SEGURA TEMPORA

Tutto pronto per la quarta edizione

Martinsicuro, 19 luglio 2024. Il 20 e il 21 luglio torna a Martinsicuro Segura Tempora – ai confini del regno di Carlo V – la rievocazione storica, giunta alla quarta edizione, in onore di Martin de Segura, nobile spagnolo ed alto funzionario del Regno di Napoli al quale la città deve il suo nome. Saranno due giorni ricchi di storia, cultura e spettacoli: previsto anche un corteo in costumi rinascimentali e una imperdibile cena popolare cinquecentesca che si terrà nella suggestiva cornice della Torre Carlo V. La manifestazione è organizzata dal Comune di Martinsicuro – cultura e beni culturali – in collaborazione con il Gruppo Archeologico del Medio Adriatico (G.A.M.A.), e con l’Associazione Kronos-turismo collettivo. La direzione artistica è affidata all’Arch. Pasquale Tucci, presidente del GAMA, all’iniziativa prenderanno parte anche i comitati di quartiere.

Segura Tempora è patrocinato dalla Regione Abruzzo, dalla Provincia di Teramo, dal Comune di Colonnella, che partecipa all’evento  con il Barone Rosales e la sua corte, con il contributo della Presidenza del Consiglio Regione Abruzzo e della Fondazione Tercas.

Si inizia Sabato 20 luglio, alle ore 19, alla Torre Carlo V con lo spettacolo di FALCONERIA a cura di Alessandra Giampaoli, e l’esposizione di rapaci con esibizioni di voli e cenni storici sulla nobile e regale arte della caccia con rapaci, a cura della scrittrice Ornella Albanese autrice del romanzo “Il falconiere dei re”.

La serata continuerà con l’arrivo alla Torre di Martin de Segura accolto dal Barone Rosales e dal popolo. Il banchetto proposto, il cui menu è stato studiato ed elaborato dallo storico Matteo Di Natale, vuole essere un omaggio alla cucina popolare vibratiana del Cinquecento, pur senza avere alcuna velleità di assoluta certezza storica, immaginando il barone Benedetto Rosales che, all’arrivo di Martin de Segura, offre ai suoi cittadini una cena proponendo un pasto della tradizione contadina di quell’epoca. La serata sarà animata dal menestrello e le sue storie e da canti, musica e balli rinascimentali del gruppo Omnia Tempora e Danze Antiche Venus.

Domenica 21 luglio, invece, sarà la volta del Corteo in costume, con la partecipazione dei quartieri di Martinsicuro e del Comune di Colonnella che sarà presente con “Il Barone Benedetto Rosales” e la sua corte. Partecipano poi al corteo il “Gruppo dell’insediamento del Podestà“, il “Palio della Balestra di Castel di Lama”, gli Sbandieratori della “Cavalcata dell’Assunta di Fermo” e l’ ASD Pony Passion Club di Spinetoli.

Si partirà dal Lungomare Europa alle ore 21.15 e percorrendo via Aldo Moro si giungerà in Piazza Cavour alle ore 22.00.

Il corteo sarà aperto dal nobile Martin de Segura, impersonato quest’anno dall’Ass. Marcello Monti, seguito da una ricca e numerosa corte composta dagli amministratori della città di Martinsicuro.

I Quartieri partecipanti saranno Santa Lucia, Sacro Cuore, Santa Rita. Anfiteatro, Nuova Rosa e Campo Casone.

Giunti in piazza Cavour, spazio all’esibizione conclusiva degli sbandieratori e tamburini e a seguire “LUCE“, un suggestivo spettacolo a cura della Compagnia dei Folli.

“L’obiettivo principale dell’amministrazione – dice la delegata alla cultura, Giuseppina Camaioni – è quello di valorizzazione la millenaria storia di Martinsicuro e dei suoi beni culturali come la Torre Carlo V e la Casa doganale costruite proprio sotto il dominio di Carlo V, e che attualmente ospitano il Museo archeologico “Antiquarium di Castrum Truentinum”nostro fiore all’occhiello. C’è anche l’interesse e la volontà di approfondire, di studiare e di riscoprire gli usi, i costumi e le tradizioni di quel periodo storico della costruzione della Torre (1547) e, non per ultimo, c’è il desiderio di dare spazio alla socializzazione, all’incontro e alla collaborazione fra i vari quartieri della città”.




LO SCIAMANESIMO E IL RISCHIO DEL MALIGNO

A cura dell’Associazione Internazionale Esorcisti

Agensir.it, 13 Luglio 2024. Se è comprensibile che ancora oggi, nella giungla o nella steppa, ci sia chi va dallo sciamano, meno comprensibile è che ci si vada nel cuore del Veneto, in una abbazia sconsacrata, e che a farlo siano dei battezzati o comunque degli italiani nati e cresciuti in una realtà cristiana. Quanti si lasciano trascinare in queste pratiche rivisitate possono correre gravi rischi, dal momento che, entrando in giri esoterici, terapeutici e neopagani, possono esporsi più facilmente all’azione straordinaria del maligno

Con il termine sciamanesimo si indica l’insieme di antichi riti e credenze che hanno come protagonista lo sciamano, figura difficile da definire dal momento che questo termine viene usato per indicare personaggi assai diversi appartenenti a differenti contesti religiosi dell’Africa, dell’Oceania e dell’America, nonché dell’Asia, in particolare della Siberia.

Ciò che accomuna tutte queste diverse figure di sciamani è l’operare in società dominate dalla convinzione che il destino e gli avvenimenti terreni sono determinati da spiriti ultraterreni e che le difficoltà e i problemi della vita possono essere risolti solo da persone aventi la possibilità di entrare in contatto con questi spiriti mediante un viaggio nel loro mondo.

Lo sciamano è dunque un ponte tra il mondo terreno e quello degli spiriti e diventa tale non per sua iniziativa, ma per una chiamata da parte degli spiriti a cui non può rispondere negativamente e dai quali si lascia possedere.

In questo modo lo sciamano diventa un intermediario professionale che fa da tramite tra il mondo degli uomini e il mondo degli spiriti per scopi soprattutto curativi e divinatori. Per raggiungere questo scopo fa uso di preghiere, canti, danze, suono dei tamburi. Dagli spiriti lo sciamano impara le proprietà delle piante medicinali, dove e come coglierle e fa uso anche di sostante stupefacenti. Tramite lo spirito o gli spiriti che lo possiedono, egli viaggia in astrale, cioè fuori del proprio corpo, funge da indovino, fa profezie, cura le malattie, va a caccia di anime uscite dal corpo, agisce sulle forze della natura (ad esempio modifica le condizioni atmosferiche), fa da consigliere nel gruppo sociale di appartenenza. Nel medesimo tempo lo sciamano pretende di controllare gli spiriti costringendoli a obbedire. Talvolta può capitare che uno sciamano si scontri con altri sciamani con i quali si trova in concorrenza o appartenenti a gruppi nemici.

Come già accennato, lo sciamanesimo è espressione di una società tradizionale arcaica, fondate su precise credenze. L’attuale diffondersi, sempre più in crescendo, di pratiche sciamaniche nel contesto occidentale, compresa l’Italia, è legata in parte al movimento New Age e alla sua appropriazione sincretistica di credenze e pratiche religiose, sia dell’Oriente, sia delle culture indigene. La reinvenzione dello sciamanesimo inoltre è presente in circoli esoterici e occultistici legati al neopaganesimo. Per questo le culture dei nativi che sin dalle origini praticano queste usanze spesso condannano l’uso non corretto e l’abuso dei riti sciamanici definendo sciamani di plastica i pericolosi guru New Age.

In questa cornice si inseriscono i curanderos latino-americani, una sorte di versione aggiornata degli sciamani che propinano terapie spirituali, sempre più diffusi anche in Italia.

Queste figure propongono anche sui social tisane, infusi, ricavati dall’utilizzo di diverse piante amazzoniche in grado di indurre un effetto visionario e – a detta loro – terapeutico, causando pericolose situazioni allucinatorie e di dipendenza.

Se è comprensibile che ancora oggi, nella giungla o nella steppa, ci sia chi va dallo sciamano, meno comprensibile è che ci si vada nel cuore del Veneto, in una abbazia sconsacrata, e che a farlo siano dei battezzati o comunque degli italiani nati e cresciuti in una realtà cristiana.

Infine, sulla base dell’esperienza di molti sacerdoti che hanno ricevuto dalla Chiesa il mandato di esorcista, si può affermare che quanti si lasciano trascinare in queste pratiche rivisitate possono correre gravi rischi, dal momento che, entrando in giri esoterici, terapeutici e neopagani, possono esporsi più facilmente all’azione straordinaria del maligno.




LA PREMIERE DI SPILLOVER

L’attore Pescarese Edoardo Sferrella tra Cina a Giappone

Pechino, 16 giugno 2024. Edoardo Sferrella, giovane talento emergente di Pescara, sta rapidamente conquistando il panorama cinematografico internazionale asiatico. Protagonista del film diretto dal regista Gianluigi Perrone, Edoardo ha lavorato su un progetto che ha visto le riprese svolgersi tra Cina, Stati Uniti e Italia. Il film affronta il tema della pandemia vissuta su diversi continenti, esplorandone gli aspetti psicologici e spirituali includendo elementi fantascientifici.

Questo film ha attirato l’attenzione dell’associazione ONLUS Soleterre, che lo ha adottato come opera di interesse sociale oltre che di intrattenimento. La pellicola, il cui titolo rimane ancora riservato per evitare spoiler, è stata presentata in anteprima mondiale a Venezia, durante l’evento cross-culture con la Cina. Attualmente, il film è pronto per essere distribuito in Cina e in DVD e Blu-ray negli Stati Uniti, con grandi aspettative anche per una futura uscita nelle sale italiane.

Edoardo interpreta Tazio, una versione esagerata e grottesca di quella che lui descrive come “sé stesso da adolescente”, un ragazzo introverso e nerd, con difficoltà a relazionarsi con coloro privi di sensibilità ma anche che non abbiano il suo stesso backgorund sub-culturale. Assieme a lui l’attore romano Giorgio Grasselli nel ruolo di Manfredi, burbero fratello maggiore, e l’attrice napoletana Clara Morlino nel ruolo di Lucrezia, compagna di Manfredi.

Il regista di origini pugliesi Gianluigi Perrone, autore e accademico, vive e lavora a Pechino, vent’anni di esperienza e collaborazioni di tutto rispetto (Dario Argento, Mario Bava, Alejandro Jodorowsky e altri), rappresenta un ponte esoterico tra Cina e Italia.

Nel frattempo, mentre attende l’uscita del film, Edoardo si trova attualmente a Tokyo impegnato su altri set cinematografici. Il giovane attore è infatti protagonista di uno short drama prodotto da Aperol Japan, di un progetto cinematografico intitolato “Become a Hero”, girato in Giappone, anche questo atteso nelle sale, ed è spesso ospite di eventi istituzionali presso la rinomata Ambasciata Italiana di Tokyo, e legati al cinema come la recente premiere del film “City Hunter” dove assieme alla cosplayer Yuriko Tiger sono stati gli unici invitati italiani.




CONCORSO INTERNAZIONALE JOOP 2024

Celebrazione dell’Olio Extra Vergine di Oliva e dell’eccellenza nel Design a Tokyo

Tokyo, 9 giugno 2024. Oggi, a Tokyo, si tiene l’attesa cerimonia di premiazione dei vincitori del Japan Olive Oil Prize (JOOP) e del Joop Design Award 2024. Questo evento celebra l’eccellenza e l’innovazione nel settore dell’olio extra vergine di oliva, riconoscendo i migliori produttori e designer a livello mondiale.

