscerle, gestirle e viverle, per una migliore relazione con sé stessi e gli altri.

Il teatro stimola i bambini all’espressione di sé, li aiuta a coltivare la creatività e la curiosità, a sviluppare l’empatia e la sicurezza di sé, a socializzare e ad affrontare i “problemi” come opportunità, trovando soluzioni con il lavoro di squadra.

I bambini sono entusiasti del percorso e anche le maestre e i genitori hanno già dato pareri molto favorevoli riguardo all’influenza positiva di questa attività sugli allievi.

Gli operatori che guidano il percorso sono Chiara Colangelo e Alessandro Rapattoni, entrambi attori diplomati all’Accademia Teatrale Arotron nel 2018 e ora attivi in Arotron APS come formatori teatrali e come attori della Compagnia dell’Aratro (Rapattoni è anche regista).

“Ringraziamo famiglie, docenti, dirigenza scolastica perchè il progetto, che si prefigge l’obiettivo di introdurre i bambini al teatro e, attraverso la pratica teatrale, allenare abilità fondamentali per la loro crescita, con particolare attenzione all’ambito relazionale, è stato da subito preso in considerazione e concretizzato” – spiegano Colangelo e Rapattoni.

“La nostra proposta come Arotron – interviene Mannella – è quella di lavorare sul macrotema delle emozioni, con l’obiettivo di sviluppare l’intelligenza emotiva dei bambini, l’empatia, la conoscenza di sé, la corretta gestione del conflitto, l’interazione armonica con i compagni, nella direzione di una buona educazione alle relazioni. Il nostro percorso teatrale permetterà ai bambini di iniziare a scoprire e abitare la varietà delle emozioni umane attraverso lo studio del teatro e con l’ausilio di giochi teatrali”.




PER POI SVEGLIARMI IN UN QUADRO

Presentazione del libro di Valentina Venti – 4 maggio 2024

Sulmona, 2 maggio 2024. Sabato 4 maggio, a partire dalle 17:30, presso la Sala Consiliare del Comune di Sulmona, nell’ambito della manifestazione “Un libro in Comune”, si svolgerà la presentazione del volume “Per poi svegliarmi in un quadro”, opera prima di Valentina Venti, edita da BookRoad – Leone Editore di Monza.

Valentina Venti è nata a Sulmona (AQ) il 14 febbraio del 1976 ed è docente di Italiano e Latino nelle Scuole Secondarie di secondo grado. Da sempre grande appassionata di arte in tutte le sue forme, è soltanto nell’ultimo anno che ha deciso di dedicarsi attivamente alla scrittura.

In questo suo primo libro Valentina parla di sé, del suo essere una donna come tante, che si destreggia tra gestione della famiglia e lavoro. Un giorno, però, quasi per caso, scopre di avere un tumore al seno ed ecco che tutto all’improvviso cambia. La sua vita. Il suo corpo. Le sue emozioni. Il suo modo di affrontare gli ostacoli e di superarli. “Per poi svegliarmi in un quadro” è un viaggio durante il quale Valentina scopre chi è realmente, anche grazie al sostegno delle tante persone che sono riuscite a darle le giuste motivazioni per vincere. Il romanzo di Valentina è dedicato a tutti. Non solo a chi ha affrontato o sta affrontando il cancro, ma anche a chi ha voglia di riflettere sulla paura, la rabbia e le mille sfaccettature della felicità.

Ad accompagnare l’autrice durante la presentazione, interverranno la giornalista Ornella La Civita, l’attrice Maria Francesca Galasso, il giovane musicista Francesco Gasbarre e l’artista Simone D’Amico, le cui tele saranno esposte in sala consiliare per accompagnare il pubblico nella lettura visiva dell’opera di Valentina Venti.

Sarà possibile seguire la presentazione anche in diretta Instagram attraverso la pagina della scrittrice – pensieri_sparsi_di_me (https://www.instagram.com/pensieri_sparsi_di_me?igsh=MTFhaXJiZm05MzlieA==)




CARI GIOVANI

Tra pochi giorni saremo a Siena per festeggiare Santa Caterina, compatrona d’Italia e d‘Europa

L’invito ad essere a Siena mi ha molto sorpreso!

Conoscevo poco la vita di Santa Caterina, al di là di alcuni eventi storici di portata internazionale.

Una donna che ha vissuto il suo tempo!

È la testimonianza più bella che possiamo ricevere. Essere nel tempo e non fuori dal tempo.

Molti esperti ci ricordano che tutti noi rischiamo di vivere in un tempo virtuale.

Pensando a Santa Caterina, in questi giorni è ritornato nella mia mente un suggerimento che ascoltavo quando ero studente: vivere con i piedi per terra!

Cari giovani,

credo che sia l’esperienza più difficile e più impegnativa che ci accompagna ogni giorno e che facciamo fatica ad accogliere. Tutti vorremmo rispondere positivamente. Ma quanta paura!

La scelta davanti a noi è una sola: nascondere la domanda o rischiare iniziando a conoscere la propria vita?

La mia vita ha delle coordinate ben precise, nel tempo e nello spazio.

Chi mi garantisce che queste sono sufficienti per progettare la mia vita ed essere pienamente realizzato?

Caterina da Siena era una donna che, nella sua semplicità, non ha avuto paura del suo tempo perché aveva scoperto che con i suoi talenti poteva essere qualcuno.

Il mondo virtuale ci porta via dal tempo e dallo spazio e ci proietta in un mondo che non è più il nostro.

Da dove partire per imparare a conoscermi? 

Caterina ci dà un consiglio: guarda il Crocifisso!

Solo Lui ci riporta nel tempo e nello spazio perché ci conosce e, soprattutto, è risorto per accompagnarci nel cammino di vita che siamo chiamati a percorrere.

Avere i piedi per terra!

Caterina era una mistica, una donna di preghiera eppure si preoccupava delle vicende umane del suo tempo e dedicava la sua vita a servire i fratelli, nelle piccole comunità o in quelle internazionali.

Ma può una donna che prega avere un ruolo nella storia?

Questo è il grande messaggio che vorrei affidare a voi: se incontri il Risorto sarai sempre protagonista, nelle piccole come nelle grandi esperienze.

Papa Francesco due domeniche fa, prima della preghiera del Regina Coeli ci ha ricordato che il valore di ciascuno non è nel successo!

C’è il successo del mondo virtuale che ci illude e delude e c’è il successo, silenzioso e inaspettato, che ci incoraggia a proseguire nel nostro cammino.

Con i piedi per terra!

Cari amici,

scopriamo la data del nostro Battesimo: quel giorno è iniziata un’esperienza piena di vita. Forse non sempre ne siamo consapevoli!

Vi auguro di scoprire il dono che abbiamo ricevuto e, come avvenne per Caterina, essere nel tempo e nello spazio con fiducia: possiamo costruire un mondo migliore.

Vi aspetto al Santuario di San Gabriele per il nostro appuntamento annuale della Veglia mariana internazionale, Sabato 11 maggio.

Vostro,

Lorenzo, vescovo

APPUNTAMENTI:

Verso il Giubileo 2025

“pellegrini di speranza”

SABATO 11 MAGGIO ORE 15.30

VEGLIA MARIANA INTERNAZIONALE DEI GIOVANI

Santuario di S. Gabriele dell’Addolorata – Isola del Gran Sasso




PRIMO MAGGIO: INIZIATIVE IN ABRUZZO E MOLISE

Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale

Pescara, 1° maggio 2024. “Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale”. È lo slogan scelto da Cgil, Cisl e Uil per celebrare, anche quest’anno, il Primo Maggio. Diverse le iniziative programmate sia in Abruzzo che in Molise, che si aggiungono a quelle organizzate a livello nazionale, a partire dalla manifestazione che si terrà a Monfalcone, in provincia di Gorizia, con la partecipazione dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri, e dal classico Concertone del Primo Maggio a Roma.

In particolare, in provincia di Teramo è prevista a Giulianova, in via Matteotti, a partire dalle ore 9:30, la partenza del tradizionale e storico corteo che si concluderà in piazza della Libertà con gli interventi di delegate e delegati sindacali e con le conclusioni affidate a Maria Grazia Gabrielli, segretaria nazionale Cgil.

In provincia de L’Aquila, la Festa dei Lavoratori si articolerà su tre iniziative finalizzate a diffondere la Carovana dei diritti sull’intero territorio provinciale. Nel capoluogo, a partire dalle ore 8:30, è in programma in piazzale Fonte Cerreto un Flash Mob per denunciare, (ironia della sorte proprio dal 1° maggio) l’impossibilità di utilizzo della Funivia del Gran Sasso, con ciò che ne può conseguire in termini di perdita occupazionale e salariale oltre la compromissione del sistema turistico presente nell’appennino abruzzese.

A Luco dei Marsi, in piazza Umberto I, alle 10:30 è prevista la tradizionale festa delle Lavoratrici e dei Lavoratori, con lo sguardo rivolto alle lotte contadine per l’emancipazione e il riscatto che ancora oggi sono attuali e ci consegnano l’esempio per immaginare il futuro. Le iniziative della provincia de L’Aquila si concluderanno a Sulmona, alle ore 17:00, in piazza XX Settembre, per approfondire tematiche quali il depauperamento del tessuto industriale, lo spopolamento, la carenza di servizi e le aggressioni ambientali.

In provincia di Chieti si segnala, per la prima volta, un’iniziativa unitaria Cgil Chieti e Cgil Molise che si terrà alle ore 9:30 a San Salvo Marina presso il palazzetto dello sport, finalizzata ad un confronto tra le due realtà di confine ed i rispettivi rappresentanti Istituzionali rispetto alla necessità di creare una prospettiva di crescita, occupazione e tutela della salute.

Infine, in provincia di Pescara, oltre al tradizionale appuntamento alle ore 10:00, presso il Palazzo della Provincia con la premiazione del Lavoratore ideale 2024 rendendo omaggio a chi si è particolarmente distinto sul posto di lavoro, si segnala, a Manoppello, alle ore 10:00, in corso Santarelli, un corteo di lavoratrici, lavoratori e cittadini che si concluderà con la deposizione di una corona in onore dei caduti sul Lavoro.

“Un mix di iniziative importanti volte a ricordare e sottolineare l’importanza del lavoro su cui si fonda la nostra Costituzione”, commenta la Cgil Abruzzo Molise.




OMAGGIO A DOMENICO PENNA

Opening Sabato 5 Maggio, dalle 17 alle 19. Palazzo Maccafani, Piazza Maccafani 5, Pereto

Pereto, 1° maggio 2024. L’Associazione Culturale straperetana è lieta di annunciare la mostra “Omaggio a Domenico Penna” che aprirà al pubblico Domenica 5 Maggio.

Domenico Penna (Pereto, 1953-2023) è stato una figura nevralgica per il borgo aquilano, in cui sin dai primi anni di formazione artistica ha deciso di lavorare e vivere, realizzando una vasta produzione pittorica, che spazia da dipinti ad olio su tela, a sanguigne, ad acquerelli, tecnica che ha prediletto sempre di più nel corso degli anni.

Molteplici sono stati i soggetti da lui trattati nel corso della sua attività, dalla ritrattistica al paesaggio, molto del quale legato alla sua terra.

Attento ed acuto osservatore, con grande capacità descrittiva Penna ha saputo sempre restituire, all’interno delle sue composizioni, una straordinaria aderenza alla realtà.

La mostra di Palazzo Maccafani si concentra su un gruppo ben preciso di opere realizzate nell’arco di diversi anni, da una prima Crocifissione del 1973, con campiture di colore larghe e piatte e accensioni cromatiche intense, all’inedito dipinto di una giovane donna (1980), restaurato in occasione della mostra, in cui si riscontrano echi alla pittura di Casorati, al ritratto della figlia Cecilia, ancora bambina, del 1990.

La mostra propone uno spaccato meno noto della produzione dell’artista, sia per il tipo di tecnica usata -molti dei dipinti esposti sono olii su tela- sia per la varietà dei soggetti ritratti, cercando di favorire la sua grande attitudine al colore, sempre più perfezionatasi nel corso dei decenni successivi attraverso l’acquerello.

Si tratta di atmosfere sospese quelle dei ritratti esposti a Palazzo Maccafani, i cui personaggi sembrano fluttuare in un fondo indefinito ed atemporale come il ritratto in primissimo piano di un Santo, o l’autoritratto stesso del pittore.

Nella stanza degli affreschi trova spazio un riallestimento dello studio dell’artista e uno splendido dipinto di Pereto -anch’esso un ritratto, in verità, ma del borgo stesso- realizzato nel 2018.

Nel corridoio attiguo al giardino interno, trova spazio una selezione di lavori a sanguigna, altra tecnica cara all’artista, realizzati tra la fine degli anni ’90 e il 2010.

Domenico Penna ha ricevuto nel 2009 un riconoscimento artistico-culturale dall’Amministrazione Comunale di Pereto, in occasione del Premio Hombres Gian Gabriello Maccafani, per il suo impegno nel valorizzare le manifestazioni locali a sfondo culturale.

A sua firma è infatti il profilo grafico del paese natale, divenuto logo e simbolo di alcune Associazioni e manifestazioni culturali di Pereto. (Gigarte)

Si ringraziano Anna Cristofari e Giovanni Meuti per il prezioso aiuto nella selezione delle opere esposte e per il grande sostegno in questa iniziativa.

La mostra è visitabile il sabato e la domenica dalle 16 alle 20 fino al 26 Maggio.




NEL NOME DI SILONE

La Città di Pescina celebra il 1° maggio. Il ricco programma del mese di maggio 2024

Pescina, 1° maggio 2024. “Nel 124^Anniversario della nascita di Ignazio Silone, la sua Città natia, come tradizione, rispetta le volontà testamentarie, leggendo i suoi brani immortali, da parte degli studenti di tutto l’Abruzzo – così spiega il Sindaco di Pescina, Mirko Zauri, introducendo l’appuntamento previsto per oggi 1° maggio alle ore 10:30 presso la Tomba di Silone e prosegue – intendiamo sempre onorare al meglio il nostro autore con il suo Centro Studi IS, che presiedo, invitando tutta la cittadinanza a partecipare, sotto la Croce, dov’è sepolto il nostro Secondino Tranquilli” .

Soddisfazione anche da parte dell’Assessore alla Cultura Antonio Odorisio per l’intero programma. Dopo i saluti istituzionali dei vertici amministrativi e delle altre autorità locali e regionali, si procederà con le letture, a cura della 3A e 3B dell’Istituto Comprensivo Fontamara di Pescina, con i suoi studenti, guidati dai docenti quali le Prof.sse Patrizia Lolli e Maria Laura Di Sanza, con la guida del Maestro Gabriele Ciaccia, ed a seguire quelle degli iscritti all’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara, guidati dalla Prof.ssa Silvia Scorrano, Geografa, del Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali-DILASS.

I brani noti e meno dei suoi libri saranno ricordati con gli intermezzi musicali, curati dal Maestro Armando Sucapane. “Il mese di maggio – continua il Primo Cittadino e Presidente del Centro Studi IS – sarà ricchissimo di eventi in Città, inseriti anche nelle festività in onore di San Berardo, il Patrono tanto amato dalla nostra comunità”.

