La complessità da governare
Politicainsieme.com, 15 maggio 2023. Il presidenzialismo, come ogni forma di centralizzazione e personalizzazione del potere, dovrebbe fare i conti con quell’ insieme di processi che riconduciamo sotto il termine di complessità. Per concludere che si tratta dell’impianto istituzionale meno adatto a governare un simile contesto.
Anzitutto, chiedendoci se consideriamo la complessità sociale alla stregua di una calamità o almeno una pietra d’inciampo di cui faremmo volentieri a meno o piuttosto un arricchimento, un’ opportunità offerta al nostro tempo. In altri termini, è possibile addomesticare la complessità, darne conto senza mutilarla, senza impoverirla e, nel contempo, disegnarne il profilo?
Ma cosa intendiamo esattamente per complessità?
È possibile farne una risorsa piuttosto che un nodo scorsoio?
“Complessità” è un vocabolo che segnala una chiave di lettura inedita, una di quelle nuove categorie interpretative di cui abbiamo bisogno per darci ragione del mondo in cui siamo immersi. È un concetto tipicamente post-moderno, nella misura in cui non è facilmente riconducibile all’ordinata razionalità cui aspirava la modernità. È, però, un termine cui troppo spesso ricorriamo in modo improprio.
Lo sciupiamo, ne facciamo una delle tante parole-passe-partout di cui volentieri ci riempiamo la bocca. Parole magiche che letteralmente consumiamo a furia di ripeterle a luogo e fuori luogo, con la pretesa che dicano tutto, cosicché le riduciamo a non dire più nulla. In altri termini, le arruoliamo nel vocabolario del nostro quotidiano discorrere come schermo della nostra sostanziale ignoranza.
Per complessità si deve intendere una matassa di cui abbiamo smarrito il bandolo. Una tale sovrapposizione di stati, di processi, di eventi e di percorsi disposti su più livelli che si incrociano, attecchiscono l’uno all’altro, da una parte simbiotici, dall’altra incomponibili, per un verso si appianano reciprocamente, ma soprattutto, al contrario, stridono l’un contro l’altro, cosicché crescono a dismisura le variabili in campo e viene meno una passabile lettura della consequenzialità tra cause ed effetti.
Si approda, in sostanza, ad una condizione impredicibile, tipica, in natura, dei sistemi non-lineari, non a caso ascrivibili al cosiddetto “caos deterministico”. Il quale rispetta due condizioni.
In primo luogo, un minimale scostamento delle condizioni iniziali di un processo genera un tale ampio ed imprevedibile allargamento a ventaglio dei suoi esiti possibili, da rendere aleatoria ogni possibilità di dirigerne gli sviluppi.
In secondo, luogo, in tanto incoercibile disordine, ad un certo punto, compare misteriosamente un attrattore, attorno a cui le dinamiche del processo in corso si ricompongono in una nuova ordinata costellazione.
Si intravede una certa analogia tra processi fisici e processi sociali o, almeno, si possono assumere i primi come metafora dei secondi. Senonché questi ultimi non possono essere abbandonati alla spontaneità
della loro evoluzione naturale, ma vanno governati nella misura in cui mettono in gioco valori umani.
E qui si giunge al dato politico. È possibile, in definitiva, governare la complessità?
Intendiamo farlo?
Conviene farlo ?
Oppure torna più comodo lasciar fare al corso degli eventi, abbandonarci, più o meno fiduciosi, all’alea, si potrebbe dire, della destinazione che abita nel profondo delle cose ?
Sperando che, anche nel nostro caso, compaia, ad un certo punto, un attrattore e magari confidando che sia la tecnica ad assumere questo ruolo ? Non sarebbe comodo sgravarci da ogni responsabilità, adattarci e lasciar correre gli eventi giù per la loro china, accontentandoci di lucrarne i possibili utili marginali ?
Se manteniamo, invece, la pretesa di orientare il corso della storia, al momento – sia pure a grandi linee – il mercato delle opzioni possibili offre, da un lato le soluzioni, per intenderci, presidenzialiste, dall’ altro quelle incentrate su processi di una vasta partecipazione democratica e popolare, che si compendia nella forma rappresentativa e parlamentare dell’ordinamento istituzionale.
Si tratta, ovviamente, di due campi, che contemplano, ambedue, paradigmi applicativi differenti. Senonché, il modello orientato alla centralizzazione del potere evoca un sistema chiuso. Il quale, a fronte della complessità non può fare altro, per cercare di domarla, se non operare semplificazioni arbitrarie, potature forzose. S’impoverisce la realtà sociale, si riduce la ricca arborizzazione delle questioni in campo ad un torsolo nudo che perde per strada la varietà di suggestioni, di valori, di nuove domande di libertà e di senso che la società incessantemente propone.
Contro l’illusione di una semplificazione drastica e risolutiva, contro ogni apparenza, solo sistemi democratici, non elitari, popolari ed aperti che non dettano soluzioni per via deduttiva, calandole dall’ alto, bensì sanno apprendere dall’esperienza, sono in grado di governare l’ esuberante ricchezza della società complessa.
Domenico Galbiati
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