Quest’anno hanno partecipato al concorso 511 oli provenienti da 27 Paesi.

Il JOOP è dedicato a promuovere oli extra vergine di oliva di alta qualità e a educare i consumatori giapponesi su come riconoscere e scegliere prodotti d’eccellenza. Attraverso masterclass, seminari ed eventi promozionali, il JOOP sostiene i produttori di EVOO e consolidare il loro successo nel mercato giapponese.

Il JOOP premia oli extra vergine di oliva di altissima qualità, selezionati da una giuria di 11 esperti internazionali, che quest’anno include Antonio G. Lauro, Konstantinos Liris, Miciyo Yamada, Fernando Martinez Roman, Barbara Alfei, M. Angeles Calvo Fandos, Birsen Can, Marcelo Scofano, Na Xie, Hiromi Nakamura e Mariko Shimada.

Parallelamente, dal 2020, il Joop Design Award valorizza non solo il contenuto, ma anche l’estetica dei prodotti EVOO, celebrando il design del logo, delle bottiglie e dell’imballaggio. Il mercato giapponese, noto per il suo gusto sofisticato, rappresenta una sfida e un’opportunità unica per i designer e i produttori di tutto il mondo.

La giuria del Joop Design Award 2024 è composta da esperti di fama mondiale nel campo del design. I giudici di quest’anno sono Dabbie Millman dagli Stati Uniti, Motoko Ishii dal Giappone, Oliviero Toscani dall’Italia e Shahira Fahmy dall’Egitto.

L’evento di oggi, che si tiene nel celebre luogo della Tokyo Tower, rappresenta un momento importante per produttori e designer, offrendo una piattaforma per celebrare i loro successi e presentare i loro prodotti a un pubblico di appassionati e professionisti del settore.

JOOP 2024:

BEST OF COUNTRY

BEST OF ARGENTINA

El Mistol Premium – Agropecuaria El Mistol S.a.

BEST OF BRAZIL

Estância das Oliveiras – BLEND EXCLUSIVO – Estância Das Oliveiras

BEST OF FRANCE

Château d’Estoublon Bouteillan – Sas Estoublon

BEST OF GREECE

1. FLAVORED GOURMET ENIGMA – Flavored with Apple, Cinnamon and Honey – Sakellaropoulos Organic Farms.

2. Laconiko Blood Orange – Laconiko

BEST OF ISRAEL

Heart Notes Blend – Bvs Jerusalemoliveoil

BEST OF ITALY

L’Olinda Monovarietale di Raggia – Frantoio L’olinda

BEST OF JORDAN

MAIDA Arbequina – Maida

BEST OF PORTUGAL

Azeite Porca De Murça Cacau Fused – Cooperativa Agrícola Dos Olivicultores De Murça, Crl

BEST OF SPAIN

GOYA® Premium Unico Extra Virgin Olive OIl – Goya en España S.A.U

BEST OF TUNISIA

Domaine Adonis Koroneiki – Adonis Olive Oil

BEST OF TURKEY

Gaia Oliva Tangerine – Gaia Oliva

BEST OF UNITED STATES

Fat Gold Standard – Fat Gold

BEST OF FLAVORED

1. Gaia Oliva Tangerine – Gaia Oliva (Turkey)

2. Azeite Porca De Murça Cacau Fused – Cooperativa Agrícola Dos Olivicultores De Murça, Crl (Portugal)

3. Laconiko Blood Orange – Laconiko (Greece)

3. FLAVORED GOURMET ENIGMA – Flavored with Apple, Cinnamon and Honey

3. Sakellaropoulos Organic Farms (Greece)

BEST OF POLYPHENOLS

Chiaroscuro – Azienda De Robertis Sas (Italy)

JOOP DESIGN AWARD 2024

1. ORIGENES – Castell De La Costurera-sat Agrofruit (Spain)

2. Il Macolo – Azienda Podere Macolo Società Agricola Semplice (Italy)

3. DI VITO Premium Denocciolato Biologico – Di Vito Food Srl (Italy)

3. Amabile – Grechi Perticari Srl (Italy)

3. Harvest by Night – Castello Monte Vibiano Vecchio s.r.l. (Italy)




LA SCUSA DELLA MARATONA

Per tornare a Cracovia

Cracovia, Polonia, 3 giugno 2024. La prima volta che sono stato in Polonia, risale al mese di agosto 2010, ma qualsiasi occasione, mi trova pronto per tornarci. Il luogo di arrivo e partenza per le città che ho visitato in Polonia, è Cracovia, l’antica capitale della Polonia. Oggi la capitale è Varsavia.

Questa volta sono tornato a Cracovia per la MARATONA, dove ha partecipato mio figlio Jacopo, ottenendo il trentanovesimo posto in assoluto su circa settemila iscritti e, con un buon tempo. Io ho fatto il cicerone, per la visita della città, per la gastronomia, per la miniera di sale. Non potevo non andare a Zakopane e Novy Targ per incontrare gli amici Barbara e l’estroso marito Jan, jazzista e liutaio. Al contrario, Jacopo ha preferito andare al campo di concentramento di Auschwitz.

Zakopane, (950 m), è la località di montagna più frequentata in Europa, ed è la capitale dei Monti Tatra, che indicano anche il confine geografico con la Slovacchia. Interessante è l’architettura di questa località, per la realizzazione delle baite ad un solo piano, interamente realizzate in legno ed a tetto spiovente. Il monte Ghievont (1909 m), ha la sagoma di un uomo che dorme e ricorda il gigante del Gran Sasso. Questo monte domina Zakopane, con la sua croce alta 16 metri.

Cracovia viene considerata la capitale culturale della Polonia. Il simbolo della città è il Drago del Wawel, che appartiene alla mitologia polacca. La collina di Wawel si trova sopra il fiume Vistola, (Wisła), che è il fiume più lungo della Polonia, (1047 km). Questa collina abitata sin dal VII secolo, divenne nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, un luogo molto significativo per il potere politico e religioso. Fu anche la Residenza dei re di Polonia fino al XVII secolo. In questi anni furono costruiti oltre al castello, anche il Palazzo Reale e la cattedrale del Wawel dei Santi Stanislao e Venceslao. Con Jacopo, raggiungo questo castello, sotto una pioggia battente, osservando ogni cosa dall’esterno, ma in fretta, perché avevamo altri impegni. Siamo andati a scoprire la Cracovia ebraica, nei quartieri di Podgorze e Kazimierz. Questi quartieri sono uniti da un ponte pedonale, molto bello dal punto di vista architettonico (è doppio), arricchito con sculture di equilibristi in bronzo, che si reggono su un filo metallico che dondola, creando la suggestione del circo. L’artista che li ha realizzati è il polacco Jerzy Jotki Kedziora.

È ovvio che abbiamo visitato la Piazza del Mercato (Rynek Glowny), il luogo in cui è partita ed arrivata la maratona. È una delle più belle e grandi piazze medievali d’Europa, circondata da splendidi palazzi storici. All’angolo della Piazza del Mercato, c’è la Basilica di Santa Maria. Al suo interno troviamo il più grande altare gotico d’Europa, l’Altare Maggiore, scolpito in legno di cedro, dallo scultore “Veit Stoss”, maestro di Norimberga. Ogni ora, dal campanile più alto della Chiesa di Santa Maria, (che veniva impiegata in passato come torre di guardia), viene suonata la celebre Hejnal “chiamata a raccolta”. Sempre nella piazza c’è la piccola chiesa di Sant’Adalberto, che occupa l’angolo a sud, databile intorno all’XI secolo. Altra visita irrinunciabile, è Wieliczka – Kopalnia Soli, la più antica miniera di sale, funzionante da 700 anni. L’attività estrattiva è durata fino al 1996, in un complesso di cave sotterranee, dove si contano ben 300 km di corridoi e circa 3.000 caverne. Per arrivare ai tre piani di visita aperti ai turisti, ad una profondità di 140 metri, si scendono 800 gradini in legno a chiocciola, in un incredibile universo sotterraneo.

Abbiamo visto sculture di pregevole fattura artistica, che raffigurano importanti personaggi della storia della nazione polacca e sia la storia e la tecnica, dell’attività estrattiva nella miniera. Alcune sculture, si specchiano negli oscuri laghetti. Sono state realizzate anche cappelle, come la Cappella di Santa Kinga e la“Cappella della Santa Croce. Ci fermiamo e mi entusiasmo a contemplare il Cenacolo di Leonardo. Arriviamo ad un vasto salone, dal cui soffitto pendono grandi lampadari, sempre realizzati in sale. Alla fine del giro turistico, siamo tornati in superfice, con l’ascensore. Conclusa la visita alla miniera, anche se stanchi, è stato interessante vedere la Torre di Gradazione di Wieliczka. Questa torre, con la sua superficie di 7500 m2, è la maggiore struttura di questo tipo nel sud della Polonia. Situata proprio accanto alla Miniera di Sale “Wieliczka”, attira i turisti principalmente per motivi di salute e ricreativi.

Un breve accenno alla gastronomia polacca che bisogna provarla, per gradirla:

– l’Oscypek. È un tipico formaggio affumicato a pasta semidura, prodotto con latte di pecora, nel Podhale

– Zurek, minestra di farina di segale acida, accompagnata da uovo sodo e salume a pezzetti

– Pierogi, raviolini quadrati di solito con ripieno di formaggio, ma anche con altre varianti

– Bigos, il piatto più famoso ed antico. È uno stufato di carne, crauti e spezie

– Wadowicka kremówka papieska – il dolce alla crema preferito dal Papa Giovanni Paolo II, che somiglia al millefoglie, composto da due strati di pasta-sfoglia croccante, guarnite da crema pasticcera alla vaniglia.

È stato un viaggio interessante, rilassante, che offre cultura, storia, tradizione, gastronomia e rispetto dell’ambiente, con i tanti Parchi ben curati.  La MARATONA è stata organizzata nei minimi particolari, con soddisfazione di tutti i partecipanti.

Luciano Pellegrini




CAGE: SPADA TEATRALE

Edoardo Sferrella si Distingue nel Ruolo di un Leader Samurai sull’Isola Artificiale di Tsukishima

Tsukishima, Giappone, 3 giugno 2024. Edoardo Sferrella, attore di origini abruzzesi, ha impresso il segno a Tsukishima con la sua interpretazione di Uesugi Kagekatsu, leader del clan Yonezawa, nello spettacolo “Cage”, dedicato alle gesta del samurai Keiji Maeda. La performance, orchestrata dalla compagnia di spada teatrale Katana-ya Ichi, ha evidenziato le notevoli capacità recitative di Sferrella e il suo profondo rispetto per le tradizioni giapponesi delle arti marziali e del teatro.

Nel ruolo di Uesugi Kagekatsu, Sferrella ha affrontato temi di lealtà, strategia e onore, pilastri della cultura samurai. La sua interpretazione è stata apprezzata per l’autenticità emotiva e la precisione storica, rafforzando la sua reputazione come attore capace di connettere il pubblico con la storia giapponese.

Con esibizioni già realizzate in Europa, America ed Egitto, il desiderio di Sferrella di introdurre la compagnia nel panorama culturale italiano potrebbe arricchire la scena culturale locale e stimolare scambi artistici tra Italia e Giappone:

“Portare i Katana-ya Ichi a Pescara sarebbe un traguardo significativo” – Il suo desiderio di portare questa compagnia, con cui collabora dal 2016, in Abruzzo è volto a ispirare ed educare il pubblico sulla rilevanza delle tradizioni storiche e la loro celebrazione in contesti moderni.