In seguito ci sarà la presentazione di una Tesi di Laurea su Pescina, modello per le Aree Interne del Paese e poi sempre per rendere omaggio al suo grande romanziere, una successiva Tavola Rotonda prevista per sabato 11 Maggio (ore 11.00-13.00), con autorevoli relatori sul suo libro: “La scelta dei Compagni“, che riprende una nota conferenza che lo stesso Silone svolse esattamente settanta anni or sono, (maggio 1954), in piena guerra fredda e che vide il celebre autore di Fontamara, già animare il libero pensiero contro le ideologie imperanti, preparando così la nascita della rivista di cultura “Tempo Presente”, (fondata con il filosofo Nicola Chiaromonte), ancor oggi un presidio di diffusione della cultura liberal-democratica, con il sostegno decisivo della Fondazione Terzo Pilastro Internazionale, guidata ora dalla Prof.ssa Alessandra Taccone, anch’essa d’origine marsicana.

Si prosegue con i progetti avviati da anni tra Comune di Pescina, il suo “Centro Studi IS” ed il nuovo “Parco Letterario IS”, inseriti in una rete regionale e nazionale, per valorizzare ancor più la figura siloniana,  a partire dal mondo della scuola e dell’alta formazione per le nuove generazioni, all’insegna dei valori della libertà , della pace e per la civile convivenza di culture e popoli, oggi più che mai a rischio, sull’intero scenario geopolitico internazionale.

In caso di pioggia la manifestazione programmata si svolgerà presso la sala conferenze Ignazio Silone, presso il Teatro San Francesco. Ingresso libero.




PRIMO MAGGIO 1920

Chieti celebra la Festa dei Lavoratori

Chieti, 1° maggio 2024. É un giorno memorabile. Un lungo corteo, partito dalla Villa Comunale, attraversa il Corso Marrucino, cantando Bandiera Rossa al suono della banda di Bucchianico, e  giunge in Piazza Valignani. Ci sono proprio tutti: sarti, calzolai, tipografi, ferrovieri, elettricisti, panettieri, falegnami, salariati del comune, postelegrafonici, pensionati dello Stato. Hanno emblemi e fiori rossi all’occhiello.

Inviato dalla Direzione nazionale del Partito,  alla testa del corteo marcia il deputato Giacomo Matteotti, a fianco  di Guido Torrese, un giovane professore che insegna Lettere italiane e latine nel Regio Liceo Ginnasio  G. B. Vico. Il primo giugno 1919 ha fondato il settimanale socialista La Conquista Proletaria e il 6 luglio  la prima Camera del Lavoro.

Sul palco lo  presenta ai cittadini: ”Il compagno Giacomo Matteotti viene dalla provincia di Rovigo. Irriducibile antimilitarista, si è opposto alla guerra libica e al conflitto europeo. Per punizione lo hanno spedito in Sicilia. Nel 1919 ha guidato le lotte bracciantili nel Polesine e ha subito aggressioni da parte degli agrari. A novembre è stato eletto deputato nel collegio di Rovigo-Ferrara.”

Prende la parola Giacomo Matteotti: “La classe borghese è nemica dei lavoratori. Vogliamo costruire la società socialista non con eversioni violente, ma a gradi, con l’educazione politica delle masse, nelle organizzazioni economiche di classe e nelle amministrazioni locali. I vecchi sistemi amministrativi sono corrotti e inefficienti.” Le sue parole suscitano l’entusiasmo dei lavoratori e l’avversione di nobili e borghesi.

Dopo una bicchierata nella sede della Camera del Lavoro, in via dello Zingaro, accompagnato da Torrese, Matteotti compie un giro di propaganda in Provincia. Incontra alcuni giovani intellettuali, provenienti dalle file liberali, ma orientati a impegnarsi in politica a favore dei ceti più deboli: a Orsogna l’avv. Pasquale Galliano Magno, a Guardiagrele l’avv. Luigi Orlando, a Casoli il farmacista Germano De Cinque, a Bomba il dr. Gabriele Impicciatore, ad Atessa il notaio Ottorino De Francesco, a San Vito l’avv. Antonio Dazio, a Paglieta il geometra Canziano Di Nella e altri. Incontra anche molti contadini. 

I colloqui con Matteotti favoriranno la maturazione politica dei giovani intellettuali (organizzeranno nei loro Comuni sezioni socialiste) e accresceranno nei contadini la coscienza dei propri diritti:  organizzati  in leghe e cooperative, promuoveranno i primi scioperi e rivendicheranno l’occupazione delle terre incolte.

Nelle elezioni politiche d’autunno i socialisti  conquisteranno alcuni Comuni. Giovani borghesi e combattenti reagiranno, organizzando con la violenza i primi fasci di combattimento.

Filippo Paziente




FESTA DI SANTA MARIA DI PENNALUCE 2024

Vasto, 1° maggio 2024. Come da tradizione, domenica 5 maggio 2024, la prima del mese dedicato alla Madonna, la statua di Santa Maria di Pennaluce sarà portata in processione, dalla piccola Chiesa a lei dedicata in località Punta Penna alla Chiesa parrocchiale di San Paolo Apostolo, nel cuore del popoloso e omonimo quartiere.

Questa “prima processione via terra” partirà per le ore 16:30, mentre l’arrivo nella Chiesa di San Paolo è previsto per l’inizio della Messa delle ore 19:00.

Sabato 11 maggio 2024 la statua tornerà nel piccolo Santuario a lei dedicato e inizierà la “seconda processione via terra” con partenza da San Paolo alle ore 15:30, sosta presso il Santuario di Santa Maria Incoronata e arrivo previsto per la MESSA delle ore 19:00. 

Domenica 12 maggio 2024 alle ore 8:30 l’appuntamento è con la “terza processione per mare” con imbarco dal Porto di Punta Penna alle ore 9:00 e sbarco alle ore 10:30. A seguire, ci sarà la Santa Messa nella Chiesa di Punta Penna alle ore 11:00.

Ci auguriamo che in tanti si uniranno alla nostra preghiera partecipando con fede e devozione alle processioni  seguendo la Madonna prima via terra e poi per mare. Affidiamo a Maria ogni proposito con uno stralcio della supplica alla Mamma Celeste scritta da don Gianni nel 2020: “Cara Mamma Celeste, ci rivolgiamo a te per dirti grazie. Il nostro è un atto di riconoscenza per le tante cose che ci hai donato. Grazie per aver detto sì al Signore. Grazie per aver pronunciato il tuo “Eccomi”. Grazie per averci indicato la via del servire.

Vi aspettiamo

don Gianni, don Aro e la Comunità di San Paolo Apostolo




I RISCHI PER LA LIBERTÀ DI STAMPA IN EUROPA

PoliticaInsieme.com, 30 aprile 2024. Quanto è a rischio la libertà di stampa e di comunicazione nelle contrade d’Europa?

La domanda sorge spontanea dopo la pubblicazione del rapporto annuale sulla libertà dei media della Civil Liberties Union for Europe di Berlino, e le cui conclusioni sono che siamo finiti “pericolosamente vicini al punto di rottura” in diversi paesi.

La ricerca è stata realizzata da 37 organizzazioni impegnate nella tutela dei diritti umani in 19 paesi secondo le quali “la libertà dei media è costante declino” in tutta l’UE a causa di danni deliberatamente inflitti o dalla negligenza di molti governi nazionali.

Eva Simon, una legale tra le principali animatrici  di Civil Liberties Union for Europe sostiene che “il declino della libertà dei media va di pari passo con quello dello stato di diritto. C’è una stretta correlazione tra i due. Questo è il programma dei regimi autoritari”.

Lo studio ha tenuto conto dei numerosi casi di minacce, intimidazioni e violenza emersi contro i giornalisti in diversi Stati membri, nonché delle restrizioni alla libertà di espressione e all’accesso alle informazioni in tutta l’Europa.

Il rapporto registra i casi in cui giornalisti di paesi come Croazia, Francia, Germania, Grecia e Italia hanno subito attacchi nel 2023, mentre in Ungheria e Slovacchia sono stati fatti oggetto di abusi e minacce da parte di politici e parlamentari. Inoltre, segnalati i casi di operatori della stampa posti sotto sorveglianza attraverso l’utilizzazione di “spyware” del tipo Pegasus e Predator, come accaduto in Germania, Grecia, Paesi Bassi e Polonia.

La concentrazione della proprietà dei media è definita in Croazia, Francia, Ungheria, Polonia, Paesi Bassi e Slovacchia dove molte società di media sono nelle mani di pochi individui, minacciando il pluralismo.

Particolarmente critica la situazione in Ungheria dove è cresciuto il controllo dei media del servizio da parte del governo e del partito al potere Fidesz e crescenti sono le preoccupazioni per i comportamenti dei governi di Croazia e Italia.




L’ATOMS’ CHIETI VINCE ALL’ESORDIO

Softball, serie B. Contro Grosseto Prova di carattere per le ragazze teatine che conquistano due vittorie importanti per la classifica

Chieti, 30 aprile 2024. Si apre con un doppio importantissimo successo la stagione 2024 dell’Asd Atoms’ Chieti, che vince all’esordio del Campionato nazionale di serie B, battendo il Big Mat Grosseto per 2-1 e 5-3.

I punteggi delle due gare raccontano del grande equilibrio in campo: in gara 1 l’Atoms’ va sotto al terzo inning con il parziale che resta bloccato sullo 0-1 per le ospiti, fino al settimo inning. Quando ormai tutto lasciava immaginare un finale negativo, ecco che arriva la svolta: prima una scivolata del pitcher Anna Salvatore, poi un singolo di Sara Mammarella, aiutata da un’indecisione della difesa, che porta a casa il punto del pareggio.

Si va agli extra inning e l’Atoms’ è bravo a chiudere senza subire punti. Ci pensa poi l’attacco a mettere a segno il 2-1 finale con una bella scivolata a casa base di Margherita Pasqualoni, entrata poco prima proprio per garantire maggiore velocità sulle basi.

Stesso copione in gara 2. Per l’Atoms’ in pedana Giulia D’Aviero e Giorgia Di Santo tengono a bada le mazze toscane. Ma bisogna attendere il quinto inning per mettere a segno i 2 punti decisivi, arrivati grazie a un triplo della stessa Di Santo, che mette il risultato in cassaforte.

Domenica prossima (5 maggio) l’Atoms’ giocherà di nuovo in casa, sul diamante “Tommy Lasorda” di Tollo (gara 1 h.12:00 – gara 2 a seguire) contro il Cali Roma.

E in questi giorni è ripresa anche l’attività giovanile dell’Atoms’, dedicata alle ragazze dai 7 ai 14 anni: tutti i martedì e venerdì, dalle 18 alle 19 a Chieti scalo (campo baseball “Santa Filomena”, in via Amiterno) si terranno le lezioni gratuite dedicate alle ragazze che vogliono provare il gioco del softball.




PALAEVENTI E NON PALAZZO REGIONE

Costantini: l’area di risulta sede naturale

Pescara, 30 aprile 2024. “La sede naturale per ospitare una struttura leggera e modulare, capace di ospitare eventi culturali, musicali, teatrali, artistici ed anche ‘politici’ esiste già. Ed è quella che l’attuale amministrazione comunale ha scelto di occupare, nell’area di risulta, con il Palazzo della Regione Abruzzo”. Lo afferma il candidato sindaco di Pescara per la coalizione di centrosinistra, Carlo Costantini, commentando le proposte della maggioranza relative alla creazione di una struttura mobile che possa ospitare eventi.

“Non serviva l’avvio della campagna elettorale di ‘Giorgia’ – dice Costantini – per scoprire improvvisamente che il futuro di Pescara si gioca anche e soprattutto sulla realizzazione di una struttura capace di ospitare un calendario di eventi e di attrarre turisti e visitatori nella nostra Città. “Serviva unicamente un approccio diverso che non è mai appartenuto all’attuale amministrazione: l’approccio di chi pensa e solo dopo avere pensato realizza”.

“Se l’attuale amministrazione avesse pensato prima di realizzare il progetto per costruire il Palazzo della Regione nell’area di risulta – sottolinea il candidato sindaco – avremmo risparmiato il tempo ed il denaro che occorreranno per tornare indietro ed evitare che l’area più centrale e strategica di Pescara venga occupata da Uffici Pubblici, la cui dislocazione serve, invece, a contribuire alla rinascita delle zone periferiche della Città. Né può accettarsi l’invenzione cervellotica e risibile di un palaeventi da 8.000 posti mobile ed itinerante, tirata fuori solo per non ammettere espressamente che la localizzazione della sede della Regione nell’area di risulta è stata una scelta sbagliata”.

“A questo punto, per completare l’opera, non resta che aspettarsi che qualcuno dell’attuale amministrazione dichiari anche che i problemi della mobilità si risolvono a Pescara con una metropolitana di superficie e non certo con l’occupazione della strada parco da parte di un filobus completamente scomparso dai radar. Quello che purtroppo continuano a dimenticare – conclude Carlo Costantini – è che la consiliatura è finita”.




PREGIUDICATO IL DIRITTO ALLA SALUTE

ASL 1 Avezzano Sulmona L’Aquila: mancano i dispositivi per diabetici

Avezzano, 30 aprile 2024. La nostra Organizzazione Sindacale è stata interessata, nelle ultime ore, da cittadine e cittadini, utenti del Servizio Sanitario provinciale, che ci riferiscono di essersi rivolti alla ASL 1 Avezzano Sulmona L’Aquila, per la somministrazione dei presidi per il rilevamento e la misurazione della glicemia per i pazienti diabetici e, in particolare, i sensori per il controllo glicemico con funzione di allarme in caso di ipoglicemie; detti pazienti, si sono sentiti rispondere che tale fornitura non era possibile effettuarla in quel determinato momento in quanto sembrerebbero essere ancora in fase di definizione le procedure di gara e, pertanto, non ci sarebbero gli approvvigionamenti necessari.

Quanto sopra ingenererebbe, per tutta l’utenza, un arretramento di decenni nel sistema di prevenzione e di cura delle persone affette da patologie diabetiche.

Tale ultima condizione, si aggiunge ad altre segnalazioni pervenute nelle settimane e nei mesi precedenti relativamente ad una carenza in diversi reparti di tutta la Provincia dei dispositivi sanitari e dei farmaci, tra questi, per es. guanti, tappi per catetere, aghi, garze, cotone, ecc.

Infatti, molti reparti, sono costretti a “chiedere in prestito”, qualora possibile,  ogni genere di presidio necessario ad altre UU.OO.

Per quanto concerne, invece, i farmaci, alcuni utenti, ci hanno riferito che, in fase di ricovero, sarebbe stato chiesto loro di portarsi i medicinali da casa.

Queste condizioni, da un lato compromettono il diritto alle cure ed alla salute, ricordando che il Sistema Sanitario Pubblico è universale e gratuito, dall’altro non fa che aggravare le condizioni di lavoro del personale con enorme aumento dei rischi legati alla erogazione dei servizi sanitari.

Inoltre, abbiamo avuto modo di apprendere che, a seguito dell’Hackeraggio, ancora oggi,  presso il Presidio Ospedaliero di Castel di Sangro, gli ECG effettuati nei confronti dei pazienti con sospetto infarto, vengono mandati, ai fini della refertazione, a mezzo FAX al personale medico in servizio nel P.O. di Sulmona, con evidente compromissione qualitativa delle prestazioni e conseguente rischio clinico per i pazienti.