Con il suo contributo a Katana-ya Ichi e la sua passione per le arti performative giapponesi, Edoardo Sferrella dimostra come l’arte possa essere un mezzo efficace per il dialogo interculturale.




CONCERTO IN GIAPPONE per il compositore Fradiani

Giappone. Sabato 11 maggio il compositore Paolo Fradiani sarà in concerto presso la Kenmin Hall di Yokohama

Yokohama,6 maggio 2024.  Per l’occasione verranno eseguiti alcuni lavori del compositore Kenji Sakai, e in prima esecuzione giapponese il Prélude à l’Après-midi d’un faune di Claude Debussy nella versione per ensemble di Paolo Fradiani.

Prenderanno parte all’esecuzione i musicisti: Ami Oike & Nobuhiro Suyama ai violini, Mikuni Rachel Yui alla viola, Kei Yamazawa al violoncello, Miku Nagasaka al contrabbaso, Yue Ueno al flauto, Ami Kaneko all’oboe, Taira Kaneko al clarinetto, Nobuyo Fukukawa al corno e Mai Fukui all’arpa. L’ensemble sarà diretto da Ryo Moriwaki.

L’incontro pre-concerto sarà curato dal compositore Kenji Sakai e dal musicologo Yuji Numano.




RUMOROSO SILENZIO

Le ceramiche del Grue di Castelli contro la violenza di genere donate alla Provincia

Teramo, 3 maggio 2024. Si conclude così il progetto avviato lo scorso anno dal Liceo Artistico F. A. Grue di Castelli con la donazione delle opere ceramiche all’Ente provinciale.

Un progetto di sensibilizzazione contro la violenza di genere, le cui opere sono rimaste esposte fino ad ora nei Giardini Pannella della Provincia di Teramo, che è stato realizzato lo scorso anno e presentato a novembre dalle alunne della classe III sezione ceramica dell’istituto castellano.

Alla cerimonia di consegna, oltre alla presidente della Commissione per le Pari Opportunità della Provincia di Teramo, l’avv. Amelide Francia, ed al presidente della Provincia Camillo D’Angelo, le studentesse che hanno realizzato il progetto, coadiuvate ed accompagnate dalla dirigente, la prof.ssa Eleonora Magno, e dalle insegnanti Manuela Marrone e Mirella Censasorte, coordinatrici del progetto.

“È fondamentale avvicinare le nuove generazioni a queste tematiche”, commenta la presidente della CPO, Amelide Francia. “Oggi per noi è un onore ricevere in dono dal Liceo Artistico queste ceramiche, che rappresentano in maniera diretta la violenza che le donne subiscono, ma che nel contempo apportano un messaggio di speranza ed inducono ad una profonda riflessione”.

L’occasione per ribadire i numeri del Centro Antiviolenza La Fenice che nell’anno 2023 ha preso in carico 62 donne, di cui 10 trasferite nella casa rifugio Casa Maia. Nei primi mesi del 2024 sono già più di 20 le donne che si sono rivolte al centro. Dati tendenzialmente in aumento, “ma questo comunque ci fa comprendere che le donne hanno acquisito consapevolezza del fatto che ci sono questi centri e che possono essere supportate. Dobbiamo continuare a lavorare sulle campagne di sensibilizzazione e di informazione dei servizi che offrono i centri antiviolenza”, conclude l’avv. Amelide Francia.

“Da oggi la Provincia diventa la casa di queste opere, il cui significato potrà amplificaresi giorno dopo giorno. Ringrazio sentitamente la dirigente Magno, i docenti e le studentesse che attraverso un sapiente lavoro manuale hanno dato forma e sostanza alla cultura della sensibilità ed al contrasto di ogni forma di violenza”, dichiara il presidente Camillo D’Angelo.




MORTE DI MONS. FRANCESCO DI FELICE

Nelle prime ore di oggi, 13 aprile, presso l’ospedale “San Pietro – Fatebenefratelli” di Roma, è morto Mons. Francesco Di Felice, presbitero della nostra diocesi.

Roma, 13 aprile 2024. Mons. Francesco Di Felice è nato l’11 luglio del 1934 a Santa Margherita di Atri. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici nel Pontificio Seminario Regionale di Chieti, al termine dei quali è stato ordinato Sacerdote, il 29 giugno 1961, dal Vescovo Mons. Amilcare Stanislao Battistelli. Ha poi completato gli studi a Roma, conseguendo il Dottorato in Teologia nella Pontificia Università Lateranense; ha ottenuto poi la Licenza in Scienze Bibliche nel Pontificio Istituto Biblico e conseguito il Diploma “in re pastorali” nell’Istituto di Pastorale del Laterano.

Nei primi anni di servizio ecclesiale alla diocesi ha svolto le funzioni di Vicerettore del Seminario diocesano e di insegnante di lettere; nello stesso tempo è stato Responsabile del Centro Vocazionale Diocesano, incarico che gli ha dato l’opportunità di visitare, per l’animazione vocazionale, moltissime comunità parrocchiali della diocesi.

Nel 1967 viene chiamato a Roma a ricoprire l’incarico di Vicerettore del Seminario Romano per gli Studi Giuridici (Apollinare) e nello stesso tempo è incaricato come professore di teologia biblica presso la Pontificia Università Lateranense. Nel 1971 il Santo Padre Paolo VI, lo chiama, in qualità di Minutante, al servizio della Segreteria di Stato, dove ben presto diviene Capo Ufficio per i problemi dottrinali, dirigendo la sezione del gruppo degli “italianisti”. Viene anche nominato assistente ecclesiastico del sodalizio degli Abruzzesi “San Camillo de’ Lellis”, associazione che, dal 1946, è luogo di incontri spirituali, culturali e assistenziali degli Abruzzesi, residenti a Roma.

Nel 1986 il Santo Padre Giovanni Paolo Il lo ha nominato Prelato d’Onore di Sua Santità, e successivamente Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia. In tale veste ha potuto fare il giro del mondo per la promozione della causa della famiglia e della vita. Papa Benedetto XVI lo ha chiamato a far parte del Capitolo dei Canonici Liberiani nella Basilica di Santa Maria Maggiore e nella nostra diocesi era canonico del Capitolo della Concattedrale di Atri.

Come studioso di esegesi biblica e di pastorale familiare, ha al suo attivo, oltre ad articoli apparsi in vari giornali e riviste, diverse pubblicazioni, soprattutto sul tema della vita e della famiglia.

La salma di Mons. Francesco Di Felice verrà portata presso Ia casa funeraria “Di Furia” (pianura di Notaresco, Strada Statale 150) nel primo pomeriggio di lunedì 15 aprile. I funerali, presieduti dal nostro Vescovo Lorenzo, saranno celebrati martedì 16 aprile alle ore 16 nella chiesa di Santa Margherita di Atri.

Ci uniamo al dolore della famiglia e sosteniamo con la preghiera questo ultimo viaggio di don Francesco verso la casa del Padre.




MAHASHIVRATRI

Oltre 150 milioni di persone restano sveglie tutta la notte per celebrare il festival globale dello Yoga

Coimbatore (India), 11 marzo 2024.  Una notte di meditazioni guidate dal famoso yogi indiano Sadhguru, musica, danza e performances culturali ha attirato oltre 150 milioni di praticanti di yoga da ben 192 Paesi del mondo.

L’8 marzo, l’Isha Yoga Centre di Coimbatore, nello stato di Tamil Nadu, sud dell’India, ha ospitato le celebrazioni per il Mahashivratri, un festival notturno dedicato allo Yoga e una delle date più significative del calendario spirituale indiano.

Quest’anno il festival è iniziato alle 18.00 dell’8 marzo ed è proseguito fino alle 6.00 del mattino successivo. Le celebrazioni per Mahashivratri di Isha hanno recentemente suscitato grande interesse in Europa, attirando migliaia di praticanti di yoga e ricercatori spirituali in 48 grandi città di 27 Paesi europei, dove i festeggiamenti sono stati trasmessi in streaming dall’India.

Mahashivratri è un festival culturale unico nel suo genere, con una partecipazione globale imponente. I 150 milioni di spettatori di quest’anno sono stati 8 volte superiori a quelli dei Grammy (16,9 milioni di persone nel 2024). Decine di migliaia di partecipanti da 72 nazioni e oltre 4.000 volontari hanno preso parte al mega evento, che è stato trasmesso in diretta streaming da oltre 200 canali televisivi e piattaforme digitali, in 22 lingue in tutto il mondo. Per la prima volta, l’evento è stato proiettato anche in alcune sale cinematografiche Indiane.

Al Centro Isha,  Mahashivratri non viene celebrato come una festa religiosa, ma come una notte di particolare significato per i praticanti di yoga di tutto il mondo. Nella tradizione yogica, si dice che quella sera, la notte più buia dell’anno, ci sia un naturale aumento globale di energia e che rimanere svegli con la colonna vertebrale eretta possa favorire benessere interiore e crescita spirituale. Il festival ha visto l’esibizione di una serie di artisti musicali indiani e internazionali, classici e contemporanei, e del rinomato corpo di ballo Isha Samskriti. Il famoso yogi indiano Sadhguru ha inoltre guidato la platea globale in varie meditazioni guidate durante la serata.

Erano presenti politici da tutto il panorama politico indiano, tra cui il vicepresidente dell’India Shri Jagdeep Dhankhar, Sri Thiru RN Ravi (governatore del Tamil Nadu), Shri Indrasena Reddy (governatore del Tripura), Shri Banwarilal Purohit (governatore del Punjab).

“Non solo ispirate i giovani a praticare, ma li ispirate anche a portare lo yoga in tutti gli angoli del mondo”, ha detto Shri Dhankhar”. – Il Vicepresidente dell’India Shri Jagdeep Dhankhar, durante il suo discorso di apertura alle celebrazioni.

La Fondazione Isha, fondata dal noto yogi indiano Sadhguru, offre una manifestazione culturale di musica, danza e meditazioni guidate per il Mahashivratri, fornendo un ambiente ideale per i ricercatori spirituali per godere e vivere il festival. Il Centro Isha, situato ai piedi delle splendide montagne di Velliangiri, nel sud dell’India, è dedicato a promuovere la trasformazione interiore, aiutando gli individui ad adottare stili di vita più sani, a ricercare un livello più alto di auto-realizzazione e a realizzare il loro pieno potenziale. La grande struttura residenziale ospita un’attiva comunità internazionale di residenti, volontari e visitatori.

Le celebrazioni di Isha Mahashivratri comprendono anche un pasto gratuito per le decine di migliaia di partecipanti, un aspetto chiave della cultura spirituale yogica nota come “Maha Annadanam”. I festeggiamenti si svolgono presso l’imponente busto di Adiyogi, il “primo yogi”, alto 112 piedi e riconosciuto dal Guinness World Records come la “scultura con il busto più grande” del mondo.

La Fondazione Isha, fondata da Sadhguru, è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro gestita da volontari e dedicata a elevare la coscienza umana. La Fondazione è un’organizzazione al servizio dell’uomo che riconosce la possibilità per ogni persona di potenziarne un’altra e di ripristinare la comunità globale attraverso l’ispirazione e la trasformazione individuale. Dal 2007, la Fondazione ha ottenuto lo status di consulente speciale presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.