Il quadro fin qui descritto, che riteniamo inaccettabile, dovrebbe interrogare la politica sull’operato dell’attuale Direzione Strategica che evidentemente tiene più ai conti economici che alla prevenzione, alla salute ed alla cura da rivolgere a cittadine e cittadini della nostra comunità.

La nostra Organizzazione Sindacale, nei prossimi giorni tornerà a chiedere, ancora una volta, una audizione urgente presso la commissione Sanità e la commissione di Vigilanza e Controllo della Regione Abruzzo, per affrontare nel dettaglio le gravi carenze riguardanti dispositivi medici e sanitari, personale, liste di attesa, mobilità passiva e quant’altro, ad oggi, non garantisce il diritto costituzionale alla Salute.

Francesco Marrelli Segretario Generale CGIL Provincia dell’Aquila                                                   

Anthony Pasqualone Segretario Generale FP CGIL Provincia dell’Aquila




IL TITOLO DI CITTÀ EUROPEA DELLO SPORT

A Roma la consegna. Riconoscimento importante che farà crescere Chieti e il territorio

Chieti, 30 aprile 2024.   Nella mattinata di oggi la Città di Chieti ha ricevuto il titolo di Città Europea dello Sport. La cerimonia di proclamazione si è tenuta a Roma, nella sede del Coni, per l’Amministrazione era presente l’assessore allo Sport Manuel Pantalone.

“Una cerimonia emozionante, perché la nostra città viene insignita di un titolo che ci porta fuori dal territorio regionale e in un ambito europeo capace di creare economia e sviluppo – riferisce l’assessore Manuel Pantalone alla fine della cerimonia – . Si tratta di un riconoscimento importante per la nostra città, a cui come Amministrazione abbiamo lavorato insieme agli uffici comunali che colgo l’occasione di ringraziare e, soprattutto con il vasto e vivo mondo dello sport sul territorio, che, insieme al lavoro sugli impianti comunali, al patrimonio strutturale e alla nostra storia sportiva, è stato un valore aggiunto essenziale per varcare questo traguardo.  Sarà un anno, il 2025, all’insegna dello sport, dei grandi eventi sportivi, delle iniziative in cui coinvolgeremo le massime autorità sportive nazionali. Ringraziamo Aces Europe, il Coni nazionale, Sport e salute e il Dipartimento lo sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri e tutte le istituzioni che accompagnano questo riconoscimento per aver puntato su di noi e aver riconosciuto il potenziale di Chieti. Comincia una fase di lavoro serrato in preparazione degli eventi, a brevissimo avvieremo anche il processo di costituzione del Comitato organizzativo appunto della Città europea dello sport e avvieremo ulteriori potenziamenti degli impianti, a partire dal centro tecnico federale della pallamano, al pala Santa Filomena su cui orienteremo i finanziamenti ottenuti dal fondo di coesione. Il 2025 sarà un anno veramente importante che saprà portare tanto alla nostra città anche in termini di turismo ed economia, di cui beneficerà oltre a tutto il comparto sportivo anche quello turistico, ricettivo e commerciale”.




CACCIA ALL’AFFARE

Mercatino del Vintage alla Villa Comunale il 1° maggio 2024 orario 9/19

Sulmona, 30 aprile 2024.   Una bella novità in arrivo a Sulmona: Caccia all’affare. Il mercatino del vintage e non solo: abbigliamento d’epoca, accessori, arredo, quadri, elettronica da collezione, ceramica, numismatica, modernariato industriale e vinili!

Il luogo ideale per immergersi nell’atmosfera di un vero mercatino vintage, scovare rarità e fare ottimi affari. Ospitato nella romantica Villa Comunale di Sulmona, il mercatino aprirà le sue porte il 1° maggio con il Patrocinio del Comune di Sulmona.

Caccia all’Affare è un marchio ormai conosciuto in Abruzzo perché nasce a Pescara dove si svolge nel periodo invernale tutti i mesi alla fiera di via Tirino e adesso, per la versione estiva, arriva a Sulmona con le tante proposte in vendita.

Si parlerà di vintage, un settore di grande tendenza in questo momento che ha anche l’obiettivo di sostenere il riuso degli oggetti oltre alla valorizzazione delle tradizioni che le opere del passato si portano dietro. Quadri, piccolo mobilio, accessori e abbigliamento degli anni ’50 ‘ 60 ’70, libri rari e introvabili, bijoux d’epoca e collezionismo americano del ‘900, borse e monili della nonna, c’è veramente di tutto a Curiosando, per grandi e piccini, esperti collezionisti o avventori alle prime armi. Il divertimento di girovagare, di ricercare tra i mercatini una chicca retrò rimane sempre un’occasione di divertimento, di scoperta e conoscenza, un’offerta turistica diversa e accattivante per tanti, a tutte le età!

Prossima edizione: 1 e 2 giugno 2024




PRIMAVERA DEI LIBRI

Storia e tradizioni locali come valore aggiunto per il territorio

Bugnara, 30 aprile 2024. Dall’incontro di sabato 27 aprile emerge la comune consapevolezza di preservare e valorizzare attraverso il lavoro documentale le tradizioni popolari come testimoni della ricchezza culturale e storica dell’intero territorio.

Ha preso il via sabato 27 aprile, presso la Biblioteca “Nino Ruscitti” a Bugnara, la seconda edizione della rassegna letteraria “Primavera dei Libri” organizzata dal Centro Studi e Ricerche “Nino Ruscitti”. L’evento ha visto la partecipazione del fotografo Marinello Mastrogiuseppe, che ha presentato il suo volume dal titolo “Rievocazioni storiche e religiose della provincia dell’Aquila”, vincitore della XXII edizione del Premio “Guido Polidoro” e da Pasquale Caranfa, presidente dell’Associazione Culturale la Foce, con una relazione dal titolo “Metamorfosi dell’abito femminile di Scanno”.

Marinello Mastrogiuseppe nel raccontare il lavoro fotografico ha ricordato come la gran parte dei riti tradizionali presenti nel volume appartengano al territorio peligno: «Per necessità editoriali ho dovuto, mio malgrado, selezionare solo una piccola parte di eventi e riti popolari presenti nel territorio. Attraverso la fotografia ho voluto restituire questo senso di evanescenza, immaginando l’azione del tempo su pratiche collettive che si estendono a volte anche per secoli. Le nostre tradizioni sono la testimonianza di una storia e di una ricchezza culturale enorme che mi auguro possano, nella loro varietà e unicità, essere valorizzate nel loro complesso».

Tra i presenti anche il prof. Tommaso Paolini, autore dell’introduzione al volume di Mastrogiuseppe, che ha sottolineato l’importanza delle tradizioni popolari anche dal punto di vista turistico: «Il passato fine a se stesso conta poco – ha ricordato Paolini – Il passato contestualizzato col presente e proiettato verso il futuro invece è molto importante perché può dare alle giovani generazioni altamente scolarizzate valide, proficue e continue occasioni di lavoro in modo da sottrarre i nostri territori all’oramai profondo ed evidente spopolamento e invecchiamento della popolazione».

Pasquale Caranfa nel corso della relazione ha collegato l’oggetto abito al complesso sistema economico, storico, architettonico e antropologico che caratterizza Scanno. Dalla materia prima, ossia la lana di pecora, e dunque la pastorizia, alle pratiche di lavorazione, colorazione, asciugatura, sino alle modifiche che si presentano in funzione del contesto d’uso (dall’impiego dei colori sino alla collocazione dei bottoni o dei gioielli). 

«Non c’è elemento dell’abito che non abbia un qualche significato» ha ricordato Caranfa.

«Condivido pienamente – ha aggiunto il presidente della Foce – quello che diceva il professor Paolini poiché credo che i beni immateriali e le tradizioni popolari vadano promosse e valorizzate. Ci tengo a precisare tuttavia che tutto ciò debba essere ricordato con una certa coerenza filologica cercando di non dimenticare mai la natura storica di ogni tradizione».

Appuntamento al prossimo sabato 11 maggio con il secondo appuntamento della rassegna che sarà dedicato alla memoria del prof. Mario Setta. Per l’occasione sarà presentato il volume curato da Goffredo Palmerini “Mario Setta. Testimonianze di libertà”.




I° MAGGIO MUSEO NAZIONALE D’ABRUZZO APERTO

L’Aquila, 30 aprile 2024. Con i  dati di affluenza del 25 aprile, che confermano nuovamente  il Museo Nazionale d’Abruzzo fra i più visitati d’Italia nella classifica del MiC, mercoledì 1° maggio il MuNDA, a L’Aquila,  sarà aperto nelle due sedi con i consueti costi ed orari: -MuNDA – via Tancredi da Pentima, di fronte alle 99 cannelle orario 8.30/19.30. Ultima entrata ore 19.00.

La Sala francescana è stata  allestita  temporaneamente con 14 disegni provenienti dalla donazione di un collezionista privato, in memoria di Carmela Gaeta, in dialogo  con i sette dipinti su tela di Giulio Cesare e Francesco Bedeschini delle collezioni del MuNDA. Questo permetterà la manutenzione straordinaria delle opere che erano esposte nella Sala francescana   in previsione della loro futura esposizione negli spazi restaurati del Castello cinquecentesco. L’esposizione è corredata di stampe tattili 3D con descrizioni fruibili tramite QrCode e Braille e di due video realizzati in occasione della mostra, appena conclusa, “ Giulio Cesare e Francesco Bedeschini. Disegno e invenzione all’Aquila nel Seicento” da Altair4 Multimedia.

-Il Mammut  al Castello Cinquecentesco orario 9.30/18.30. Ultima entrata ore 18.00. In occasione del 70° dal ritrovamento del Mammut mostra documentaria al Bastione Est per ripercorrere le fasi della scoperta, recupero e studio dell’esemplare sotto la direzione della professoressa Angiola Maria Maccagno, direttrice dell’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Roma. Le recenti ricerche d’archivio impongono la revisione della data del ritrovamento. È infatti del 17 marzo 1954 l’informativa dell’Anonima Materiali Argillosi alla Soprintendenza alle Antichità degli Abruzzi e del Molise con la quale si comunicava il rinvenimento dei primi resti. La notizia fu poi diffusa  il 25 marzo dal Corriere della Sera e ripresa da altre testate i giorni successivi. Il 15 novembre 1957 il Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, Guglielmo de Angelis d’Ossat, per conto del Ministro della Pubblica Istruzione Aldo Moro, dichiara il suo interessamento nel garantire l’allestimento di una sezione di paleontologia presso il Museo Nazionale d’Abruzzo con il Mammut, poi esposto al pubblico dal 1960 nel Bastione Est del Castello Cinquecentesco.

Biglietto unico per le due sedi: 7 €, ridotto: 2 € (dai 18 ai 25 anni),  gratuito al di sotto dei 18 anni. I biglietti di accesso  possono essere acquistati direttamente in biglietteria,  sul portale dei Musei italiani al link www.museiitaliani.it o sull’app Musei Italiani.




STORICA MOSTRA D’ARTE DEL 1° MAGGIO

La personale antologica di Sergio Cardone Alberini nella

Luco dei Marsi, 30 aprile 2024. Grande attesa a Luco dei Marsi per l’inaugurazione della tradizionale mostra d’arte del 1° Maggio, lo storico appuntamento nato negli anni ‘50 dall’amore per la cultura dei sindaci Luigi Sandirocco e Giannino Venditti e rinnovato ogni anno, salvo brevi interruzioni, dall’amministrazione comunale. Il taglio del nastro è in programma per mercoledì, 1° maggio, alle 12, nella sala dell’ex municipio, in piazza Umberto I. La mostra si configura, negli anni, quale spazio ideale di confronto e riflessione sui temi portanti della Giornata, con focus su lavoro, pace, arte, diritti, libertà, tutele, sviluppo, ospitando artisti quali Enotrio, Sughi, Saba, Barbaro tra altri, e associazioni e gruppi peculiari, tra cui Marsarte e l’Associazione Romana Acquerellisti. Ospite d’eccezione dell’edizione corrente, il poliedrico artista Sergio Cardone Alberini, con un’esposizione antologica che proporrà un ideale viaggio lungo oltre quattro decenni di produzioni, ricerca e sperimentazione.

“È con l’orgoglio di sempre e particolare gioia che presento la mostra d’Arte del 1° Maggio 2024”, sottolinea la sindaca Marivera De Rosa. “Rinnoviamo in questo spazio culturale un appuntamento che affonda le sue radici nel tempo e nella storia del nostro paese e rappresenta, per la nostra Comunità, un ideale luogo di incontro e condivisione di Arte e Bellezza, ma anche di riflessione sui temi cardine della Giornata, nelle loro mille sfaccettature”, spiega la Sindaca, “poterlo fare attraverso lo sguardo e la sensibilità di un eccellente artista come Sergio Cardone Alberini non può che rendere ancora più straordinario questo evento. La personale antologica dell’Artista offrirà una caleidoscopica immersione nei temi del viaggio, dell’abbandono e della trasformazione, del superamento, e della cifra che oggetti, persone e atmosfere che sono state, trasfondono inevitabilmente, lungo il tempo, la percezione e la memoria, nel presente. Un’esperienza da non perdere, invito tutti a partecipare”. La mostra sarà accessibile dal 1° al 12 maggio, nei giorni feriali dalle 15.30 alle 18.30, nei festivi e prefestivi dalle 10 alle 13.

Pluripremiato pittore, musicista, scrittore e scenografo, Sergio Cardone “Alberini” ha all’attivo numerose mostre personali e collettive, in Italia e all’estero, oltre a numerosi restauri e produzioni in chiese, enti pubblici e case patrizie in Abruzzo, Lazio, Marche, Emilia e Lombardia.

Ha scritto e pubblicato i romanzi “Il bar della stazione” e “Il tè caldo nell’intervallo”, Bastogi Editrice, il racconto “Una notte in Italia”, nella raccolta “Sotto il segno del Grifone -Racconti rossoblu”, Fratelli Frilli Editori, oltre a diverse pubblicazioni a carattere storico-archeologico, realizzate per mostre a tema. Nell’ambito del suo percorso artistico ha collaborato con importanti musicisti e cantautori (Paolo Capodacqua, Piero Montanari, Gianfranco Preiti, Roberto Capacci, Enrico Capuano ed altri), incidendo le raccolte “Byblos” (1997), con il gruppo “Tyrrenia”, “Cinema Impero” (1998), “Ciechidisorrento” (2003) con l’omonimo gruppo, e a seguire “Noi non siamo americani”, “Quintus”, “Storie di donne e del pirata Pier Gerlofs”.




SUCCESSO DELL’UNIBASKET LANCIANO

Under 15 alla European Youth Basketball League

Lanciano, 29 aprile 2024.  L’Unibasket in rimonta si prende il titolo di Supercampione Eybl Under 15. Si scrive in Romania un’ennesima entusiasmante e prestigiosa pagina europea della giovane, ma vincente storia dell’Unibasket Lanciano.

Dopo una partita dura e difficile, come solo una finale continentale sa essere, l’Under 15 Eccellenza, nata in sinergia con il Pescara Basket e guidata da coach Fabio Di Tommaso batte in rimonta i tedeschi del BBA Ludwigsburg (62-66 il finale) e conquista con grande merito e soddisfazione la Super Final di European Youth Basketball League.

“Un successo clamoroso – affermano i presidenti Carlo Valentinetti ed il GM Valerio Di Battista – e dal grandissimo prestigio che certifica ormai lo status europeo di Eccellenza della nostra squadra, nata dalla visione comune e condivisa con gli amici del Pescara Basket. Una vittoria che premia le società e le dirigenze dei sacrifici, degli investimenti, della passione e di un progetto sportivo che ha portato Lanciano e Pescara a conquistare non solo trofei, ma anche la stima ed il rispetto delle più importanti società cestistiche continentali.

Complimenti ai ragazzi ed allo staff tecnico per questa ennesima vittoria a tinte rossonere, nella consapevolezza che i più bei traguardi saranno quelli da scrivere ancora insieme”.

In Romania sono arrivate quattro vittorie nette contro l’Inter Bratislava (Slovacchia) il Buba Basket (Bulgaria)la, London Élite (Inghilterra)e BBA Ludwigsburg (Germania)

Tabellino della Finale

Unibasket Lanciano: Sotera 0, D’Incecco 8, Del Prete 9, Babacar 23, Sadio 25, Rossetti 0, Pace 0, Capitanio 1, Veri’ 0, Di Pasquale 0, Orlando 0, Ranieri 0.

All.Coach Fabio Di Tommaso, Ass. Franceschini, Prep.Fisico-Atletico Aimola.

Parziali: 29/17, 40/34, 56/57, 62/66

Simone Cortese




LANCIANO PALLANUOTO SALVA

Conquistata la salvezza matematica nel campionato di serie C con quattro giornate di anticipo

Lanciano, 29 aprile 2024. Lanciano Pallanuoto conquista la salvezza matematica, nel campionato di serie C, girone Lazio, con quattro giornate di anticipo rispetto alla fine del torneo, piazzandosi a circa metà classifica e prima delle altre abruzzesi in gara. “Un risultato importante – spiega il presidente della società Franco D’Intino -: è quello a cui puntavamo e ci siamo riusciti, considerando che è stato il nostro primo anno in C in un girone con squadre molto forti. Siamo partiti a spron battuto per poi avere un calo: nelle ultime due settimane abbiamo ripreso a vincere. Siamo stati così ripagati di un grande sforzo e sacrificio. Siamo già al lavoro – continua D’Intino – per mettere su la squadra per l’anno prossimo, quando gli allenamenti si svolgeranno tutti allo Sport Center Lanciano e non più tra Lanciano, Termoli, Pescara e Vasto. Insomma, è già in atto una riorganizzazione per fare meglio e di più. Ringrazio tutto lo staff tecnico e gli atleti, che hanno dimostrato impegno e dedizione”

“È stato un bel percorso – aggiunge il coach Giovanni Sarnicola -, nel quale abbiamo raggiunto l’obiettivo richiesto dalla società con largo anticipo e questo era tutt’altro che semplice perché abbiamo incontrato avversari veramente tosti. Personalmente c’è un pizzico di rammarico perché questa squadra, con qualche allenamento e spazio in più, avrebbe potuto affrontare un campionato con molta più forza e preparazione, ma come primo anno va bene così. Non posso che ringraziare la società per avermi concesso la bellissima opportunità di poter allenare oltre che giocare e spero di aver fatto un buon lavoro, ma va detto con tutta onestà che senza il supporto dei miei compagni “storici” tutto ciò sarebbe stato impossibile. Ringrazio ogni singolo componente della squadra, nessuno escluso, per l’impegno profuso durante tutta la stagione perché se questo risultato è stato possibile il merito è di tutta la squadra: li ringrazio soprattutto per avermi reso più semplice del previsto il lavoro. Un grazie va anche ai genitori dei ragazzi che ci hanno accompagnato e sostenuto durante tutte le trasferte del campionato”.

Questa la formazione: Romano Adezio, Lorenzo Cocchia, Giovanni Sarnicola, Pasquale Di Frenza, Antonio Monaco, Enrico Di Domenico,  Francesco Giammarco, Pierpaolo Provenzano,  Mattia Di Giovanni, Andrea D’Aloisio, Mario Urbano, Tommaso D’Anastasio, Alberto Nativio, Alessandro Franceschelli,  Stefano  Sabatini, Federico Barbieri,  Alessandro Ceci, Andrea D’Intino.




SULL’ORIGINE DELLA CHITARRA PER FAR MACCARONI

Il quadro storico di un problema di antropologia alimentare

[Contributo di F. Cercone pubblicato in tre parti nella “Rivista Abruzzese” di Lanciano ai numeri: N. 2, N. 4 / 2003 e N. 1 /2004 ]

di Franco Cercone

Il presente lavoro, cui attendevamo pazientemente da qualche anno, doveva veder la luce secondo le nostre iniziali intenzioni dopo ulteriori indagini sul singolare strumento detto appunto chitarra, diventato nel corso del Novecento quasi un simbolo della gastronomia tradizionale abruzzese e della stessa Regione Abruzzo.

La sua pubblicazione è stata tuttavia accelerata dalla conoscenza delle Opere poetiche di Giulio Cesare Cortese (1597-1626 circa)[1], un singolare poeta che scrive in “lingua napoletana” e di cui tesse gli elogi B. Croce nel commento al Pentamerone del Basile, nonché di alcuni articoli e saggi apparsi proprio di recente su tale argomento, che riveste notevole interesse storico-gastronomico per la nostra Regione[2].

I risultati delle nostre ricerche sull’evoluzione degli attrezzi “per far maccaroni”, da considerarsi precursori della attuale chitarra, sembrano confermare che come per altri fatti culturali ci troviamo di fronte ad una poligenesi e dunque ad una evoluzione storica di tali “congegni” non solo nelle varie realtà regionali italiane, ma anche in Francia, grazie all’introduzione oltralpe dei macaroni – è lo stesso Alessandro Dumas a dircelo – “quando Caterina De’Medici venne a sposare Enrico II” [Dictionnaire de Cuisine, Paris 1965].

Se tuttavia, allo stato attuale delle nostre conoscenze, il termine pizza appare per la prima volta nel famoso Codex Cajetanus del 997 ed in area abruzzese in un documento del 1201 pubblicato dal Faraglia[3], lo stesso primato deve essere accordato agli antenati dei maccheroni, cioè i cosiddetti vermicelli, grazie ad una sorprendente notizia del geografo arabo Idrisi risalente alla metà circa del XII secolo e contenuta nel suo noto Libro di Ruggero, di recente ristampa. Scrive Idrisi, parlando del territorio posto “a levante di Palermo” che qui “vi è l’abitato di Trabia, sito incantevole, ricco di acque perenni e mulini, con una bella pianura e vasti poderi nei quali si fabbricano vermicelli in tale quantità da approvvigionare oltre ai paesi della Calabria, quelli dei territori musulmani e cristiani, dove se ne spediscono consistenti carichi”[4].

Il Rizzitano, noto arabista e traduttore del testo di Idrisi, aggiunge in nota che il termine vermicelli “si dice in arabo itriya ed è rimasto nel dialetto siciliano”. È questa una precisazione non di poco conto, perché – come apprendiamo da M. Montanari – “Il libro della cucina, scritto da un anonimo toscano del XIV secolo, segnala una tria genovese per li infermi, ricetta semplicissima, dove la pasta (tale dev’essere il significato di tria, termine di probabile ascendenza araba indicante appunto il manufatto di semola) viene fatta bollire in latte di mandorla, salata e servita”[5].

Ci troviamo così per quanto riguarda il prodotto, cioè i vermicelli, di fronte al fenomeno opposto all’evoluzione autonoma degli attrezzi per pasta e dunque ad una “monogenesi” e conseguente diffusione delle tecniche di produzione delle tria, dalla Sicilia verso i “territori musulmani e cristiani”, come sottolinea appunto Idrisi nel brano riportato. E per tali territori bisogna intendere oltre a quelli che si affacciano sul bacino medio-orientale del Mediterraneo, anche le coste settentrionali dell’Africa e buona parte della Penisola Iberica.

I particolari rapporti fra le Repubbliche Marinare, soprattutto Genova, con la Sicilia normanna, sono alla base di proficui scambi commerciali e tecnologici. Come si è visto, Idrisi non ci dice se i vermicelli – che comunque dovevano risultare essiccati per la conservazione e trasporto – si ottenessero con l’impiego di un pur rudimentale attrezzo. Certo è che egli compone il Libro di Ruggero nella prima metà del XII secolo e già in quello successivo le itriye tradotte come vermicelli, ma forse nome di diverse paste alimentari, compaiono con altre designazioni nel Compendium de Naturis et Proprietatibus alimentorum, redatto nel 1338 da Mastro Barnaba de Riatinis, di Reggio Emilia,  dove a proposito della pasta alimentare , indicata col nome generico di tria, è detto ( foglio 44 a ) che questa vulgariter habet diversa nomina, essendo chiamata “a quibusdam vermicelli, ut a thuscis, a quibusdam orati, ut a bononiensis, a quibusdam minutelli, ut a venetis, a quibusdam fermentini, ut a regiensibus, et a quibusdam pancardelle, ut a mantuanis”[6].

Il Compendium di Mastro Barnaba non registra nella prima metà del XIV secolo la diffusione del termine maccheroni in Toscana, documentata invece dal Boccaccio nel Decamerone, composto com’è noto nel periodo 1349-1353, e propriamente nella terza novella dell’Ottava Giornata, dove -come sottolineano i primi commentatori a proposito del mitico paese di “Bengodi”, da Calandrino posto più là che Abruzzi – i “maccheroni” erano in realtà gnocchi lunghi, affusolati e di piccolo spessore[7], dunque vermicelli, come registra per la Toscana Mastro Barnaba.

Inoltre, sottolinea G. Alessio [op.cit.], della parola maccheroni “non vi è traccia alcuna nel Glossario Latino-Italiano e nel Glossario Latino-Emiliano del Sella, che comprendono lo sfoglio di documenti dello Stato della Chiesa, del Veneto, degli Abruzzi, e dell’Emilia, il che fa pensare che in tali regioni le paste alimentari avessero nel passato altro nome.

Dove invece la parola “maccheroni” compare per la prima volta [8], almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, è in un Atto notarile genovese, esattamente del 4 febbraio 1279, nel quale è menzionata “Barixella una plena de maccaronis”. [ Il documento si rinviene citato nell’Opera di G. Rossi, Glossario medievale ligure (appendice), Torino 1908].

Nel commentare questo fondamentale documento il Sereni rileva che il termine “sembra impiegato non per indicare gli gnocchi, ma nel senso moderno di pasta alimentare allungata e forata, suscettibile di lunga conservazione”[9]

Questa vivacità, se non inventiva dei pastai genovesi, è confermata secondo il Montanari dalla circostanza che alcuni documenti della metà del XIV secolo attestano la presenza sulle navi genovesi di mastri lasagnari, “segno questo che la pasta era entrata a far parte della normale razione alimentare degli equipaggi” [op. cit.].

Attenendoci alla documentazione della voce maccheroni, ricordata per la prima volta nel citato atto notarile di Genova del 1279, “si sarebbe portati a concludere – rileva l’Alessio – che i maccheroni si diffusero nella seconda metà del XIII secolo da Genova e raggiunsero nella prima metà del XIV secolo la Toscana e la Sicilia e solo agli inizi del XVI secolo Napoli. Ma le cose stanno ben diversamente”[10], come avremo modo di osservare in seguito, perché l’area di irraggiamento del termine maccheroni è costituita proprio dai territori dell’antica Magna Grecia, spesso etichettati semplicemente come “area siciliana”. Qui forse, già all’epoca di Idrisi, i pastai arabi avevano brevettato un metodo per così dire rivoluzionario, la bucatura delle itriya (o “vermicelli”) per favorirne meglio l’essiccazione e la conservazione. Non a caso infatti Mastro Martino, nel suo Libro di arte coquinaria (metà XV secolo), intende per maccheroni sia “strisce di pasta tagliata larga un dito piccolo” che una pasta “bucata nel senso della lunghezza”, forma che si ottiene “modellando dei piccoli rotoli di pasta all’interno dei quali si fa passare un ferro per tutta la sua lunghezza”. Con questo procedimento si ottengono quelli che Martino chiama “maccheroni alla siciliana”[11], a proposito dei quali il Montanari osserva che “la loro produzione era già a quel tempo affidata a degli specialisti” [op. cit.].

Fra quest’ultimi nel corso del XV e XVI secolo vanno annoverati anche i Conventi e certamente prodotti in un Cenobio erano i “maccheroni col formaggio parmigiano” offerti il 23 maggio 1577 a Fra’ Serafino Razzi dai monaci di Cassino[12] , mentre A. Cirillo-Mastrocinque ci ricorda alla luce di molti documenti che “nelle grandi cucine dei monasteri napoletani si lavoravano nel XVII secolo e si rivendevano lasagne, tagliolini, pappardelle e casatielli” [op. cit.].

Allo stato attuale delle nostre conoscenze ci troviamo così di fronte ad una paradossale situazione, che potrà essere chiarita solo a seguito di nuove fonti archivistiche: abbiamo cioè, come sottolineano alcuni autori in precedenza citati, la certezza – a partire dal ‘400 – della produzione di maccheroni, “lunghi e forati” ed “adatti a lunga conservazione” [L. Sada, op. cit.], ma non notizie in merito agli attrezzi con cui venivano ottenuti.

E l’orizzonte d’indagine, pieno di incertezze, non comprende – come erroneamente è stato fatto finora – solo il mosaico delle realtà italiane, ma gli ambienti di corte francesi all’indomani dell’arrivo di Caterina dei Medici in Francia, ed anche il mondo arabo, a conferma, come sottolinea l’Aubaile-Sallenave, “de la varieté des cultures de ce vaste bassin méditerranéen”[13].

È probabile che, a differenza degli ambienti di corte, nel mondo rurale meridionale fosse diffuso nei secoli passati un singolare strumento per ottenere maccheroni, assai in auge soprattutto in Cilento ma sconosciuto, per quanto ci risulta, in Abruzzo. In quell’area del Salernitano si ottenevano particolari “fusilli” mediante un ferro quadrato attorno al quale si avvolgevano strofinando abilmente con le mani in senso orario ed antiorario delle strisce sottili di pasta, larghe all’incirca 3-4 cm. e lunghe a piacere[14].

Questi particolari fusilli, lasciati asciugare sopra delle spianatoie, potevano conservarsi per alcuni giorni e risultavano di particolare bontà con i vari condimenti, perché la salsa veniva trattenuta nelle spire della pasta attorcigliata, una forma questa che sarà esaltata in seguito dall’introduzione del pomodoro in cucina[15].

Al di fuori di questo rudimentale strumento, dalle mie informatrici salernitane ritenuto di antica origine, le fonti storico-letterarie non ci hanno tramandato fino al XVI secolo nomi o descrizioni di attrezzi per far maccaroni , a meno che ad essi non si voglia ascrivere anche il “ferro” di cui parla il Maestro Martino e che si faceva passare attraverso i rotoli lunghi di pasta per forarli ed ottenere così i particolari “maccheroni alla siciliana”, simili per forma agli gnocchi, un binomio che si è protratto semanticamente fino a tempi non lontani da noi. Agli inizi dell’800 il Placucci scrive infatti nei suoi “Usi e pregiudizj de’contadini della Romagna” che in occasione della nascita di un bimbo “il pranzo sarà di gnocchi, ossiano maccheroni, s’è maschio; e s’è femmina di lasagne”[16].