GLI SCRITTORI ITALIANI AL FESTIVAL DELLA LETTERATURA

di Arturo Varè

Vienna, 6 marzo 2024. La terza edizione del Festival della letteratura italiana “La Fonte” al Teatro Odeon di Vienna, dall’1 al 3 marzo, ha visto la partecipazione di numerosi noti scrittori italiani che hanno parlato dei temi dei loro libri. Alessandro Barbero, Gianrico Carofiglio, Serena Dandini, Domenico Dara, Manuele Fior, Fabio Genovesi, Dacia Maraini, Stefano Mancuso, Benedetta Tobagi sono solo alcuni dei nomi che hanno affollato l’intensa tre giorni viennese. Una risposta di pubblico estremamente positiva che ha confermato la validità della formula adottata dagli organizzatori: l’Istituto Italiano di Cultura di Vienna, l’Associazione culturale Librai in Corso e l’Associazione Libellula di Vienna.

Gli autori e le autrici che hanno partecipato hanno raccontato la letteratura italiana contemporanea attraverso i diversi generi letterari e linguaggi affrontati nei loro libri, pubblicati anche in tedesco: dal saggio al romanzo, dal graphic novel al giallo fino ai mondi fantastici dei libri per bambini. Lo svolgimento di tutti gli incontri in lingua italiana e tedesca ha permesso un attivo coinvolgimento dei partecipanti che hanno potuto così conversare e confrontarsi con gli autori.

L’ambasciatore d’Italia a Vienna, Giovanni Pugliese, ha inaugurato il festival e la Rappresentante Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite a Vienna, l’ambasciatrice Debora Lepre, ha introdotto i lavori della giornata di domenica. Nell’ambito del festival è stata anche allestita una mostra di pannelli dal titolo “La penna del diplomatico” ideata e realizzata dall’ambasciatore Stefano Baldi, Rappresentante Permanente d’Italia presso l’OSCE a Vienna.

La mostra, composta da pannelli tematici relativi a circa 400 copertine di libri, ha costituito l’occasione per conoscere una nicchia della produzione libraria italiana e scoprire un lato meno noto dei diplomatici, rappresentato dalle loro pubblicazioni. Storia, biografie, memorie e ricordi, politica internazionale, diplomazia, narrativa, poesia e teatro, italiani all’estero, pubblicazioni in altre lingue e monografie sulle ambasciate italiane sono le aree tematiche dei libri illustrati nei pannelli, ciascuno accompagnato da una breve descrizione. Inoltre, un pannello appositamente realizzato per l’occasione è stato dedicato ai libri pubblicati da diplomatici scrittori austriaci.

La mostra rientra nel quadro di un vasto progetto di ricerca “La penna del diplomatico” inaugurato nel 2006 con la pubblicazione dell’omonimo libro da parte di Stefano Baldi e Pasquale Baldocci. Ad oggi, la ricerca ha portato all’individuazione e catalogazione di oltre 1.400 titoli pubblicati da oltre 340 autori diplomatici dal secondo dopoguerra, mettendone in luce non solo la considerevole produzione libraria e la loro attività pubblicistica, ma anche gli interessi ampi e diversificati che contraddistinguono chi svolge questa professione. Gli organizzatori, molto soddisfatti per il successo riscosso dall’edizione di quest’anno, hanno annunciato che la quarta edizione del Festival si terrà nel marzo 2025.




DE REBUS QUAE GERUNTUR «delle cose che accadono»

E in questo strano mondo, oramai, accade di tutto!

La Gazzetta italo brasiliana, 1° marzo 2024. Nel vocabolario Treccani, alla voce influenza, tra l’altro, leggiamo: «credito, ascendente, capacità di imporre il proprio volere con la persuasione, il prestigio personale, l’autorità» e alla voce influente: «autorevole, di peso, importante, insigne, potente, prestigioso». In realtà, vorremmo illustrare come l’influenza di una persona influente spesso possa risolvere situazioni complicate e difficili da districare.

Certamente, la capacità di influenzare non è di tutti! Essa si esercita se si possiede un passato di buone relazioni create con molta costanza e carattere, ma supportato da prove ben superate e tenendo presente che, per poter esercitare il proprio ascendente in favore di un buon principio, è necessario recepire e comprendere i punti di vista dell’interlocutore. Ma questo precetto vale per tutti? Certamente no; dipende dal fine che si prefigge colui che l’influenza la esercita!

Dell’influenza Malefica

Chi, per esempio, influenza davvero il destino del mondo? Beh, per quanto riguarda le sorti dell’Umanità, sono i potenti che ci mantengono in sala d’attesa della «frontiera con l’Apocalisse» ovvero i detentori dell’arsenale nucleare. Già nel lontano 1975, l’ex sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, denunciò chiaramente e senza mezzi termini, in un suo discorso ai giovani, le conseguenze politiche, sociali e persino escatologiche dello spettro della guerra atomica. Le famigerate valigette nucleari (nuclear briefcase) sono valigette appositamente predisposte per autorizzare il lancio delle armi atomiche e i pochi capi di Stato che le posseggono sono in realtà i padroni delle nostre vite. C’è sempre da sperare che costoro si sveglino ben orientati, dal momento che qualcuno di loro potrebbe svegliarsi senza bussola e, se così fosse, beh… buonanotte ai suonatori. A tal proposito Lucio Anneo Seneca diceva: «I più, privi di bussola, cambiano sempre idea, in balia di una leggerezza volubile e instabile e scontenta di sé.»

Ora, invece, dal punto di vista della geoeconomia e delle reali politiche economiche mondiali, l’orchestra la dirige il famoso “gruppo Bilderberg”, emblema dell’Internazionale liberal-finanziaria del neofeudalesimo.

«La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi». Vero! È il titolo di un interessante libro di Marco Revelli, scrittore e docente di Scienza della politica all’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”. Infatti, siamo ormai schiavizzati dall’arroganza del potere economico (influenza malefica) e noi, miseri vassalli, subiamo, precarizzati e asserviti, il dominio che esso opera sul mondo lavorativo e sui nostri diritti.

Tanto per ricordare, il gruppo Bilderberg, il cui nome deriva dall’omonimo hotel (ubicato a Oosterbeek – Olanda) ove avvenne il primo incontro dei potenti dell’élite del mondo nel 1954, a parte le teorie complottiste che vedono nel summit una specie di riunione in stile massonico e che addirittura ipotizzano collegamenti con altre organizzazioni segrete come Skull and Bones per attuare le loro strategie, nella realtà, altro non è che un ristretto «sodalizio liberal-finanziario» avente come scopo la tutela dei propri interessi. Quel che è vero è la riservatezza dei nomi degli oratori durante le riunioni, per assicurare agli stessi la libertà di espressione in un clima di confidenza e fuori dalla portata della Stampa, nonché il fatto che dalle decisioni che verranno prese dipenderà probabilmente l’economia planetaria e certamente quella del mondo occidentale.

DELL’INFLUENZA BENEFICA

«Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana». Questo tormentone allude a Giorgia Meloni, presidente del Consiglio. Ella è tra le persone più influenti d’Europa. Lo ha sancito The class of 2024, l’annuale classifica di Politico.eu, versione europea della testata americana. Inoltre, il quotidiano britannico The Times inserisce Giorgia Meloni nell’elenco di venti personaggi di tutto il pianeta che, ognuno nella propria area di attuazione, potrebbero “plasmare il mondo” e, non ultimo, il quotidiano americano NYT mette in evidenza non solo il fatto che ella sia leader credibile e influente, ma anche la circostanza che diventerà “catalizzatrice” insostituibile con la capacità di gestire l’attuale tappa europea, caratterizzata dalle destre galoppanti. Victor Orbán docet!

Certamente, non stiamo qui a sperticarci per tessere gli elogi di Giorgia Meloni, e non mancherebbero davvero gli elementi di merito, ma per fare un distinguo tra l’influenza malefica e quella benefica. Il presidente del Consiglio è un chiaro esempio di come si possa esercitare la propria influenza per il benessere sociale (la maggiore felicità del maggior numero di cittadini, secondo l’impostazione utilitaristica del filosofo ed economista Jeremy Bentham).

Joseph Addison, scrittore e drammaturgo britannico, soleva dire che umore instabile e incoerenza sono le maggiori debolezze della natura umana. Beh, con detti handicap congeniti che affliggono la nostra natura, agire in modo determinante, per il bene sociale, sull’animo e sulla volontà altrui ovvero essere influenti e abbastanza intelligenti per risolvere situazioni inestricabili non è cosa da poco, ma di pochi. Chiaramente, non importa il colore politico: sia lode a chi sa esercitare la propria influenza con buon senso e a fin di bene; chiunque egli sia!

Giuseppe Arnò




PAESAGGI CULTURALI D’EUROPA

Mostra artistica organizzata dal COPE e dalla Città di Teramo presso il Parlamento europeo di Strasburgo. Von der Leyen, Draghi e 15 europarlamentari tra i visitatori.

Strasburgo, 29 febbraio 2024. Un nutritissimo gruppo di autorità di alto prestigio ha partecipato alla cerimonia di apertura della mostra pittorica e scultorea, inaugurata dalla Vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno e da 4 europarlamentari guidati da Mario Furore, trasversalmente rappresentanti di tutte le forze politiche.

La mostra ha inteso raccogliere testimonianze di artisti che narrano secoli differenti (XIX  con Gennaro della Monica, XX con Carlo d’Aloisio da Vasto e contemporaneo con Licia Galizia e Michelangelo Lupone) esposte fra le prestigiose mura del Parlamento a significare una vicinanza di territori e di genti; un abbraccio artistico che stringe un patto di valori universali sotto il segno della cultura.

Ma anche un momento di valorizzazione di una terra, quella d’Abruzzo, capace di esprimere una cifra artistica che supera il tempo e lo spazio, che dialoga in maniera sinergica vibrando di colori, suoni e significati che si riverberano profondamente in noi.

Paesaggi culturali in senso pieno – dichiara l’amministratore unico del COPE, Filippo Lucci – vissuti da ognuno in relazione alla propria esperienza e sensibilità, a partire dalle proprie radici, per estendersi verso orizzonti di più larghe appartenenze, come quelle che abbiamo intessuto negli ultimi mesi con tanti gruppi europarlamentari. Voglio nuovamente ringraziare gli Onorevoli Furore, D’Amato, Ferrara, Vuolo, Bonfrisco, Mussolini e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen per l’eccezionale incontro e un pensiero speciale a Paola Di Felice che ha curato magistralmente l’esposizione. A loro va il nostro ringraziamento per aver accettato una sfida difficile ma estremamente gratificante e per averci aiutato a far conoscere la nostra terra e le nostre capacità artistiche.

Nelle parole degli europarlamentari intervenuti – conclude Lucci – ho sentito la commozione della propria appartenenza ma anche dell’anelito di esseri umani che si stringono intorno ad un valore comune, quel valore di vicinanza al di là delle distanze che ci separano culturalmente e geograficamente, che dovremmo abbattere per sentirci insieme, ancor di più in un momento storico come questo, così travagliato e minacciato da divisioni e guerre.

Ad impreziosire l’evento, Il Cope ha provveduto alla stampa di un catalogo delle opere degli artisti in mostra e ad uno speciale annullo filatelico tramite Poste Italiane.

Folta la delegazione istituzionale teramana capitanata dal sindaco di Teramo, Gianguido D’Alberto, dall’Assessore alla cultura, Antonio Filipponi, dalla Soprintendente, Cristina Collettini, dal Presidente del Parco Gran Sasso e Monti della Laga, Tommaso Navarra, e dal Direttore della CarsispAQ, David Iagnemma.

“È stato l’evento più interessante, a mio parere, di questa ultima legislatura”ha dichiarato l’Onorevole Bonfrisco, e questa è la più forte gratificazione che il Cope, in primis, e l’intera organizzazione abbia mai ritenuto di ottenere da un lavoro faticoso ma quanto mai soddisfacente.