Probabilmente la separazione concettuale fra gnocchi e maccheroni, come è intesa nei nostri giorni, si verifica nell’utimo decennio del XVIII secolo e soprattutto con la pubblicazione da parte di Vincenzo Corrado del “Trattato delle patate” (Napoli 1798), in cui appaiono codificati sia la ricetta patate in gnocchi che l’uso di mescolare farina di grano e patate nella panificazione[17].

Va rilevato che ancora nell’Inchiesta Iacini, i cui atti furono pubblicati nel periodo 1880-85, emergono dati impressionanti sull’alimentazione dei ceti sociali indigenti, a base per lo più di formentone, mentre nell’impasto casalingo per gnocchi e maccheroni solo di rado veniva impiegata farina di grano. I cereali usati da questi ceti erano di norma il miglio, l’orzo, il farro e soprattutto la segala, nella quale si sviluppava un fungo ritenuto causa dell’ergotismo cancrenoso o “fuoco di Sant’Antonio”, una devastante cancrena che causava la perdita degli arti inferiori e superiori[18]. Questi cereali erano impiegati anche nella panificazione e specie nei paesi dell’area della Maiella è tuttora viva l’espressione “l’hanno messo a pane bianco”, per indicare una persona moribonda cui veniva somministrato un po’ di pane bianco per soddisfare, quale lugubre viatico, un desiderio rimasto spesso inappagato per tutta la sua vita.

È arrivato tuttavia il momento, dopo il quadro storico generale descritto in precedenza, di entrare nel vivo del problema analizzando i risultati cui sono pervenuti i linguisti nella spiegazione della parola maccheroni, strettamente legata alla chitarra, risultati che possono essere ritenuti decisamente sorprendenti.

Sull’origine del nome maccheroni, “cibo dei morti”.

Quella che non è più una supposizione, la diffusione cioè dei maccheroni e vermicelli non solo da ambienti arabi e siciliani, ma anche da quell’area geografica più ampia corrispondente alla Magna Grecia, viene riaffermata dalla Diodato, la quale sottolinea che “uscita dalle cucine di ricchi privati siciliani, che perpetravano una tradizione araba, la produzione della pasta trova già nel XII secolo i suoi artigiani nelle città della grande isola. A metà del XII secolo alcuni produttori di paste alimentari si sono installati a Napoli, altri aprono botteghe in numerose città liguri”[19].

Quest’ultima affermazione va presa tuttavia, in assenza di fonti sicure, con molta cautela, alla luce soprattutto di un fondamentale studio sull’argomento per lo più sconosciuto agli studiosi di storia della gastronomia. Alludiamo al già citato saggio di Giovanni Alessio dal titolo Storia linguistica di un antico cibo rituale: i maccheroni.

L’illustre linguista, passato a miglior vita alcuni anni fa, ci offre l’etimologia della parola maccheroni con una rigorosa impostazione storico-linguistica, da considerarsi oggi esemplare e fondamentale per ogni ricerca sull’argomento, i cui risultati possono essere sintetizzati come segue, avvertendo però che si rimanda alla lettura del saggio citato per ogni altro aspetto storiografico da noi non trattato in tale sede.

Si è detto in precedenza che la più antica documentazione della parola maccheroni appare in un atto notarile genovese del 4 febbraio 1279, nel quale è menzionata barixella una plena de maccaronis. Alla luce di tale documento, sottolinea l’Alessio, “si sarebbe portati a concludere che i maccheroni si diffusero nella seconda metà del XIII secolo da Genova e raggiunsero nella prima metà del XIV sec. La Toscana e la Sicilia e solo agli inizi del XVI sec. Napoli”. Ma, avverte l’Alessio, “le cose stanno ben diversamente”.

Infatti alcuni studiosi, come per es. V. De Bartholomeis, avevano invano richiamato l’attenzione dei ricercatori sul soprannome Mackarone, assente nei documenti coevi dello Stato della Chiesa e degli Abruzzi, ma presente in alcune carte della prima metà dell’XI sec. soprattutto nel Salernitano e nell’antico “territorio della Magna Grecia”.

Quello che nelle suddette aree era evidentemente un “nomignolo”, comunque significativo, appare in Sicilia un vero e proprio nome. Di conseguenza, scrive l’Alessio, “questi dati rendono legittima la ipotesi che la patria dei maccheroni vada ricercata nella Magna Grecia piuttosto che nella Liguria”.

Pertanto “nulla vieta di pensare che a Genova i macheroni siano stati introdotti proprio dalla Sicilia”, dato che i rapporti fra la Repubblica marinara e l’isola furono particolarmente intensi durante la dominazione normanna. Questa ipotesi, sottolinea l’Alessio, “prende maggior consistenza se consideriamo che più tardi da Genova si diffonde anche il nome di fidelli o fedelini… dal greco moderno fides, ma di origine araba, cui corrisponde la tria della Sicilia, che risale all’arabo al-itriya”. Tale voce è documentata dal IX sec. ed indicava “un manufatto di semola, che veniva preparato come un tessuto di stuoie che veniva di poi seccato e cotto, ed è ancor viva nelle parlate arabe per designare una specie di vermicelli. La voce, che l’arabo ha in comune con l’aramaico e con il siriaco, è un prestito dal greco itria”, termine presente come si è visto nel testo di Idrisi dal quale apprendiamo che “la Sicilia era già nel secolo XII un centro di esportazione di pasta, chiamata itriya, in tutto il bacino del Mediterraneo. C’è da scommettere, come sottolineano S. Serventi e F. Sabban (ivi p.41), che si trattasse proprio di pasta del tipo vermicelli.

Una scommessa, questa, vinta in partenza, avrebbe rilevato l’Alessio, perché nel famoso dizionario arabo del persiano al-Firuzabadi (XIV sec.) l’itriya è definito un “piatto di pasta filiforme”.

Da quale voce, si chiede l’Alessio, derivano sia il soprannome che il nome mackarone presenti nei documenti siciliani e del Salernitano dell’XI e XII secolo citati, che si presentano su un piano sincronico e differente rispetto a quello delle tria o itriya per indicare comunque “paste filiformi”? Ricollegandosi ad una intuizione, definita “mirabile”, dello storico e linguista francese Gilles Ménage (1613-1692), Giovanni Alessio perviene dopo ulteriori riscontri filologici alla eliminazione di ogni dubbio sulla vexata quaestio: la parola maccheroni deriva dal “greco tardo makarìa, cioè “cena funebre”, termine a sua volta collegato al sostantivo makàrioi che significa “i beati, i morti”. Si tratta dunque di “una formula di buon augurio a favore del morto, pronunziata da ogni convitato al pasto funebre, una sopravvivenza rituale del perideipnon che nell’antica Grecia seguiva il seppellimento e che tutt’ora si pratica nei paesi di rito bizantino con il nome di makarìa:

makarìa e mneme tou kekoiménou”,

cioè buona cena funebre in ricordo di chi giace (dunque del morto).

Alla “cena funebre” fatta in comune – prosegue l’Alessio – fu più tardi sostituito il pranzo che dai vicini si manda nella casa di un defunto nei primi giorni dopo la morte, noto in Abruzzo con i termini cònzele o recùnzele. Il termine tardo-greco makarìa diventa successivamente nel “latino regionale” dell’area della Magna Grecia macario-onis ed è in rapporto con il “grecismo regionale maccum”, nel senso di puls fabata, cioè una sorta di polenta a base di fave da cui deriva l’italiano macco, “vivanda grossa di fave sgusciate, cotte nell’acqua e ridotte come in pasta”.

Ci sembra molto probabile, prosegue l’Alessio, dato che le due voci appaiono originariamente diffuse nella stesa area, cioè nella Magna Grecia, che maccum possa essere una forma ipocoristica, con geminazione espressiva, del ricostruito macario e che da una contaminazione delle due voci, passate più tardi ad indicare cibi differenti, si possa spiegare l’ageminazione che vediamo in maccheroni”.

Si focalizza così il valore semantico insito nella fusione delle due parole maccum-makàrioi (puls fabata – morti) cioè “polenta di fave in onore dei morti”, che ci restituiscono a distanza di secoli il significato originario di maccheroni come cibo rituale nei banchetti funebri in onore del defunto.

Infine – sottolinea l’Alessio – va ricordato che da maccum derivano le voci dialettali tuttora in uso nel Mezzogiorno ed in Abruzzo: macche oppure màcchene, nel senso di “polenta molto dura”.

A Cansano, Campo di Giove, e Pacentro, lu màcchene viene tagliato a fette, data la sua durezza, con uno spago o filo di ferro. Forse non a caso nei paesi sopra citati gli spaghetti sono tuttora chiamati la pasta delle nozze e d’altro canto costituiscono il primo piatto preparato dalla famiglia del compare (lu San Giuanne) dopo la fine delle esequie.

Il Cinquecento e l’Opera di Bartolomeo Scappi.

È nel corso del XVI secolo che abbiamo notizie precise su alcuni attrezzi “per far maccaroni”, in uso prima nelle cucine di corte, nobiliari o di alti prelati e dopo discesi, come tanti altri fatti culturali, nel variegato mondo subalterno tramite gli stessi scalchi, sottoscalchi, trincianti, inservienti ecc., tutti di modesta estrazione sociale.

Non mancano casi opposti perché da sempre l’arte della cucina ha affascinato persone a prescindere dal ceto di appartenenza. È il caso per es. del nobile ferrarese Cristoforo Messisburgo, autore della nota opera culinaria Compendi pubblicata nel 1549. Egli è un gentiluomo diventato scalco ducale per soddisfare le complesse esigenze di corte che si accompagnano ai “servizi di credenza e di cucina”, quali danze, musica, giochi ecc. destinati a rallegrare i commensali al pari della bontà delle vivande servite.

La presenza presso la Biblioteca del Convento di Santa Chiara a L’Aquila di una rarissima copia dell’Opera di Bartolomeo Scappi, stampata a Venezia nel 1570 per i tipi di Michele Tramezzino, ci indusse a riproporre in uno dei “Quaderni” pubblicati dall’Istituto Alberghiero di Roccaraso, allora da noi presieduto, i brani più significativi dell’Opera composta dal “cuoco secreto” di Pio V[20].

Il prezioso cimelio bibliografico è corredato di 28 tavole “universalmente considerate – come sottolinea D. Adacher nell’introduzione al citato Quaderno – un punto di riferimento nella storia della gastronomia italiana”, che già il Montaigne, nei suoi Essai, riteneva “splendido esempio dello spirito rinascimentale”.

Le Tavole che corredano l’Opera dello Scappi, divisa in sei libri, rivestono una straordinaria importanza perché riproducono gli spazi riservati alla cucina, ampi ed ariosi, nonché l’immagine quasi fotografica di tutti gli utensili e suppellettili adoperati dal personale in servizio. Anticipando con mirabile intuito alcuni princìpi della moderna gastronomia, lo Scappi ricorda al suo allievo Giovanni il modo di comportarsi da parte del personale e la tecnica dei servizi, sottolineando nel primo libro che le vivande devono risultare sia “saporose et grate al gusto, che piacevoli et dilettevoli all’occhio, con loro bel colore, et vaga prospettiva”.

Ma veniamo ora alle immagini che particolarmente interessano, tratte dall’Opera diScappi. Nella figura n°1 è riprodotta quasi “a volo d’uccello” la cucina di un palazzo signorile dell’epoca, al centro della quale alcuni scalchi – come si legge nella didascalia – “lavorano de pasta” attorno ad un tavolo sul quale spiccano una sfoglia di pasta con il matterello (dallo Scappi chiamato nel testo bastone) ed uno strano attrezzo con manico, raffigurato due volte (all’inizio e verso la fine del lungo tavolo), costituito da una ruota con due file di denti.

L’attrezzo in questione non è stato certamente raffigurato per caso sul “tavolo da pasta” (come si legge in una didascalia) e probabilmente serviva per tagliare la sfoglia in modo tale da ottenere strisce di pasta della stessa larghezza. Che potesse trattarsi di uno “sperone” è assai improbabile, perché quest’ultimo attrezzo, come nei nostri giorni, era usato all’epoca dello Scappi per “tortiglioni ripieni”, “raviuoli” ecc. e dunque per il ritaglio di pezzi di sfoglia destinati a contenere ripieni di ricotta, verdure o formaggi grattugiati, spesso impastati con l’uovo, ed è chiaramente raffigurato ed indicato in un’altra Tavola insieme a diversi utensili (figura n°2).

Di particolare importanza risulta invece un altro attrezzo illustrato nella stessa Tavola, dove insieme ad una serie di coltelli adibiti a vari usi (coltelli da torta, coltelli da pasta ecc.) viene raffigurato un ferro da maccaroni (figura n°2), che, osserva giustamente il Marsilio, “è identico all’odierno rentròcelo usato in Abruzzo in area frentana, anche se ora è costruito in legno”[21]. Si tratta, come risulta dalla figura, di un “matterello scanalato” avente alle due estremità un manico per far pressione sulla sfoglia di pasta e tagliarla a strisce. Lo strumento, sia quello raffigurato nell’Opera dello Scappi, che quello in uso in area frentana, poteva essere di ferro o di legno. Se di metallo, l’attrezzo aveva ovviamente una maggior durata e risultando più pesante esercitava maggior pressione sulla sfoglia, che veniva così tagliata in modo più netto.

I “maccaroni” in tal modo ottenuti venivano afferrati con le molete (sic) per pasta raffigurate in alto nella figura n°3 e posti ad asciugare prima della loro cottura, se destinati al consumo giornaliero, su un telaio di legno in una stanza arieggiata posta a fianco della cucina.

B. Scappi non ci offre nella sua Opera una immagine di questi telai, raffigurati invece nel famoso Tacuinum Sanitatis (seconda metà del XIV sec.) in ambienti che possono essere considerati aziende casalinghe per la produzione e lunga conservazione della pasta.[22] Assai importante ai fini della nostra ricerca risulta il Libro V dell’Opera in cui lo Scappi tratta le paste, ed in particolare il cap. CLXXIIII, sfuggito all’attenzione del Marsilio e di altri gastronomi, che ha come titolo: Per far minestra di maccaroni alla romanesca. Scrive infatti lo Scappi:

“Et impastata che sarà essa pasta … facciasene sfoglio con il bastone

 lasciando esso sfoglio alquanto più grossetto … et facciasi asciugare;

con il ruzzolo di ferro o di legno, taglinosi i macaroni”.

L’attrezzo genericamente indicato nella Tavola dello Scappi come ferro da maccaroni aveva dunque un nome, cioè ruzzolo, che poteva essere, come il rentrocele frentano, di legno o di ferro. Introducendo il discorso sulle paste (Libro V), Bartolomeo Scappi precisa a proposito della tavola de pasta che questa deve essere “un tavolone liscio, et spianato, di lunghezza di quindici palmi ed altezza di palmi tre e mezzo, ove si possa lavorare d’ogni sorte di paste”.

L’impasto avviene nel modo tradizionale e dunque a mano, come si vede chiaramente nella immagine in cui è raffigurato un inserviente che ammassa, mentre sul tavolo spicca la didascalia “lavorano de pasta”.

Non è rappresentata nelle Tavole la gramola a briga, forma arcaica della gramola a stanga, già segnalata in documenti del XIII sec. e nel “Codice Diplomatico Barese” ma diffusasi come mezzo tecnico per un efficace impasto alla fine del XVI sec. con lo sviluppo delle piccole aziende pastaie [Serventi-Sabban, op. cit.]. Tuttavia lo Scappi ne aveva previsto la grande utilità anche per le cucine private e signorili allorché afferma nel libro primo che fra gli attrezzi deve essere annoverata “una gramola per gramolar ogni sorte di paste, acciocché tal cucina habbia ogni commodità”.

Il taglio della sfoglia avveniva di norma anche con i “coltelli da pasta” raffigurati nelle diverse Tavole, specie per i maccheroni alla genovese, che si ottenevano avvolgendo la sfoglia attorno al matterello e sfilato quest’ultimo si tagliava il tubo di pasta in anelli più o meno larghi. Si intuisce che con il ruzzolo descritto dallo Scappi il taglio della sfoglia avveniva secondo la forma desiderata ed i “maccaroni” in particolare risultavano identici per lunghezza, spessore e larghezza, un risultato questo non sempre garantito dall’impiego del coltello o dello “sperone”, quest’ultimo adoperato comunque per il “riquadro” della sfoglia prima di effettuare il taglio con il ruzzolo.

Vien fatto di pensare così che il principio della “armonia delle forme” abbia pervaso in pieno Rinascimento non solo le straordinarie realizzazioni artistiche e architettoniche, ma anche gli aspetti più impensati della vita quotidiana, dalle fogge di vestire fino agli stessi attrezzi da cucina. Sicché nell’allestimento di sontuosi banchetti nei palazzi di nobili famiglie o di alti prelati, di cui lo Scappi ci offre alcuni esempi, le tavole sono apparecchiate con “cocchiari, forcine e cortelli d’oro o d’argento”, ed ornate con statue “di zuccaro e butiro”. Così in una collatione (colazione) organizzata nel giardino di una lussuosa dimora in Trastevere, Bartolomeo Scappi realizza “cinque Ninfe” e “Diana con l’arco et cane al laccio” con grande stupore e plauso degli illustri commensali.

In tale atmosfera rinascimentale il tradizionale e pur sempre indispensabile coltello da pasta è relegato ad un ruolo secondario nel taglio della sfoglia, lasciando il posto al ruzzolo, attrezzo più consono a conferire omogeneità geometrica alla forma dei maccaroni e – come sottolinea lo Scappi – ad “allietare l’occhio del Principe”.

Insomma, nota acutamente l’Adacher, leggendo l’Opera dello Scappi “vengono subito alla mente i trattati rinascimentali, ad es. quelli dell’Alberti o di Leonardo, in cui tutto deve concorrere a dare senso di armonia e bellezza”[23]

La “chitarra” per maccheroni. Origini e diffusione.

Il ruzzolo è un attrezzo diffuso presso le cucine di corte ed assai adatto alla divisione della sfoglia di pasta fatta di semola di grano duro. Quello più ricercato dalla seconda metà del XVI sec. era la saragolla, che perderà tale primato soprattutto in Abruzzo nella seconda metà del ‘700 con l’impiego del grano solina, più adatto alle caratteristiche dei terreni appenninici[24]. Poiché i ceti indigenti solo di rado avevano la possibilità di mangiare pane bianco oppure pasta fatta di semola di grano – per gli impasti infatti venivano usati di norma farina di miglio, orzo, segala e farro – ne deriva che il ruzzolo fosse in origine un attrezzo in auge presso le cucine signorili e successivamente diffuso dal personale di cucina negli strati sociali più umili cui essi stessi appartenevano.

Noi propendiamo dunque, per le ragioni suddette, a favore di un “fenomeno di discesa” dell’attrezzo, ma non mancano opinioni opposte, di “ascesa” cioè dai ceti umili e rurali verso quelli nobili e comunque agiati, come sostengono appunto Serventi e Sabban, secondo i quali il ferro da maccheroni (i due Autori ignorano il termine ruzzolo usato dallo Scappi) “utilizzato nell’ambito della confezione domestica, non poteva essere ignoto ai professionisti” [op. cit.] ma cadono come ci sembra in contraddizione quando affermano (ivi) che “il ferro da maccheroni ha conosciuto una vasta diffusione, per lo meno nelle grandi cucine dell’alta società”.

Nelle cucine di corte il ruzzolo deve avere avuto comunque vita breve, perché di esso si perdono le tracce mentre con il nome di rentrocele si è conservato nel mondo rurale – e non solo frentano – fino ai nostri giorni. Ne abbiamo uno sotto gli occhi acquistato a Pretoro (Ch). Esso è lungo 38 cm., con 18 cm. di spirale[25] al centro e 10 cm. in ciascun lato nei due manici. Un altro rentrocele ci è stato mostrato dal sig. Rocco Di Clemente, proprietario dell’Albergo Ristorante “Vistamonti” di Ortona (Ch). Quest’ultimo tuttavia non è di origine frentana, ma proviene invece dal Gargano e precisamente da Monte Sant’Angelo.

Il sig. Di Clemente l’ha ricevuto in dono dal sig. Franco Gatta, pensionato di 74 anni originario di Monte Sant’Angelo, ma residente da molto tempo ad Ortona. Secondo il sig. Gatta ‘u ‘ndròccele – così suona in dialetto foggiano lu rintrocele (o rentrocele) frentano – era diffuso in tutta l’area della Capitanata e presentava spirali di diversa larghezza a seconda della forma desiderata di pasta. Qui l’attrezzo tuttavia viene ancora usato nei giorni festivi ed i maccheroni da esso ottenuti si chiamano lintorci.

Ci sarebbe da indagare molto sul ruolo svolto a tal riguardo dalla pastorizia transumante, cui si deve lungo i territori attraversati dai tratturi la trasmissione di questo come di tanti altri fatti culturali e lo scambio di esperienze che attraverso un metodo dialettico hanno portato all’ampliamento delle cognizioni materiali e spirituali dei vari gruppi sociali.

Indagini, queste, tanto più opportune perché lu rentrocele è del tutto sconosciuto in Molise, come ci assicura il noto studioso Enzo Nocera, di Campobasso, autore di importanti saggi storico-gastronomici, e di tale fenomeno non è certamente agevole scoprirne le cause.

Le perplessità tuttavia aumentano quando si riflette sulla circostanza che in area teramana esiste un attrezzo chiamato pure runtròccelo, ma completamente diverso da quello frentano. Di tale attrezzo abbiamo immagini fotografiche effettuate a Borgonovo dal compianto studioso Rino Faranda, durante le sue “peregrinazioni” storico-gastronomiche nell’area orientale del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Si tratta in breve di un cilindro di ferro filettato, chiuso alla base da un coperchio forato e sostituibile (trafila), nel quale si introducono uno alla volta pezzi di pasta ammassata, spinti in basso da un lungo ferro, anch’esso filettato e dotato di manico. A causa della pressione esercitata, la pasta fuoriesce dai fori in forma di maccheroni, simili a quelli che si ottengono con la chitarra. La base forata del runtròccelo non è saldata perché – come avverte lo stesso Faranda – “si possono ottenere forme di pasta diverse, a seconda della trafila voluta ed usata”[26].

Ciò che sorprende tuttavia è che questo runtròccelo, che il Faranda dopo attive ricerche fa risalire alla fine del XVIII sec., presenta straordinarie somiglianze con un attrezzo descritto nei seguenti termini da Alessandro Dumas nel suo Grand dictionnaire de cuisine [s.v. macaroni]:

“Il macaroni è stato introdotto in Francia dai fiorentini, probabilmente quando Caterina de’ Medici venne a sposare Enrico II … l’Italia e soprattutto Napoli è la patria dei maccaroni. Tutte le specie di farina con le quali si fa il pane, possono servire per fare i macaroni … La semola, convertita in pasta, schiacciata e pestata, è messa in un cilindro metallico … Sul fondo del cilindro si trova un crivello bucato da piccole fenditure della larghezza che si vuol dare alle fettucce del macaroni. Premendo fortemente, la pasta fuoriesce dallo stampo sottoforma di nastro del quale si riuniscono i bordi che si attaccano e formano così i tubi destinati al consumo. I veri golosi introducono in questi tubi, con l’aiuto di una piccola siringa, del sugo di carne o di pesce”.

Il passo da questo tipo di “fettuccine” che venivano arrotolate, ad un crivello “dello spessore di un grosso fuscello di paglia” di cui il Dumas parla in altro luogo, deve essere stato breve e salutato anche in Francia come evento gastronomico, perché eliminava “la riunione dei bordi” e l’impiego di molto tempo superfluo. Vien fatto di chiedersi come mai due attrezzi diversi, quello frentano e teramano, abbiano lo stesso nome di rintrocelo e solo il primo sia spiegabile etimologicamente in base al movimento rotatorio compiuto dall’attrezzo sulla sfoglia di pasta. L’unica spiegazione plausibile è che nel teramano si conoscesse il ruzzolo oppure il rintrocelo frentano, da cui si ottenevano maccheroni simili a quelli ricavati con l’attrezzo risalente – come scrive il Faranda – alla fine del XVIII sec. e dunque al periodo di dominio francese, il che spiegherebbe la somiglianza del runtròccelo teramano con l’attrezzo descritto da A. Dumas.

Ma frattanto a Napoli erano stati fatti progressi notevoli in questo campo, poiché – sottolinea Jeanne C. Francesconi [La cucina napoletana, Roma 1992] – “agli inizi del ‘600 … era stata inventata una primitiva macchina detta ingegno, nella quale la pasta, dopo essere stata lavorata con i piedi, veniva fatta passare forzandola attraverso dei fili tesi o a quella che doveva essere la prima idea della trafila”. Si tratta, per completare e chiarire il passo riportato della Francesconi, di una innovazione importante costituita dal torchio, simile a quello del vino. Se in un primo momento l’impasto avveniva con i piedi, come facevano fino a mezzo secolo fa i vignaiuoli che pigiavano l’uva, alla forza dei piedi fu sostituita subito dopo quella esercitata dalla gramola a stanga e l’impasto ottenuto con questa macchina veniva inserito nel torchio dotato di trafila [Serventi-Sabban, op. cit.].

Siamo in grado oggi, a distanza di dieci anni, di precisare il periodo alquanto vago indicato dalla Francesconi (“inizi del ‘600”) a proposito dell’invenzione a Napoli della “primitiva macchina detta ingegno”, grazie all’Archivio Storico Municipale di Napoli che ha permesso agli studiosi di poter consultare le delibere riportate nelle Assisae, cioè nei pubblici parlamenti. A seguito di una risoluzione adottata in una riunione precedente, fu emesso a Napoli in data 24 ottobre 1565 un’ordinanza che fissava il prezzo dei “maccheroni, vermicelli e altre robbe de pasta fatte all’ingegno a grani sette il rotolo, con ordine espresso che debbiano li vermicellari fare roba di pasta di semola assoluta”[27].

Pur non essendo Napoli – a differenza di quanto scrive A. Dumas – “la patria dei maccaroni”, l’importante data del 1565 è indice di un mutamento in atto presso la società partenopea ed i Napoletani, non più “mangia foglie”, come si è detto in precedenza, cominciano ad essere apostrofati come “mangia maccheroni”.

Il termine ingegno continuò a designare per tutto il ‘600 l’attrezzo citato nella Assisa del 1565, che era tuttavia di carattere professionale ed usato nelle piccole aziende a carattere familiare che si diffondono rapidamente, come scrive la Cirillo-Mastrocinque, a Napoli ed in altri centri del Regno.

A riprova tuttavia del fenomeno della poligenesi nel settore delle “invenzioni” finalizzate alla produzione di paste filiformi, abbiamo la notizia di un’altra “macchina” chiamata ingegno per li maccheroni di cui ci dà notizia Cristoforo Messisburgo[28], che prestava servizio come scalco nella prima metà del XVI sec. a Ferrara, presso la corte Estense.

Non si tratta tuttavia di un “ingegno” come quello napoletano con torchio e trafila, bensì di uno strumento descritto come segue dal frate domenicano Giovan Battista Labat agli inizi del ‘700 in occasione del suo Viaggio in Italia. Esso consiste, scrive padre Labat, in una “siringa il cui cannello presenta una gran quantità di forellini e con la quale si fanno questi vermicelli nelle case private” [Serventi-Sabban, op. cit.].  

Insomma nel XVI e XVII sec. il termine “ingegno” sta ad indicare per lo più – come vedremo ancora nel corso dell’800 – un congegno meccanico, un apparecchio oppure un attrezzo collegato ad una trafila e “proprio in quest’epoca si diffonde nella lingua napoletana l’espressione pasta d’ingegno, ossia modellata alla trafila”. [Serventi-Sabban, op. cit.]

Queste innovazioni meccaniche scaturite da esigenze di commercializzazione da parte delle fiorenti aziende pastaie, risultavano di dimensioni comunque notevoli rispetto agli spazi fruibili nei modesti ambienti familiari. Per la casa occorreva dunque non una macchina, ma un attrezzo. Sicché dai telai con fili di ferro tesi ed adibiti all’essiccazione dei maccheroni deve essere scaturita la prima idea della “chitarra”. E non – come riteniamo – in area campana, dove tutt’ora essa è estranea per tradizione, ma lungo la fascia orientale attraversata dai tratturi, cioè Abruzzo, Molise e Puglia, regione quest’ultima in cui i pastai mostrano una vivace attività produttiva e commerciale a partire dal XV sec.     

Premesso che almeno in area frentana, teramana e, come si è visto, in Capitanata, lu rentrocele ha avuto modo di convivere comunque con la “chitarra” fino ai nostri giorni, è possibile ipotizzare – pur sulla base di scarne notizie – in quale periodo la “chitarra per maccheroni” abbia iniziato a diffondersi nelle tre regioni sopra ricordate ed in parte anche nel Reatino. La prima riflessione parte proprio dallo “strumento musicale” chitarra, che ha conferito per evidenti somiglianze lo stesso nome all’attrezzo “col quale vengono fatti tradizionalmente gli spaghetti (sic!) in Abruzzo ed in altre regioni meridionali della Penisola. [Serventi-Sabban, op. cit.]

Come si è detto [cfr. nota 1], nella tradizione Napoletana esistevano nel XVIII sec. due strumenti, il colascione e la tiorba, che trovano grande eco nella storia letteraria e musicale partenopea. Nella prima metà del XVIII sec., ed in ambiente abruzzese, troviamo citato il colascione nel poemetto di Romualdo Parente Zu matremonio a z’uso, in dialetto scannese, (stanza 21: Mazzuòcco ‘ntanno … comenzette a sonà zu qualascione)[29]. La prima edizione del poemetto risale 1765 e fu pubblicata a Napoli, dove il Parente si forma culturalmente e consegue la laurea in Diritto Civile.

Ma dove emerge, particolare questo di grande importanza, l’assenza completa dell’attrezzo “chitarra per maccaroni” è negli Inventari e Carte Dotali dei secoli XVII e XVIII nonché nei Riveli dello stesso periodo, quest’ultimi contenenti “la descrizione analitica dei beni mobili ed immobili posseduti dalle singole chiese, cappelle, ospedali e confraternite delle diocesi, redatti dalle autorità civili dei singoli paesi in forma di atto pubblico”.

Nel Rilevo stilato nel 1721, relativo all’Ospitale di S. Antonio de Padova, di Pettorano, troviamo elencati tutti gli attrezzi di cucina possibili ed immaginabili, ma non la chitarra:

“Una caldarella di rame, un cotturo, un caldarello, una conca, una fressora, una statela, due catene di ferro per il foco, una cocchiara di maccaroni usata, due spiti, un ferro per le pizzelle, un spianaturo, una botticella ecc.”.