CELEBRAZIONI CENTENARIO  GIACOMO PUCCINI

Italia-Albania. Il Sogno d’or del festival Pucciniano e dell’opera di Tirana

Tirana, 8 febbraio 2024. Presentato presso l’opera di Tirana il programma che vedrà una coproduzione di tre opere di Giacomo Puccini, in stagione lirica sia in Albania che nel LXX cartellone del festival Puccini in occasione del centenario della scomparsa del cigno di Lucca. Il Trittico, Madama Butterfly e Tosca, i titoli annunciati da Abigeila Voshtina, Jacopo Sipari di Pescasseroli, Alessandro Ruggera, Paolo Spadaccini e Franco Moretti

È stato illustrato, nella mattinata del 7 febbraio, nel foyer del teatro dell’opera di Tirana il progetto di coproduzione, con il teatro nazionale d’Albania, di tre titoli di Giacomo Puccini con la Fondazione Puccini e il suo Festival giunto alla LXX stagione, un  prestigioso traguardo che cade proprio nell’anno del centenario della scomparsa del cigno di Lucca. Al cospetto dei rappresentanti della stampa internazionale si sono ritrovati il Direttore generale della Fondazione Puccini Franco Moretti unitamente al Vicepresidente della fondazione Paolo Spadaccini, con Alessandro Ruggera, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, che sosterrà economicamente tutti i titoli, ospiti, naturalmente del sovrintendente Abigeila Voshtina e del suo braccio destro il Direttore artistico Jacopo Sipari di Pescasseroli, per cementare questo accordo. Tre i titoli pucciniani con nomi stellari, per questo progetto del centenario Il Trittico, in scena dal 29 febbraio e a seguire, Madama Butterfly e Tosca, con nomi del calibro di Anna Pirozzi, la regista Manu Lalli,  Krassimyra Stoyanova e Saimir Pirgu.

Saluti istituzionali al sovrintendente dell’opera “È un giorno di festa, questo – ha dichiarato Abigeila Voshtina – in primis perché abbiamo stretto amicizia con l’unica fondazione Puccini, che è a pochi metri dalla casa del Maestro. Il direttore Franco Moretti, nel giro di una giornata, si è innamorato dell’Albania, e del teatro. Ha avuto modo di dare uno sguardo alla nostra realtà ed è rimasto stupito, direi, da quanto è stato creato in tutti questi 70 anni di teatro. Sono molto felice che come tutto il mondo anche noi  celebriamo Puccini, e soprattutto sono molto felice della presenza del direttore generale, Franco Moretti, e del vicepresidente della Fondazione Puccini, Paolo Spadaccini, nonché di Alessandro Ruggera dell’Istituto Italiano di Cultura, senza il quale non avremmo l’occasione di portare sul nostro palco tre splendide opere con scenografia e costumi, come Il Trittico, Madama Butterfly e Tosca.”

“Oltre questi tre monumenti che tutto il mondo conosce, oggi, insieme a Franco, realizzeremo uno splendido concerto con i nostri solisti in agosto a Torre de Lago, e chiuderemo l’anno pucciniano, a novembre 29, nel giorno della sua nascita, con la tournée dell’orchestra e la Messa in Gloria di Puccini che sarà eseguita dalla nostra orchestra e da un direttore che sarà scelto dalla stessa Fondazione Pucciniano. Non mi resta altro da dirvi, se non passare la parola a Franco, colui dal quale tutti vorrebbero apprendere notizie sulla vita di Puccini, sulla sua storia, sulle sue opere, l’uomo che con lui divulga davvero al mondo intero ciò che la storia  racconta di questo straordinario compositore”.

Dovete essere fieri del vostro teatro – ha sottolineato Franco Moretti – poiché ogni teatro è la casa della cultura, è la casa di tutte le idee, di tutte le novità, anche se noi mettiamo in scena opere di oltre cento anni fa. I teatri non sono musei, ma sono fabbriche di musica, arte, parola, in cui si vivono incroci sonori e si sa che questa è, forse, l’unica arma per costruire la pace, poiché la musica è veramente segno universale. Il teatro di Tirana è un massimo albanese, dove si perpetuano anche le tradizioni musicali indigene, grazie a grandissimi compositori, ma per me è un grande teatro italiano al di qua dell’Adriatico e vorrei che il governo italiano guardasse a questa fabbrica di cultura su cui si sono accesi i riflettori del mondo musicale internazionale e che si sta facendo conoscere in particolare in Italia. Quindi, tutti al Pucciniano in estate che vedrà sei nuove produzioni e la partecipazione anche di Roberto Bolle & friend e il Volo sulle rive del lago”.

“Felice di essere a casa – ha continuato Alessandro Ruggera, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura – non potevamo non essere presenti nell’anno pucciniano e stare a fianco con un amichevole sostegno per poter ascoltare e divulgare ancora con qualità e grande condivisione la musica di Puccini”.

Sull’onda della storia e della nostalgia Paolo Spadaccini, vicepresidente della fondazione Puccini: “Mio nonno lavorava con Giacomo Puccini, ne era l’autista, mio padre fu uno dei protagonisti del festival, nel secondo dopoguerra, ho sempre frequentato i teatri e nel corso delle prove di Suor Angelica, qui in teatro ho ascoltato veramente delle voci magnifiche e ben preparate. Il mio sogno è di applaudirvi tutti a Torre del Lago”.

C’è una lirica da camera Sogno d’or, composta da Puccini nel 1912, poi usata né La Rondine. Quel sogno di bambino, poi di ragazzo e giovanissimo assistente è stato realizzato proprio con questo accordo dal Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli “Io ho scelto di vivere di, con e per la musica proprio ascoltando le note, nei luoghi, del maestro. Ricordo il colpo di fulmine che mi ha colpito entrando nel teatro Puccini e io e il sovrintendente abbiamo fatto di tutto affinché tutti i musicisti e cantanti possano vivere l’emozione, il sogno, la meraviglia di Jacopo bambino”.




SIAMO STATI I PRIMI E RESTEREMO I MIGLIORI!

di Giuseppe Arnò

LaGazzettaitalobrasiliana, 1° febbraio 2024. È la parafrasi di una vecchia e indimenticabile pubblicità di una nota azienda dolciaria che presentava sul mercato nazionale il Giandujot col motto: «Sono stato il primo e resto il migliore!» Certamente i bambini di ieri, ottantenni di oggi, ricorderanno con una punta di nostalgia quell’epoca e la prelibatezza della «Pasta Gianduja» o «Giandujot» a base di nocciole, avvolta in carta stagnola che, tagliata a fettine, si spalmava sul pane.

Detto slogan è comunque rimasto un modo di dire, ma anche un modo di fare. E noi italiani, quando si tratta di fare sul serio, le cose le sappiamo fare a dovere, da primi della classe: siamo maestri, artisti, inventori, poeti, scrittori, musicisti, sportivi e tant’altro ancora.

D’altronde, se il mondo ci invidia ci sarà pure un perché! Chi non conosce, per esempio, i nostri grandi classici della letteratura; della musica colta, sacra e profana; dell’arte; e della nostra cucina gourmet, i cui piatti rappresentano il delirio o, meglio ancora, l’orgasmo gustativo dei buongustai di tutto il mondo? Jean Anthelme Brillat-Savarin, noto politico e gastronomo francese, autore della famosa opera intitolata “Fisiologia del gusto”, affermava: «Gli animali si nutrono, l’uomo mangia e solo l’uomo intelligente sa mangiare».

Ed è sull’enogastronomia che ci piace soffermarci in questo appuntamento mensile con i nostri lettori, dal momento che gli Italiani, a detta di tutti, sanno mangiare. Tuttavia, ci limiteremo, per motivi di spazio, a ricordare solo alcuni tra i primi piatti, con qualche accenno all’abbinamento formaggio vini, che notoriamente si basa sull’equilibrio, retto dal giusto contrasto e soprattutto dall’armonia.

E voilà in rapida sequenza una selezione di specialità da capogiro: oltre ai vari risotti, vanto della cucina italiana, e naturalmente all´arcinota pizza napoletana, riconosciuta dall’Unesco e iscritta nella lista del «patrimonio immateriale dell’umanità», ricordiamo le penne all’arrabbiata, gli gnocchi alla sorrentina, le orecchiette con le cime di rapa, le trofie alla ligure, i bucatini all´Amatriciana, gli spaghetti alla carbonara, le tagliatelle al ragù bolognese o napoletano, la lasagna nelle varie ricette regionali, la pasta alla Norma, la pasta con la nduja, gli spaghetti alle vongole e via dicendo… e non ce ne vogliano, casomai si sentissero trascurati, gli altri primi, tutti squisiti, nonché i secondi piatti gourmet, i prosciutti e gli insaccati, un trionfo di gusti e presentazioni, capaci di estasiare i palati più esigenti e sofisticati. In realtà i primi e secondi piatti meriterebbero un vero trattato gastronomico e qui, purtroppo, lo spazio a nostra disposizione è, come dicevamo, piuttosto breve.

Ma, a proposito di brevità, ci torna in mente il buongustaio Wolfgang Goethe, amante della nostra cucina, allorché afferma: «La vita è troppo breve per bere vini mediocri» e ciò vale senz’altro anche per i cibi, cui essi si abbinano. Ciò detto, accediamo automaticamente al mondo dell’enogastronomia. In esso si apre un affascinante universo di sapori, profumi e sensazioni, i cui sapienti abbinamenti ci trasportano in un’apoteosi gustativa, delizia del palato e dell’anima. Alludiamo ai vini, ai dolci e ai formaggi, di cui siamo produttori per eccellenza.

In verità, questi elementi meritano un capitolo a parte, tanta e tale è la diversificata qualità delle nostre produzioni, nonché l’arte di creare l’armonia e l’abbinamento tra gli stessi: i formaggi a pasta erborinata (fra i più diffusi, Castelmagno, Gorgonzola e Blue D’Aoste) ben si sposano con vini dolci (Moscato d’Asti, Vin Santo del Chianti Classico, Verduzzo, Primitivo di Manduria Dolce Naturale etc.); quelli saporiti (come il Pecorino stagionato, il Bitto, il Ragusano e più in generale il Formaggio di fossa) si abbinano invece piacevolmente con il Mandrolisai DOC, il Cannonau di Sardegna, il rosso di Piceno, il Sangiovese di Romagna Superiore e tanti altri ancora…

V’è di più: la magnificazione dei prodotti lattiero-caseari è rappresentata dagli insuperabili Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Mozzarella di Bufala campana. Prodotti consacrati a livello nazionale ed europeo con denominazione di origine e tipica, nonché con il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta. Va da sé che stiamo navigando nell’oceano della migliore tradizione enogastronomica italiana e, in questo campo, siatene certi, diamo dei punti a tutti, indistintamente.

Ecco, infine, un particolare importante: non siamo improvvisatori! I nostri prodotti, riconosciuti tra i migliori al mondo, incarnano tutta la qualità della nostra centenaria tradizione. A riprova di ciò KPMG, una delle quattro “Big Four”, ovvero le quattro società di revisione che a livello mondiale si spartiscono la grande parte del mercato, classifica il marchio Made in Italy al terzo posto al mondo per notorietà dopo Coca Cola e Visa. È non è cosa da poco!

IL MADE IN ITALY

Il Made in Italy è diventato un’icona di qualità della produzione e della creazione. Infatti, le quattro A che lo contraddistinguono riguardano: Abbigliamento, Alimentare, Automazione e Arredamento. Ne consegue che il marchio «Made in Italy» non è solo l’indicazione del Paese di fabbricazione di un determinato prodotto, come il diffusissimo Made in PRC (Popular Republic of China), ma e soprattutto il marchio in senso assoluto, ovvero un simbolo identificativo che raccoglie la reputazione, i valori, la ricercatezza delle eccellenze realizzate dalle grandi firme dell’artigianato e dell’industria italiana. Settori che esprimono un’atavica e sempiterna attitudine del nostro popolo alla qualità, al buon gusto e alla creatività.