Nell’inventario stilato nel 1808 nel Convento dei Padri Carmelitani di Pettorano, sono elencati nel capitolo Cucina i seguenti attrezzi: “Vari ordegni di ferro per il fuoco, due candelieri, una lucerna, due conche di rame, uno scolatoio, tre caldai, una statera, un braciere, cinque treppiedi, un polsinetto, un pignato (sic), una sartagine (specie di padella) per friggere, una tiella, due cocchiare, una graticola, una grattacacio, un coltellaccio, due cati o siano cottorelle, un mortaio, un’arca da far il pane, una cassa da tener farina vuota, un mezzetto, una coppa, sette fra botti e vascelli, un barile per trasportar vino …” [Cfr. E. Mattiocco- E. De Panfilis, La Terra di Pettorano, Teramo 1989].

Gli stessi attrezzi sono elencati poi nell’Inventario della “Cucina e Refettorio”.

Non meno importanti risultano le “Carte Dotali” di Scanno pubblicate da G. Morelli [Pagine scannesi, Roma 1996], dove accanto agli arnesi ed attrezzi da cucina non viene mai menzionata la “chitarra per maccaroni”. In un Inventario del 5 maggio 1693, fatto nella “Casa dell’heredi del quondam Dr. Francesco Giuseppe De Angelis”, compare tuttavia accanto ad un “arciliuto” un altro strumento chiamato “quitarra spagnola”.

Nell’Inventario de’beni del fu Don Orazio Barone Serafini, stilato nel 1840, sono elencati addirittura utensili ed attrezzi relativi a due cucine, ma della “chitarra per maccheroni” non v’è alcuna traccia. Nella cucina del secondo piano sono solo citati: tre casserole, tre tielle co’coverti di rame, tre sartagini, due manieri di rame, sette cochiare di ferro, due graticole di ferro, sette trepiedi di ferro, due spiedi anche di ferro, un trita caffè, un fiasco di rame, una bilanciola, vari piatti e pignatte, quattro candelieri, due bracieri di rame, due tavolini ed una spianatora di faggio, una mesa da far pane, numero 18 sedie vecchie, un mortale di metallo, un cassone di legno, oltre a piatti, bicchieri , forchette ed altri utensili citati in altri elenchi.

Se è vero che la storia è fatta dai documenti, dovremmo concludere che alla data del 1840, quella appunto dell’Inventario in precedenza ricordato, non si ha notizia nell’Abruzzo Aquilano dell’attrezzo noto come ’ngegne, adibito alla produzione di maccheroni in casa. Ma sappiamo che le ricerche d’archivio riservano sempre sorprese e non si possono di conseguenza trarre conclusioni affrettate. Infatti maggior fortuna ha avuto lo storico Nicola Fiorentino che in tale sede ringraziamo vivamente per una preziosa notizia fornitaci inerente all’area frentana.

Nel X volume dei suoi “Regesti in terra Casularum” [doc.177], il Fiorentino ha trascritto una carta dotale del 1779, redatta a favore di Felicia Sirolli, di Altino, che va sposa ad un tal Antonio Travaglino, di Casoli, nella quale è menzionato assieme ad altri beni mobili “un maccaronaro con corde di ottone”, stimato “carlini 6”.

Ciò significa che l’attrezzo cominciava gradualmente a diffondersi nella seconda metà del XVIII sec. non solo in area frentana, ma forse in tutto l’Abruzzo Citeriore. Quando il termine maccaronaro e le altre voci ‘ngegno e carraturo (quest’ultimo in uso – come mi assicurano alcuni informatori – maggiormente nell’attuale area del Pescarese)[30] saranno sostituiti dalla parola chitarra, è difficile da accertare. Ciò è avvenuto probabilmente nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, quando si completa l’attuale rete ferroviaria regionale e cominciano ad apparire le prime guide turistiche sull’Abruzzo, più esaurienti rispetto a quelle precedenti pubblicate da Karl Baedeker in lingue straniere dal 1869 in poi[31]. Occorreva infatti riunire in una singola voce, operazione questa di “origine dotta” e desunta dalla somiglianza dei vari attrezzi con lo strumento “chitarra”, tutte le diverse designazioni esistenti nelle varie aree regionali ed indizio sicuro della diffusione già in atto del termine “chitarra” è costituito dal Vocabolario del Finamore (1893), nel quale oltre alla voce areale maccarunare, vengono registrate in forma dialettale anche catarre e chetarre. Come si è detto in precedenza, in area peligna ed in genere nell’Abruzzo Aquilano la voce più diffusa è lu ‘ngegne, anche se non manca qualche rilevante eccezione. A Pettorano è in uso infatti il termine maccarunare. Va comunque sottolineato che i termini ‘ngegne, maccarunare e carrature non sono riportati nell’opera giovanile di G. Pansa, Saggio di uno studio sul dialetto abruzzese, (Lanciano 1885).

È rimasto famoso il richiamo degli ombrellai di Secinaro (Aq.), i quali per attirare l’attenzione della gente gridavano per strada “acconcia ‘ngegne e acconcia ‘mbrelle!”, oppure – come si legge in una bella poesia di E. Ricci, di Secinaro – “Acconcia piatte e ‘ngegne rutte!. [Ju Surente Nustre, Sulmona 1966].

Merita di essere riportato il seguente brano di L. Braccili [Folk Abruzzo, Ferri ed., L’Aquila 1979] sugli ombrellai di Secinaro, i quali, secondo l’A., girando per i paesi del Chietino o del Teramano gridavano, al fine di richiamare l’attenzione della gente “assette pure li maccarunare!”, (accomodo anche i maccarunare!),sostituendo così per una vera e propria esigenza semantica il termine ‘ngegne, in uso a Secinaro ed in area peligna, ma sconosciuto in altre parti d’Abruzzo, con quello di maccarunare:  

Giravano di paese in paese, con a tracolla una cassetta piena di attrezzi. Il loro grido era: «ombrellaroooo!» con la “o” finale allungata, come quella che caratterizzava il grido dell’arrotino. Dopo una breve pausa però l’ombrellaio, aggiungeva, in dialetto, «assette pure li maccherunare!». Sì perché quei modesti artigiani quando avevano fra le mani qualche ombrello da riparare chiedevano sempre alla massaia se aveva in casa una chitarra con i fili rotti da rimettere in sesto. Provenivano da Secinaro (altri ne esistevano anche a Pretoro dove era diffusa la lavorazione del legno) e ciò spiega il fatto che si trovavano disposti ad accomodare anche ombrelli da spiaggia, sedie a sdraio, tinozze per il bucato Gli ombrellai insistevano molto nel richiedere quelli che chiamavano “li maccherunare” perché sapevano che in Abruzzo in ogni casa c’è una chitarra per fare i maccheroni carrati. La chitarra non è altro che un telaio rettangolare di legno di faggio che presenta fra i due lati inferiori del rettangolo dei fili di acciaio molto tesi disposti alla distanza di pochi millimetri. Vi sono due tipi di chitarre, secondo i due tipi di maccheroni carrati, il primo per produrre i «maccheroni» tuttuovo, finissimi come i cosiddetti capelli d’angelo, presenta i fili n distanza minima ed il secondo per fare i «maccheroni a mezzuovo», più grossi dei primi e più sodi ed in questo caso la chitarra reca i fili messi ad una distanza più larga.

Su questi fili viene disposta la sfoglia e la massaia lavora con la forza delle sue braccia e con un mattarello per far si che i fili taglino la sfoglia per ridurla in tanti fili sottili.

Questo sforzo della massaia spesso determina la rottura dei fili ed è in questo caso che l’opera dell’ombrellaio diventa indispensabile. Per quanto riguarda gli ombrelli poi ognuno di noi a sue spese si accorge che le piccole cerniere che reggono i fili interni del «paraacqua» sono soggetti facilmente a rompersi.

Purtroppo, quando avvengono queste rotture, siamo costretti a buttare l’ombrello e comprarne un altro. Questo atto dispendioso, dovuto alle implacabili regole del consumismo, lo compiamo abitualmente da quando non sentiamo più gridare in strada: ombrellarooo!.

La diffusione per tutto l’Aquilano del termine ‘ngegne, di chiara origine napoletana, trova spiegazione negli stretti rapporti esistenti fra l’Abruzzo interno e la capitale del regno a partire soprattutto dal 1820, anno di entrata in esercizio della “Real Strada di Fabbrica” che univa Napoli e Sulmona ed il cui ultimo tratto, quello che da Roccapia perviene a Pettorano, è tuttora noto come Via Napoleonica, perché completato sotto il Regno di G. Murat.

In definitiva, la circostanza che in qualche documento d’archivio o notarile si possa rinvenire già agli inizi o alla metà del ‘700, una delle suddette voci (‘ngegne, maccarunare o carrature) non assume a nostro avviso una decisiva importanza, perché ciò che è rilevante è il periodo in cui le suddette voci cominciano a perdere il loro antico valore semantico e la parola “chitarra” si sostituisce alle diverse voci dialettali. Insomma, per dirla con il De Saussure, quando “la parole” diventa “langue”.

Un singolare racconto del D’Annunzio sull’origine della “chitarra per far maccheroni”.

Concludiamo questa nostra ricerca con un racconto del d’Annunzio sull’origine della “chitarra per far maccheroni”, da ritenersi- almeno crediamo- frutto della fervida fantasia dell’Imaginifico.

Ma procediamo con ordine. Gian Carlo Fusco ha pubblicato di recente una raccolta di saggi gastronomici dal titolo “L’Italia al dente” [Sellerio ed., Palermo 2002], un “libro quasi commestibile – sottolinea l’A. nell’introduzione – dedicato a due galantuomini” che furono appunto Giovanni Voiello, fondatore nel 1879 a Torre Annunziata dell’omonimo pastificio, e Raffaele Fusco, nonno dello scrittore, che fu buon letterato.

Ora uno dei saggi di Gian Carlo Fusco ha per titolo “La chitarra dell’Imaginifico” ed in esso si narra come nel 1926 la Marina Militare Italiana decidesse di “donare a Gabriele d’Annunzio, sistemandogliela fra le amene verzure del Vittoriale, la prora della nave Puglia. Cimelio ambitissimo dal Poeta Soldato, perché su quella tolda, nel 1920, a Spalato, era stato ucciso il comandante Tommaso Gulli”.

L’incarico di quell’operazione fu affidato ad alti ufficiali del Genio Navale, fra cui appunto Carlo Fusco, padre dello scrittore, che per una serie di motivi fu costretto a portare con sé il figliuolo Gian Carlo, che all’epoca aveva 11 anni.

Qualche giorno dopo – scrive Gian Carlo Fusco – il gruppo si ritrovò a pranzo a Gardone, invitato dal d’Annunzio, e “due donne dai capelli corvini iniziarono il servizio recando ciascuna un vassoio colmo di pastasciutta fumante”.

A questo punto il d’Annunzio si rivolse a Gian Carlo Fusco e gli chiese: “Hai guardato bene, nostromo giovinetto, i maccheroni che la mia ancella divota t’ha messo nel piatto? Hai notato la loro foggia singolare, curiosa?”

Guardai il piatto – scrive Gian Carlo Fusco – per la prima volta e notai che gli spaghetti non erano di forma cilindrica. “Questa è la pasta caratteristica dell’Abruzzo – aggiunse il Poeta – ch’è la mia terra. È nomata pasta alla chitarra perché un tempo la sfoglia veniva tagliata proprio con le corde di una chitarra. Al posto della quale venne poi usato un istrumento, munito di alcuni fili metallici ben tesi. Si dice che l’arnese sia stato ideato da un ciabattino di Palena, sulle pendici della Maiella, chiamato Manicone. Questa è la storia di questa pasta abruzzese. La rammenterai, angeluzzo marino?”.  Conclude Gian Carlo Fusco: “Si, la ricordo ogni volta che mi capita di mangiare spaghetti alla chitarra”.

La notizia che la “chitarra” sia stata inventata, secondo il d’Annunzio, da un “ciabattino” di Palena va relegata come dicevamo all’inizio, al mondo delle amene curiosità se non delle consuete “bugie” dell’Imaginifico. E fra queste, forse la più vistosa, è quella concernente “la genesi della Figlia di Iorio”, come ha precisato di recente A. Rubini in uno studio storico-critico sull’argomento[32] , nel quale viene smentito il racconto del Vate, secondo cui “lui e Michetti se ne stavano sulla piazzetta di Tocco, allorché vi apparve una donna che fuggiva, inseguita dai mietitori”.

Infatti, sottolinea il Rubini, “sono inesatte le credenze che lo vogliono a Tocco nel 1881,1882 e 1883…e sarebbe impossibile registrare tutti i cambiamenti di umore del Vate, il quale cambiò idea anche a proposito del tempo di realizzazione dell’opera”.

Un’indagine svolta a Palena sul ciabattino “chiamato Manicone” ed inventore secondo il Vate della “chitarra per far maccaroni”, non ha portato ovviamente ad alcun risultato. Ci piace immaginare tuttavia che, come per tanti altri utensili conservati nei nostri Musei Etnografici, ci troviamo di fronte ad un caso di “monogenesi” e diffusione dell’attrezzo ma al di là di ogni ipotesi resta comunque il fatto che la “chitarra” deve essere considerata a giusto titolo come la più bella bandiera del nostro Abruzzo.

Franco Cercone


[1] – Cfr. Giulio C. CORTESE, Opere poetiche, Voll.2, a cura di E. Malato, Roma 1967. Particolarmente importanti risultano due “poemi” inclusi nel 1° volume: la Vaiasseide, poema satirico sulle vaiasse, cioè “serve” o “fantesche”, dal Tassoni definito “eroicomico”, e La Tiorba a taccone. La “tiorba” era una speciale chitarra a due manici, con 8 oppure 10 corde, suonata con un plettro di cuoio detto taccone, donde il suo nome di tiorba a taccone. Essa si distingueva dal calascione (o “colascione”) perché le corde in quest’ultimo strumento “non erano più di due o tre”. Cfr. Giulio C. CORTESE, ivi, Vol. I. Del calascione parla com’è noto Romualdo Parente nel poemetto in dialetto scannese Zu matremonio a z’uso, composto nel 1765, sul quale torneremo in seguito. 

[2] – Cfr. L. SADA, Spaghetti e compagni. Prima documentazione per una storia delle paste alimentari e nomenclatura dialettale pugliese Bari 1982; E. SERENI, Terra Nuova e buoi rossi, Torino 1981; A. CIRILLO MASTROCINQUE, Usi e Costumi popolari a Napoli nel Seicento, Napoli 1978; Jeanne C. FRANCESCONI, La Cucina Napoletana, Roma 1995; R. RICCIO, A tavola con i Borboni, Bologna 2002; C. DE BROSSES, Viaggio in Italia. Lettere familiari, prefazione di C. Levi, Bari 1992; V. CORRADO, Del Cibo Pitagorico ovvero erbaceo per uso de’ Nobili e de’ letterati, rist. dell’Edizione Napoli 1781, a cura di T. Gregory, Roma 1991; R. FARANDA, Itinerari turistico-gastronomici dei Monti della Laga, Colledara 1996; Carlo A. MARSILIO, Su alcuni strumenti della cucina abruzzese, in “Rivista Abruzzese”, n° 2, 2002; id., Due attrezzi abruzzesi, in “L’Accademia Italiana della Cucina”, n 127, Milano 2002;M. MONTANARI, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Bari 1988; id.: L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo, Napoli 1979; AAVV, Il mondo in cucina. Storia, identità, scambi, a cura di M. Montanari, Bari 2002.