La sovranità produttiva e in particolare quella alimentare, in epoca di deglobalizzazione, sono i punti forti e, a seconda delle circostanze e dei tempi che corrono, le ancore di salvezza della nostra economia. Non a caso, nell’attuale composizione governativa, l’Italia può contare su un apposito ministero, quello dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste. Ed è ad opera di detto ministero che la tutela del Made in Italy diventa legge (L. 27 dicembre 2023, n. 206).

“All´art. 34 della legge viene introdotta la possibilità per i ristoratori italiani all’estero di richiedere il rilascio della certificazione di “ristorante italiano nel mondo”, per valorizzare quelle attività che, all’estero, offrono prodotti legati alle migliori tradizioni italiane, contrastando, allo stesso tempo, l’italian sounding e sostenendo la candidatura della cucina italiana a patrimonio Unesco”. È quanto dichiara il ministro Francesco Lollobrigida.

LA DIETA MEDITERRANEA

Fiore all’occhiello del made in Italy gastronomico è di sicuro la universalmente nota dieta mediterranea, per essere la più appropriata di tutte, a livello nutrizionale e salutare. Essa è stata dichiarata dall’Unesco «Patrimonio intangibile» sin dal 2010 e non per nulla, per sette anni di fila, continua a conquistare il titolo di migliore dieta in assoluto; ne dà notizia la CNN basandosi sulle scelte del 2024, riportate da U.S. News & World Report.

Oltre a ciò, la stessa rappresenta un comprovato elisir di lunga vita; uno stile di vita alimentare presente tradizionalmente nei soli Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Gli studi scientifici internazionali, iniziati nel 1950, confermano che a tutt’oggi la dieta mediterranea, associata ad un corretto stile di vita, rimane la dieta tra le più benefiche per la nostra salute. Il segreto consiste in una alimentazione prevalentemente vegetale (verdura, frutta fresca e secca, legumi, pane, pasta e altri cereali se possibile integrali), con l’aggiunta di carne bianca, magra, olio extra vergine di oliva preferibilmente a crudo e in moderate quantità, uova e pesce in abbondanza.

C’è molto affanno (azioni diplomatiche, trattative, congressi, concessioni…) tra i grandi protagonisti della politica mondiale, per accreditarsi come buoni partner commerciali o per imporre nuove forme di colonialismo economico. «Come tanti altri fenomeni politici ed economici, il neo colonialismo economico, scrive Papa Francesco, si virtualizza, si mimetizza, si nasconde, rendendone difficile l’identificazione e l’eliminazione».

Validi esempi potrebbero essere, da un lato, la nuova via della seta (la Belt & Road) e, dall’altro lato, il ‘Land grabbing’ o ‘corsa alle terre’ (la gestione iniqua delle terre ricche di materie prime, principalmente in Africa, date in concessione per lo sfruttamento delle risorse energetiche a spregiudicate potenze straniere, che poi agiscono uti dominus e non per il bene delle parti interessate). Noi, invece, alla chetichella, abbiamo realizzato il Food & Road, trasformando elegantemente l’italian sounding in vero Made in Italy, conquistando così i palati degli abitanti del pianeta con l’arte dei nostri gastronomi, con la creatività dei nostri chef e con la bontà dei nostri prodotti. Questione di stile!

NEL MONDO SI CUCINA ITALIANO

La cucina italiana nel mondo ha raggiunto un valore complessivo di ben 228 miliardi, mentre il mercato nazionale vale 75 miliardi (dati Deloitte). Konstantin Markidin, capo cuoco della cucina del Cremlino, ad esempio, ha arricchito la propria esperienza lavorativa con gli chef italiani nel ristorante dell’albergo “Kosmos”; le pappardelle italiane preparate dallo chef del famoso ristorante «Alfredo 100», situato sulla 54esima strada a New York, sono il piatto preferito di Trump; Joe Biden, notoriamente amante delle paste, va matto soprattutto per gli spaghetti al pomodoro; Angela Merkel ha sempre amato la musica classica e la cucina italiana; Carlo III d’Inghilterra, secondo quanto scrive Fabiana Salsi, adora la cucina italiana; ha fatto il bis di spaghetti ai moscioli e mangiato scialatielli «in incognito» con Camilla; e la lista è lunga, molto lunga.

Non v’è chi non veda, a questo punto, che noi italiani, principalmente nell’ambito dell’intera filiera gastronomica, siamo veramente bravi; fatto sta che abbiamo ‘conquistato´ il mondo. Ma per quanto si diventi bravi, a detta dello psicologo maltese Edward de Bono, occorre sempre desiderare di essere migliori e noi, modestia a parte, in non pochi campi siamo stati i primi e resteremo i migliori.

Un’ulteriore conferma? «La vita è una combinazione di magia e pasta» parole di Federico Fellini buonanima. Beh, noi, che bellezza! di detta combinazione siamo ritenuti gli artisti per eccellenza. Tant’è!




IL PADIGLIONE ITALIA DI EXPO OSAKA 2025 arriva in diretta al Sigep

Nello stand di Pastry&Culture Italian Style domani la presentazione in anteprima

Rimini, 21 gennaio 2024. In anteprima assoluta, domani mattina alle 11 a Roma sarà presentato il Padiglione Italia ad Expo Osaka 2025. Contemporaneamente, i visitatori del “Sigep – The Dolce World Expo”, il salone internazionale di gelateria, pasticceria, panificazione artigianale e caffè attualmente in fase di svolgimento alla Fiera di Rimini, avranno la possibilità di seguire in diretta streaming l’importante appuntamento.

All’interno dello stand dell’associazione Pastry&Culture Italian Style, presieduta dal maestro pasticciere abruzzese Federico Anzellotti, ambasciatore della pasticceria in Expo e per la Regione Abruzzo, dove sono in mostra anche una decina di aziende abruzzesi, è in programma un collegamento diretto con il Palazzo delle Esposizioni di Roma che consentirà di visionare in anteprima l’area espositiva che ospiterà l’Italia durante l’Expo 2025 che si terrà in Giappone dal 13 aprile al 13 ottobre.

Nel corso dell’evento – organizzato da AEPI in collaborazione con il Commissariato Generale di sezione per la partecipazione italiana a Expo 2025 Osaka, l’Azienda Speciale Palaexpo e la Fondazione Italia Giappone – il Commissario Generale, Mario Andrea Vattani, presenterà il progetto del Padiglione Italia all’Expo 2025 Osaka.

Interverranno all’incontro visibile in diretta streaming al Sigep anche il Presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo, Marco Delogu, il ministro incaricato d’Affari ad Interim dell’Ambasciata del Giappone in Italia, Kengo Otsuka, il presidente della Confederazione AEPI, Mino Dinoi, e il direttore amministrativo Italia Expo 2025 Osaka, Andrea Marin, che introdurrà le opportunità per le imprese di collaborazione col Padiglione Italia.




È MORTO IL PROF JOSEPH D’ANDREA, AVEVA 94 ANNI

Origini molisane, docente e Console, trasse dall’oblio la tragedia di Monongah e le sue vittime

di Goffredo Palmerini

L’Aquila 29 dicembre 2023. È morto a Pittsburgh nella serata del 22 dicembre scorso Joseph D’Andrea, 94 anni, esponente di punta della comunità italiana in Pennsylvania. È Peter Argentine, regista e produttore cinematografico, amico di Joseph, ad avermene dato notizia qualche ora fa. Joseph D’Andrea era nato in Molise ed era emigrato con la madre e il fratello negli Stati Uniti, arrivando all’inizio del 1948 in Pennsylvania, dove il padre era giunto nel primo dopoguerra. Joseph D’Andrea è stato un docente stimato, ma soprattutto un leader in seno a numerose organizzazioni italoamericane e nel sindacato dei professori. Giuseppe Fernando Paolo D’Andrea era nato a Roccamandolfi, in provincia di Isernia, il 18 novembre 1929, da Gaetano e Candida D’Andrea.

Durante la Seconda guerra mondiale Joseph aveva frequentato le scuole dei Salesiani a Genzano di Roma, dove era rimasto fino a tutto il 1943. Nel 1944 il suo ritorno a Roccamandolfi, testimone dei bombardamenti e delle distruzioni belliche lungo il fronte della linea Gustav. Fu testimone anche dell’aiuto che sua madre dava ad una famiglia ebrea, ospitata in una stanza della casa di famiglia. Nel dicembre 1947, quando aveva 18 anni, insieme alla madre e a suo fratello Lucio s’imbarcarono a Napoli sulla nave Saturnia. Arrivarono negli Stati Uniti, a New York, all’inizio del 1948, finalmente riunendosi al padre dapprima a Stowe Township, poi a McKees Rocks nell’area metropolitana di Pittsburgh, in Pennsylvania.

Completati gli studi liceali, Joseph s’iscrisse alla Duquesne University, ateneo privato cattolico in Pittsburgh, laureandosi in Lingue e in Amministrazione pubblica. Subito dopo andò ad insegnare italiano alla Berlitz School. Qui conobbe Gloria Bianchi, che nel 1957 divenne sua moglie e da cui ebbe la figlia Anne. Frequentò poi studi universitari superiori all’University of Mexico e all’Università di Pittsburgh. Dopo la Berlitz Shool, dal 1959 andò ad insegnare italiano, spagnolo e latino a South Hills, periferia meridionale di Pittsburgh, e vi rimase fino al 1986. Alla fine del 1960 divenne molto attivo in seno alle organizzazioni sindacali statali e nazionali dei professori, sostenendo i diritti degli insegnanti e la riforma dell’istruzione negli Stati Uniti e all’estero. La maggior parte dei documenti di Joseph D’Andrea, relativi alla sua carriera nel campo dell’insegnamento e sindacale, sono ora conservati dalla Robert Morris University.

Joseph D’Andrea è stato presidente della Pennsylvania State Education Association, dal 1974 al ‘76, ruolo che gli ha permesso di rappresentare gli Stati Uniti in conferenze internazionali, presentando documenti e conducendo workshop sulla riforma dell’istruzione, sui diritti umani e politici. Tra il 1978 e il 1980 è stato presidente dell’Italian Sons & Daughters of America (ISDA) in Pennsylvania. Ha inoltre fondato nel 1980 l’American Italian Cultural Institute (AMICI) ed è stato presidente del Heinz History Center’s Italian American Program dal 1999 al 2003. Ha inoltre fatto parte assai attivamente delle organizzazioni Sons of Columbus, AMICI, NIAF, ISDA.

Significativo anche l’impegno in campo diplomatico. Dapprima Viceconsole Onorario presso il Consolato Italiano di Pittsburgh dal 1983, Joseph D’Andrea è stato poi Console d’Italia dal 1996. In tali funzioni, con encomiabile spirito di servizio, ha fornito assistenza agli emigrati italiani e agli italoamericani, ha tenuto conferenze sul patrimonio italo-americano e organizzato eventi comunitari, come la Festa delle Belle Arti, iniziata nel 1983 e poi diventata Festa Italia. Un evento che aveva continuato ad organizzare ogni anno fino al suo ritiro dal servizio diplomatico nel 1999. Andato in pensione dal Consolato, D’Andrea era rimasto sempre attivo nella comunità italiana, come speaker e organizzatore di eventi.