[3] – Cfr. Dizionario etimologico italiano, a cura di C. Battisti e G. Alessio, s.v. pizza, vol. IV, Firenze 1975; N.F. FARAGLIA, Codice Diplomatico Sulmonese DOC. XLV, Sulmona 1888. Più tardi, nel 1276, compare anche il termine splanata in una “concordia” stipulata fra l’Abate del monastero di Santa Maria de Quinquemilliis e gli uomini dei casali di San Nicola e Scodanibio, villaggi posti nel medio corso del Sangro. Il termine splanatas indica “schiacciate” cotte al forno, o forse anche “focacce”, antesignane delle attuali “pizze”. Cfr. G. CELIDONIO, La Diocesi di Valva e Sulmona, vol. III, Casalbordino 1910; E. GIANCRISTOFARO, La pasta e la pizza, in “Rivista Abruzzese”, n° 1, 1999.

[4] – Cfr. IDRISI, Il Libro di Ruggero. Il diletto di chi è appassionato per le peregrinazioni attraverso il mondo, a cura di U. Rizzitano, Palermo 1994.

[5] – M. MONTANARI, Alimentazione e cultura … ecc, op. cit.; F. Zambrini (a cura di), Libro della cucina del sec. XIV, Bologna 1863; L. Sada, op. cit.

[6] – Il brano di Mastro Barnaba, tuttora allo stato di manoscritto, è tratto da un fondamentale saggio di Giovanni ALESSIO (sul quale torneremo in seguito) dal titolo Storia linguistica di un antico cibo rituale: i maccheroni, in “Atti dell’Accademia Pontaniana”, Nuova Serie, VIII, 1958. Il passo riportato si trova a p. 265; il manoscritto del Compendium di Mastro Barnaba è conservato nella Laurenziana di Firenze ed è stato scoperto da E. Sereni.

[7] – Cfr. Decameron, a cura di R. Marrone, Roma 1995. Va ricordato che il Sacchetti, discepolo del Boccaccio, scrive nella raccolta delle Trecentonovelle (n° C 101015) che uno dei protagonisti, Noddo d’Andrea, si serviva della forchetta per “raguazzare e avviluppare” i maccheroni, che dovevano essere pertanto lunghi.

[8] – Va corretta pertanto l’affermazione di Serventi e Sabban, secondo cui la parola “maccheroni” compare per la prima volta nel Libro di Arte Coquinaria del Maestro Martino da Como (prima metà del VX secolo). Cfr. S. SERVENTI- F. SABBAN, La pasta. Storia e cultura di un cibo universale, Bari 2000.

[9] – Cfr. E. SERENI, Terra nuova e buoi rossi, op. cit.; M. MONTANARI, Alimentazione e cultura, op. cit.

[10] – G. ALESSIO, ivi, p.264. Va ricordato che nella commedia La vedova (1569) di Giambattista Cini, i Siciliani sono apostrofati “mangiamaccheroni”, al contrario dei Napoletani qualificati come “mangiafoglia”. Cfr. B. CROCE, Commento a Il Pentamerone. Ossia la fiaba delle fiabe tradotta dall’antico dialetto napoletano e corredata di note storiche, ristampa Bari 1957.

[11] – Cfr. S. SERVENTI – F. SABBAN, La pasta…, op. cit.

[12] – S. RAZZI, Viaggi in Abruzzo, a cura di B. Carderi, L’Aquila 1968.

[13] – Cfr. F. AUBAILE-SALLENAVE, Quelques caractères communs aux quisines mediterranèennes, in AA VV. Cultures, Nourriture, p.164, Saint Amand Montrond, Babel Ed. 1997.

[14] – Il metodo tradizionale per ottenere questi particolari fusilli non è del tutto scomparso e qualche anno fa abbiamo assistito a Vallo della Lucania (Sa.) ad una prova dimostrativa da parte di alcune casalinghe della suddetta località del Cilento.

[15] – Cfr. V. CORRADO, Del cibo pitagorico, ovvero erbaceo per uso de’ Nobili e de Letterati, Napoli 1781. Ristampa a cura di T. Gregory, Roma 2001. Il volume presenta in Appendice il Trattato delle patate per uso di cibo, da V. Corrado dato alle stampe a Napoli nel 1798.

[16] – In P. CAMPORESI, Alimentazione, folclore, società, Pratiche ed., Parma 1980.

[17] – La ricetta sarà riportata anche nell’altra opera di V. Corrado, Il cuoco galante (Napoli 1801), che secondo il Camporesi segna il vero e proprio atto ufficiale di nascita dei “moderni gnocchi”.

[18] – Cfr. A. DI NOLA, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino 1976.

[19] – L. DIODATO, Il linguaggio del cibo. Simboli e significati del nostro comportamento alimentare, Saveria Mannelli (Catanzaro) 2001.

[20] – Cfr. La cucina tradizionale italiana nell’Opera di Bartolomeo Scappi, “Quaderno n° 2 dell’IPSSAR Roccaraso”, Torre dei Nolfi (AQ), 1975, a cura di D. Adacher. Dell’Opera di B. Scappi esistono due edizioni anastatiche a cura dell’editore Forni, Bologna, 1981 e 2003. Il titolo preciso del trattato dello Scappi è Opera dell’arte di cucinare di M. Bartolomeo Scappi, cuoco secreto di Papa Pio V, divisa in sei libri , in seguito citata semplicemente Opera.

[21] – Cfr. Carlo A. MARSILIO, Su alcuni strumenti della cucina abruzzese, in “Rivista Abruzzese” n° 2, 2002 p.163; id., Due attrezzi abruzzesi, in “L’Accademia Italiana della Cucina”, n° 127, Milano 2002; D. COLTRO La cucina tradizionale veneta, Roma 2002.

[22] – Cfr. L. Cogliati Arano (a cura di), Tacuinum Sanitatis, Milano, Casa Ed. Electra, 1979.

[23] – D. ADACHER, La cucina tradizionale italiana, ecc., cit. in “Quaderno dell’IPSSAR Roccaraso”.

[24] – Cfr. G. DEL RE, Calendario per l’anno bisestile 1820. Il quarto del regno di Ferdinando I, Napoli 1820.

[25] – Ci si imbatte spesso nei termini scanalatura o scanalato, assai efficaci per l’immagine che proiettano, ma non riportati nei vocabolari di lingua italiana più accreditati, come per es. quello di G. Devoto-G. Oli.

[26] – Cfr. R. FARANDA, Itinerari turistico- gastronomici ecc., op. cit.; il Faranda scrive che i maccheroni non venivano conditi col pomodoro, per la semplice ragione che ai tempi del runtròccelo, ovverosia alla fine del ‘700, esso era ancora sconosciuto in Italia. L’affermazione non è esatta, perché il pomodoro entra a far parte di molte ricette riportate nell’ultimo decennio del ‘700 nelle Opere di V. Corrado in precedenza citate.

[27] – Archivio di Stato del Municipio di Napoli, Assisae, T. 9, 1576, Foglio 199.

[28] – Cfr. C. MESSISBURGO, Libro Novo nel quale si insegna a’ far d’ogni sorte di vivanda secondo la diversità de’ tempi, così di carne come di pesce, Venezia 1557, ristampa an. Forni, Bologna 1980.  

[29] -Cfr. R. PARENTE, Zu Matremonio a z’uso, a cura di E. Giammarco, Scanno 1971; a cura dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo. Contiene anche l’altro poemetto di R. Parente, La fjjana de Mariella.

[30] – Un vivo ringraziamento va in particolare al prof. Nicola D’Alonzo, docente di Cucina presso l’Istituto Alberghiero di Villa S. Maria. Va ricordato che il termine carraturo non è registrato da G. Finamore nel suo Vocabolario dell’uso abruzzese, Città di Castello 1893.

[31] – Cfr. al riguardo L. RUSSI, Viaggiatori Europei dell’Ottocento; in “Atti del Terzo Convegno Viaggiatori Europei negli Abruzzi e Molise”, Teramo 1976.

[32] – Cfr. A. RUBINI, La Figlia di Iorio di G. d’Annunzio compie il secolo; in “Abruzzo e Sabina di ieri e di oggi”, n.2, 2003.




RADUNO PROVINCIALE DEI BERSAGLIERI

A Rocca San Giovanni il secondo

Rocca San Giovanni, 29 aprile  2024  Si è tenuto ieri a Rocca San Giovanni il secondo raduno provinciale dei Bersaglieri. I cittadini del paese si sono svegliati al suono della Fanfara  che ha sfilato per le strade del centro storico  e ha tenuto un concerto nel corso della mattinata.

“È stato un evento davvero emozionante – ha commentato il sindaco Fabio Caravaggio -. I miei ringraziamenti vanno a Massimo Marino, nostro concittadino e bersagliere che ha promosso l’iniziativa, all’Associazione nazionale dei Bersaglieri, ai consiglieri comunali di Rocca San Giovanni, ai sindaci del comprensorio, ai  rappresentanti della Provincia e della Regione, alle forze dell’ordine, alla protezione civile, a tutti gli sponsor e a tutti i cittadini che hanno partecipato alla manifestazione”.

Nel corso del discorso pubblico di ieri, il sindaco Caravaggio ha affermato: “I Bersaglieri rappresentano ardore ed impeto, prontezza nello slancio e resistenza nella corsa, e sono quelli che, oltre alla marcia e alle note della Fanfara, ci regalano emozioni e ci fanno comprendere lo spirito di dedizione alla patria e il sacrificio per i suoi più alti valori e ideali. Al loro arrivo, tutti proviamo un forte sentimento di allegria, gioia e partecipazione ma non possiamo non ricordare che la loro presenza nella storia d’Italia è stata altrettanto fondamentale quanto quella di altri protagonisti che hanno contato lutto, dolore e sofferenza nel supremo atto di compiere le missioni a loro affidate. Oggi a Rocca San Giovanni, festeggiamo questi uomini e rendiamo loro onore e gratitudine per tutto ciò che di buono e di grande hanno fatto e continueranno a fare per l’Italia e per gli italiani”.




LA POLIZIA NON MANGANELLA GLI STUDENTI

La vignetta di RU: #Vannacci dacci oggi la nostracäzzatå quotidiana

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GIORGIA ALLA RICERCA DEL PLEBISCITO

PoliticaInsieme.com, 29 aprile 2024.  “Scrivete solo Giorgia sulla scheda elettorale”. Giorgia Meloni conferma la mala pratica di candidarsi per concorrere ad un seggio che mai onorerà. L’hanno annunciato anche Eddy Schlein ed altri. Molti di quelli che si danno da soli la patente di leader.

Nel convulso trentennio del bipolarismo, nel corso del quale sono emersi i tanti vizi della personalizzazione della politica, delle nomine dei parlamentari venute dall’alto e della distruzione del sano e necessario rapporto tra eletti ed elettori, abbiamo già viste un po’ di cose di questo genere. Nonostante la fine dei totalitarismi nazifascista e comunista avesse chiuso il perverso e nefasto rapporto tra il “capo” e le masse di cui ci hanno parlato tanti storici, come Geroge Mosse, e gli psicologi delle folle, la tentazione, diciamo provinciale all’italiana? si è ripresentata e, ancora, si ripresenta.

Berlusconi e Renzi ne sono stati gli epigoni più significativi. Seguiti a ruota dal rampante Salvini, il grande mattatore della fine del nostro primo ventennio di secolo, fino alla brutta caduta da cavallo del 2019. I risultati li abbiamo visti. Al punto che in molti hanno ritenuto che il nostro sistema politico bipolare fosse giunto al capolinea. E in effetti, è comunque così, anche se Giorgia Meloni si rimette adesso a scaldare i motori dello stesso autobus e a ripartire lungo la stessa strada, in vista delle elezioni europee. Cerca la vittoria in “solitaria” del Giro d’Italia.

È che lei ne ha assolutamente bisogno. Le serve il plebiscito, un successo personale il prossimo giugno. Sarà molto improbabile, infatti, che dal voto per il Parlamento di Strasburgo  venga il risultato che le destre stanno promettendo al grido “cambieremo l’Europa”. È più realistico aspettarsi che i suoi “conservatori e riformisti” diventino, sì più forti, ma senza la possibilità d’incidere più di tanto. E può darsi che la Meloni sarà costretta, invece, a riconoscere la necessità di essere lei a “farsi cambiare” per evitare d’imboccare  la via del tramonto come accadde a Salvini quando si mise di traverso all’Europa per continuare a stare con Putin.

Ma per poi fare ogni cambiamento, Giorgia Meloni ha bisogno di un risultato importante che la rafforzi come leader unica ed esclusiva di un coacervo di gente di destra che va dal piccolo borghese, spaventato dalle novità del mondo, a quello che il mondo nuovo non l’ha mai accettato come se fosse un giapponese sbandato in una delle giungle delle isole del Pacifico dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Basti però che non dimentichi il detto orientale, scordato invece da Renzi dopo il grande successo raggiunto quando raccolse il 40% del 40% dei votanti: “ora che hai vinto indossa l’armatura”.




VANNACCI E I DISABILI

Testimoni privilegiati della nostra umanità

PoliticaInsieme.com, 29 aprile 2024. Il più bel commento alle farneticazioni del Generale Vannacci lo ha fatto Mons. Francesco Savino, vicepresidente della CEI, in una intervista comparsa ieri sul Corriere:  “Provate a stare con le persone diversamente abili per un po’, venite e vedete, e poi ditemi se ci vogliono classi separate. Perché il cosiddetto disabile, in una classe, è una presenza preziosa. La migliora. I diversamente abili diventano il collante della classe, la uniscono, sono i protagonisti attorno ai quali si costruisce il cammino educativo”.

Non c’è altro da aggiungere. Tanto basta per misurare quanta – incolmabile? – distanza corre tra una concezione dell’uomo, non necessariamente d’ordine religioso e d’ispirazione cristiana, ma del tutto laicamente umanistica, ed un’antropologia che sia, consapevolmente o meno, d’impronta razzista.

I leghisti che prendono le distanze dal loro candidato – di fatto, checché ne dicano, eletto a bandiera del loro partito – sono benvenuti tra tutti coloro che respingono sentimenti di derisione, di ricercata emarginazione per le persone più deboli. Da lì fino a scivolare giù per una china di odio, ci vuole poco. Può succedere, perfino, senza volerlo. Attraverso un meccanismo psicologico perverso, l’odio per il “diverso”, cioè la negazione radicale del suo valore, diventa, paradossalmente, l’alibi, la giustificazione di quel disprezzo pregiudiziale che si coltiva nei suoi confronti e del quale, sia pure oscuramente, si avverte il peso morale difficilmente sopportabile.

È tempo di affermare che, al contrario, i disabili sono testimoni privilegiati della nostra umanità. I più gravi, in modo particolare. Quanto più sono compromesse le loro autonomie funzionali, tanto più appare, nella sua nuda essenza, il valore originario ed incondizionato della loro umanità, la ricchezza irriducibile della loro persona.