Ma uno dei grandi meriti di Joseph D’Andrea è stato quello d’aver dato un forte impulso a far luce, a quasi un secolo di distanza, sulla tragedia di Monongah, in West Virginia, l’esplosione e l’incendio della miniera di carbone avvenuta il 6 dicembre 1907, dove persero la vita quasi mille persone, benché la cifra ufficiale fosse molto inferiore. Tra le vittime 171 italiani, di cui 87 molisani ed una trentina di abruzzesi. Nel 2007, ricorrenza centenaria della tragedia, a cura di Joseph D’Andrea veniva pubblicato il volume “Monongah cent’anni d’oblio”, una puntigliosa ricerca su quel terribile fatto e sulle vittime molisane del disastro. Finalmente, proprio ad un secolo dalla tragedia, anche l’Italia finalmente nel 2007 rendeva onore alle vittime di Monongah, doveroso tributo del Paese a quei figli emigrati periti nella miniera. Era stata necessaria un’intensa campagna di stampa condotta dal direttore del quotidiano La Gente d’Italia, Domenico Porpiglia, a riaccendere l’attenzione sul caso e finalmente a smuovere le istituzioni italiane. Joseph D’Andrea fu molto coinvolto nella commemorazione del Centenario della tragedia di Monongah, con eventi realizzati in Molise e negli Stati Uniti, tra cui la produzione di una mostra museale e di un documentario diretto da Peter Argentine che fu trasmesso a livello nazionale.

Con Joseph ci incontrammo nell’ottobre 2016 a Washington, in occasione del il 41° Gala Weekend della National Italian American Foundation (NIAF). In quei giorni stemmo insieme a suo fratello Lucio D’Andrea, ingegnere petrolifero, fondatore insieme all’aquilano Omero Sabatini, diplomatico in pensione, dell’AMHS (Abruzzo&Molise Heritage Society), associazione cui fanno capo gli abruzzesi e molisani del District of Columbia, l’area della capitale, e dei confinanti stati del Maryland e Virginia. Con Joseph, che avevo conosciuto a L’Aquila nei mesi successivi al terremoto del 2009, quando mi contattò per chiedere quali iniziative potesse promuovere in aiuto alla città, ricordammo i due giovani universitari che la comunità italiana di Pittsburgh “adottò” dopo il sisma dell’Aquila. Joseph mi chiese i nomi di due studenti di Ingegneria dell’Università dell’Aquila, uno abruzzese e uno molisano, ai quali gli italiani di Pittsburgh avrebbero assicurato le spese d’ospitalità, mentre l’Università di Pittsburgh li avrebbe accolti nella medesima Facoltà. Mi rivolsi alla prof. Anna Tozzi, responsabile dei rapporti internazionali dell’ateneo aquilano, che provvide celermente a scegliere i due studenti con un avviso pubblico. Quel fatto portò fortuna a Luca, il molisano, e a Berardo, abruzzese di Teramo. Il primo studiò a Pittsburgh per il suo dottorato, Berardo, invece, subito dopo la laurea andò a lavorare in Olanda per un’importante società multinazionale.

Altro merito di Joseph D’Andrea è stato il fondamentale ruolo che egli ha svolto nella fondazione dell’Heinz Regional History Center, un museo contenente collezioni di documenti della comunità italo-americana. Allo stesso Centro D’Andrea ha conferito il suo personale archivio di documenti (1899-2016) e ha promosso il deposito di fondi archivistici privati, costituendo un importante cespite della memoria che conserva immagini fotografiche, documenti personali, registri organizzativi e pubblicazioni che documentano la vita degli italoamericani nel XX secolo, nella Pennsylvania occidentale e nelle aree circostanti. Forte emozione e commozione ha generato la notizia della morte di Joseph D’Andrea nella rete dei Molisani nel mondo, tra la comunità italiana in Pennsylvania, nella sua terra d’origine dove tante sono state le testimonianze di affetto, di stima e gratitudine, a cominciare dal Presidente della Regione Molise Francesco Roberti. L’amore per il suo Molise, la valorizzazione della cultura italiana negli States, la dedizione assidua e generosa con la quale da Console ha servito la comunità italiana, l’apprezzamento della sua opera da parte delle istituzioni americane e dei governi italiani, sono una parte significativa dell’eredità morale e professionale di Joseph D’Andrea. Egli sarà sempre ricordato anche per il singolare suo tratto, gentile e comunicativo. Una persona di grande umanità, l’amico Joseph, lascia davvero un luminoso esempio di grande italiano.




NON BASTA DIRE BASTA!

Filosofi lungo l’Oglio

Lonato del Garda, 20 novembre 2023. Giovedì 23 Novembre, a partire dalle ore 20:30 avrà luogo il secondo appuntamento della manifestazione NON BASTA DIRE BASTA! una serie di incontri culturali volti a sensibilizzare la società civile tutta su una delle ferite più gravi del nostro tempo e in crescita esponenziale: la violenza sulle donne. Presso la Rocca di Lonato del Garda (via Rocca 2, ingresso da piazza Corlo), interverrà su: Il coraggio della testimonianza, Francesca Nodari filosofa e presidente della Fondazione, incalzata da Maria Luisa Villa, giornalista esperta di parità di genere nei media. All’evento parteciperà anche Anna Maria Gandolfi, consigliera di Parità della Regione Lombardia

L’iniziativa, una vera e propria lectio magistralis, partirà dalla storia personale di Francesca Nodari, dalla quale è sorto il memoir Storia di Dolores. Lettera al padre che non ho mai avuto (Mimesis, 2016). Un libro – in cui amore e violenza, maternità e paternità si intrecciano con il filo rosso del pensiero filosofico – e che rappresenta una metafora ‘incarnata’ di un’esistenza sofferta, segnata dalla negazione e dal rifiuto, ma anche dal coraggio di superare l’omertà diffusa: ferite profonde e indelebili che trovano nel racconto e nella condivisione la propria forma catartica, in una lettera dedicata a tutte le donne vittime di violenza.

«Una testimonianza “a fior di pelle”, che costituisce un’occasione propizia per condividere angosce, paure, timori spesso repressi o ritenuti “in-confidabili” dinnanzi ad un male “che è già là” e che, spesso, ci si illude possa allentare la sua morsa o, peggio ancora, scomparire.  Di qui si dà la possibilità di condividere riflessioni di cui si sente la necessità di esplicarne il dolore che spesso rende muti, ribadendo con forza che chi ci ama non ci può umiliare, ferire o, peggio ancora, distruggere. Di qui l’urgenza di ribadire con forza che ciascuna donna vittima di violenza deve denunciare il proprio persecutore senza se e senza ma».

L’ingresso alla manifestazione è libero fino ad esaurimento posti.

FRANCESCA NODARI

Filosofa levinasiana allieva del grande e compianto pensatore tedesco Bernhard Casper, Francesca Nodari si è laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Parma e specializzata in Filosofia e linguaggi della modernità nell’Ateneo di Trento. Ha conseguito, sotto la guida del Prof. Bernhard Casper (Università di Freiburg i. B.), il Dottorato di ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di Trieste e collaborato con la facoltà di Filosofia dell’Università Milano-Bicocca. Nel 2014 ha conseguito l’abilitazione nazionale di seconda fascia nel settore di Filosofia morale.

Si occupa, collocandosi nel solco tracciato dal suo Maestro – il cui pensiero si impernia su due linee metodiche costanti: quella fenomenologico-ermeneutica (Heidegger) e quella del nuovo pensiero (Rosenzweig) – di questioni che ruotano attorno allo statuto della soggettività e dell’alterità cercando di farne emergere, grazie agli stimoli legati in particolare al pensiero di Levinas, la dimensione incarnata, temporale e finita. È Presidente della Fondazione Filosofi lungo l’Oglio e Direttore scientifico dell’omonimo Festival, giunto quest’anno alla sua XVIII edizione.

Ha ideato e curato la Rassegna: Fare memoria, nella convinzione di quanto sia necessario e insieme imperativo rendere viva la memoria, con particolare riferimento a quella cesura della storia, che si chiama Shoah conservando, insieme, uno sguardo attento – anche grazie agli insegnamenti di figure del calibro di Amos Luzzatto e di Paolo De Benedetti – alla costruzione del dialogo ebraico cristiano.

Sua è l’intuizione di dare vita, in partnership con Gariwo e in collaborazione con i rispettivi Comuni, ai Giardini dei Giusti di Brescia (2013), di Orzinuovi (2015), di Barbariga (2019) e di Lograto (2022). Tra i suoi libri: Il male radicale tra Kant e Levinas, Giuntina 2008; Il pensiero incarnato in Emmanuel Levinas, Morcelliana 2011; Piovani interprete di Pascal, Massetti Rodella 2012; Il bisogno dell’Altro e la fecondità del Maestro. Una questione morale, Giuntina 2013; Quale pane?

Massetti Rodella 2015; Storia di Dolores. Lettera al padre che non ho mai avuto, Mimesis 2016; Temporalità e umanità. La diacronia in Emmanuel Levinas, Giuntina 2017; Donne e Shoah (con A. Foa), Mimesis 2021. Sua è la nuova edizione critica a Il Tempo e l’Altro di Emmanuel Levinas con un’accurata postfazione: Dalla solitudine all’istante, Mimesis 2022. Inoltre, ha contribuito alla stesura della sceneggiatura, con C. Uberti e F. R. Massaro, del film: Bocche inutili (2022).

Ha curato i libri-intervista a S. Natoli: La mia filosofia. Forme del mondo e saggezza del vivere, ETS, 2007; ad A. Luzzatto: A proposito di laicità. Dal punto di vista ebraico, Effatà Editrice 2008 e a S. Givone, Il bene di vivere, Morcelliana, 2011. Tra gli altri, sua è la cura di M. Augé, Condividere la condizione umana. Un vademecum per il nostro presente, Mimesis 2019; G. Laras, Il comandamento della memoria, Mimesis 2019; P. De Benedetti, Memoria di Dio, Mimesis 2020; e a Haim Baharier, Generare è rispondere o domandare? Mimesis 2021.

Dirige, presso Mimesis, le collane «Chicchidoro» e «Tempo della memoria». Collabora con riviste («Studium», «Humanitas», «Nuova Secondaria», «Intersezioni», «Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Teologhie», «Iride») e La domenica de «Il Sole 24 Ore».

È tra le vincitrici del «Premio Donne Leader 2012», conferitole dall’Associazione internazionale EWMD e, nel 2015, del «Premio Donne che ce l’hanno fatta». Nel 2019, è stata insignita dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine Al Merito della Repubblica Italiana. Recentemente, è stata nominata tra le 100 Esperte della sezione di Filosofia del progetto «100 donne contro gli stereotipi».

MARIA LUISA VILLA

Giornalista, per 30 anni al “Corriere della Sera”, fa parte dell’associazione “GiULiA Giornaliste” che si occupa di linguaggio e parità di genere nei media. È nel team di 100esperte.it che promuove l’eccellenza femminile sui mezzi di comunicazione.




CENNI STORICI SULL’EMIGRAZIONE ITALIANA

Gli Abruzzesi nel mondo. Assemblea CRAM

di Goffredo Palmerini

L’Aquila, 3 novembre 2023. Per entrare nel contesto d’un fenomeno di così grande portata nazionale, qual è l’emigrazione, occorre rifarsi mentalmente alle sue radici ed al suo corso, almeno quanto basta per dare la misura di come sia cambiata nel tempo. Ma sarà difficile comprenderlo nella sua complessità se non si risale, sia pure per brevi cenni, all’inizio dell’emigrazione di massa. Torniamo, pertanto, solo per un momento ai tempi in cui esplose l’emigrazione come fenomeno diffuso nel nostro Paese, tra il disorientamento e l’incomprensione generale.

A quegli anni tra il 1880 e l’inizio del nuovo secolo quando non si riuscì a dar vita ad un solo provvedimento per la disciplina del diritto d’emigrare che valesse, nel contempo, anche per una definita forma di protezione umana e civile. L’intervento pubblico fu incerto, norme ed applicazioni servirono solo a rendere più confuso l’andamento d’un fenomeno che andava affrontato con propensioni a coglierne l’essenza sociale.

Ma così non fu. E l’esercito di braccia che partì dall’Italia verso ogni continente si trovò a dover affrontare inimmaginabili e drammatiche vicende umane, a lottare ogni giorno contro sospetti e pregiudizi, a doversi confrontare in competizioni durissime con sistemi sociali sconosciuti e condizioni di lavoro altrettanto precarie. Dunque davvero illuminante ed efficace, più d’ogni altra analisi sociologica, è stata la narrazione dell’emigrazione italiana, con tutti i suoi dolori materiali e morali, attraverso alcuni libri che hanno avuto ampia diffusione – per tutti cito il best-seller di Gian Antonio StellaL’orda. Quando gli albanesi eravamo noi” e più recentemente Enrico Deaglio con “Storia vera e terribile tra Sicilia e America” o “Quando partivamo noi. Storie e immagini dell’emigrazione italiana”, di Bruno Maida – Finestre che hanno consegnato all’opinione pubblica molta luce sul fenomeno migratorio italiano, oggi portata più a celebrare le grandi conquiste civili, economiche e sociali della nostra emigrazione, meno a riflettere a costo di quali sacrifici questo sia accaduto.

In effetti, oggi, del fenomeno migratorio italiano – una delle più grandi diaspore dell’umanità che in poco più di un secolo ha visto emigrare circa 29 milioni di italiani – si tende a richiamare le rilevanti affermazioni in ogni ruolo nelle società dei Paesi d’emigrazione, dove le nostre comunità hanno fortemente contribuito alla crescita ed allo sviluppo. Hanno così conquistato sul campo, in condizioni talvolta di forte competizione, con la laboriosità, l’ingegno e l’intraprendenza creativa, ragguardevoli risultati, tanto da guadagnarsi rispetto e stima con esemplari testimonianze di vita. Hanno persino reso un ulteriore grande servizio all’Italia, più importante dall’averle consentito di crescere e progredire anche con le loro rimesse, nell’aver dimostrato direttamente in ogni angolo del mondo quali siano le qualità e le doti della gente italiana, specie in Paesi dove la considerazione verso l’Italia talvolta è misurata più sui nostri difetti in Patria che non sulle nostre virtù.

Non è un mistero che in Patria, per l’appunto, le nostre abitudini risentano talvolta di antichi vizi, e si stenta ancora ad affermare uno Stato con autentiche pari opportunità per tutti, nei diritti ma anche nei doveri, dove leggi e regole dell’organizzazione sociale presiedano rigorosamente al comportamento individuale nella pratica di ogni giorno, ma anche nella coscienza civile diffusa di tutti i cittadini. Quando questo non avviene, e talvolta i cattivi esempi vengono proprio dalla classe dirigente, di noi all’estero invale un concetto non proprio gradevole e con severità siamo giudicati un’Italietta, piuttosto che il grande Paese che meriteremmo di essere se ci emendassimo da certi comportamenti non proprio commendevoli. Questo non accade per i nostri connazionali all’estero, perché dell’Italia offrono, con il loro comportamento e le testimonianze di vita, un’immagine seria ed affidabile, confermandosi essere i migliori ambasciatori del nostro Paese nel mondo.

E tuttavia, in Italia, nella mentalità di larga parte del Paese e della sua classe dirigente, continuano a persistere stereotipi e paternalismi verso i connazionali all’estero, che segnano un deficit di conoscenza del fenomeno migratorio italiano, così limitando le opportunità di valorizzarlo come risorsa d’inestimabile qualità su cui investire. Per chi abbia un minimo d’interesse vero, e d’umiltà, l’avvicinarsi alle nostre comunità all’estero permette di scoprire un patrimonio inimmaginabile di risorse umane, professionali ed imprenditoriali, di valori civili impersonati ed incardinati nelle società dei Paesi d’emigrazione che porta loro una messe di riconoscimenti, guadagnati sul campo in decenni d’impegno competitivo, talvolta contro supponenze e pregiudizi.

Oggi gli italiani all’estero sono considerati per il loro valore umano, sociale, creativo ed intellettuale. Hanno raggiunto risultati importanti in ogni campo: nel lavoro, nelle imprese e nei ruoli di responsabilità che espletano nei Paesi in cui vivono. Le generazioni successive alla prima emigrazione, oggi, esprimono una schiera di personalità emergenti in ogni settore della vita sociale e civile, dall’imprenditoria alle professioni, dall’economia alle università, dalla ricerca alla politica.

Ma torniamo al tema. Quando nel secondo dopoguerra si riaprì l’emigrazione e si ripresentarono problemi e difficoltà analoghi a quelli riscontrati a fine Ottocento, ancora una volta si commise l’errore di considerare l’emigrazione di massa come strumento per alleviare la disoccupazione e non si pensò che occorreva togliere subito all’agricoltura l’ancestrale carattere di occupazione non sufficientemente remunerata ed oppressa da intollerabili gravami; che occorreva non disperdere l’artigianato, che occorreva superare le barriere che avevano privato tante popolazioni, e per lungo tempo, della cultura e della formazione professionale. Insomma, si ricadde negli stessi errori, quando di quel salasso di forze non si riusciva a tenere conto, neanche dal punto di vista statistico, mentre era lo specchio della persistenza degli squilibri economici d’uno Stato ancora territorialmente incompiuto, specie nel Meridione. Tutto veniva rimesso all’iniziativa privata, nella speranza che fosse in grado di approntare nuove opportunità di lavoro.

Dunque è evidente che fosse naturale, in presenza d’una sordità sociale così palese, la fuga muta ed ostinata di chi non aveva neanche l’essenziale per la sopravvivenza. Non è il caso d’indagare se ci fosse o meno una coraggiosa spinta imprenditoriale in quegli italiani che dovevano tra difficoltà oggettive costruire uno Stato nuovo ed unitario non solo a parole, ma appare chiara l’insufficiente presa di coscienza dell’emigrazione come problema nazionale, come questione sociale ormai inquietante, come protesta silenziosa e sprezzante. Tutt’al più poteva apparire come fenomeno di disturbo in una fase di assestamento ancora incerta ed immatura.

E così l’emigrazione nacque con quel suo carattere, durato più d’un secolo, di spinta incontrollata ed incontrollabile, per mancanza d’un adeguato piano governativo sia di sostegno ai partenti, sia per il riassorbimento delle forze emigrate, nel contesto d’una politica economica programmata che almeno governasse l’emigrazione aiutandola nella fase dell’espatrio come in quella del rientro, con una serie di servizi, tutele e infrastrutture. Questo perché l’uscita dal Paese non fosse un atto d’arrischiata avventura ed il ritorno una faticosa reintegrazione.

La spinta ad emigrare ebbe persino i suoi banditori, come gli agenti delle linee di navigazione ed i rappresentanti degli interessi d’oltreoceano che nei più sperduti paesi d’Italia portavano la suggestione d’una fortuna a portata di mano. Dopo un secolo, di fortuna non si parlava più e la ripresa dell’emigrazione, dal 1946, fu collegata a rapporti di lavoro soprattutto con le industrie estrattive. Tutt’al più si sperava in contratti vantaggiosi, specie per i lavoratori delle miniere rispetto agli scarni trattamenti salariali che allora si fruivano in Italia: A quali costi ce l’avrebbe rivelato nel 1956 la tragedia di Marcinelle. E tuttavia resta nitida la cifra dell’emigrante italiano, a volte un pioniere, un avventuroso ed un campione di coraggio e sobrietà, in altri casi persone che cercavano la sicurezza del pane quotidiano, stabilità del lavoro e qualche forma di protezione sociale. Dall’unità d’Italia ad oggi le migrazioni con l’estero hanno certamente rappresentato un fattore di primaria importanza nell’evoluzione socio-economica del Paese. Solo a partire dagli anni ’70 si è cominciata a delineare un’inversione di tendenza, rivelata prima dall’attenuarsi dei fattori d’espatrio e poi dal passaggio, per i più imprevisto ed inatteso, da paese d’emigrazione a paese d’immigrazione. Ma già nel primo decennio del Duemila, particolarmente dopo la crisi economica mondiale del 2007-2008, in Italia si è ripreso ad emigrare, con uscite che hanno raggiunto talvolta i 150mila esodi in un anno, spesso giovani con formazione universitaria che dentro i confini non hanno trovato opportunità di lavoro. Negli ultimi anni intorno a 130mila sono stati gli esodi.

Tornando al periodo in esame, la fine del secondo conflitto mondiale segna l’avvio d’una ulteriore fase d’intensa emigrazione dall’Italia verso l’estero. L’arretratezza delle strutture di produzione e la continua fuoriuscita di manodopera dal settore agricolo determinano infatti un’ampia disoccupazione, specie nelle regioni meridionali. La promozione dell’emigrazione viene vista come un rimedio agli squilibri interni tra domanda ed offerta di lavoro, tanto che viene pubblicamente proposta con un piano del Governo tendente a favorire gli espatri. Sebbene i fenomeni migratori riguardino anche il nord d’Italia – tanto che le regioni settentrionali tra gli anni ’50 e ’60 vedono aumentare la propria popolazione di diversi milioni di persone provenienti dal meridione – i flussi verso l’estero continuano ad essere la punta più vistosa del fenomeno. I flussi dell’immediato dopoguerra si indirizzano dapprima oltreoceano, in nord e sud America (Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile e Venezuela) come in Australia, poi soprattutto verso i Paesi europei, con picchi di trecentomila espatri l’anno.

Le migrazioni verso l’Europa hanno carattere marcatamente temporaneo, mentre quelle verso altri continenti hanno carattere tendenzialmente stabile. Nella seconda metà degli anni ’60 le destinazioni verso i Paesi europei diventano prevalenti, mentre quelle extracontinentali cominciano a perdere attrattiva già a metà del decennio precedente. Il cambiamento della direzione dei flussi va correlato per un verso alla favorevole congiuntura dell’economia di molti Paesi europei, oltre che alle migliori condizioni sociali e previdenziali offerte anche in ragione di accordi tra Stati dell’appena nata Comunità Europea, come pure dalle più agevoli decisioni di rimpatrio; dall’altro è condizionata dalle sopravvenute difficoltà economiche specie in sud America, ma anche dalle restrizioni introdotte da alcuni Paesi d’oltreoceano. All’inizio prevalgono Francia e Svizzera come mete europee, seguite appena dopo dal Belgio. Qualche anno più tardi è la Germania federale, in piena espansione industriale, ad essere preferita come destinazione.

Nel frattempo, a partire dagli anni ’60, l’Italia conosce il suo “boom economico” e s’avvia a diventare una delle grandi potenze industriali del mondo. I movimenti migratori, già a metà degli anni ’60, cominciano a perdere il carattere di esodo di massa che aveva contraddistinto fino ad allora il fenomeno. Negli anni ’80 la media degli espatri, circa 80.000 unità, vengono pressappoco pareggiati dalla media dei rimpatri, tanto che persino l’Istat nel 1988 interrompe la rilevazione di flussi e l’andamento del fenomeno è rilevabile solamente attraverso le cancellazioni o reiscrizioni sui registri dell’anagrafe dei Comuni. Negli anni ’90 si rileva per la prima volta un bilancio migratorio favorevole ai rientri, mentre si avverte decisamente che l’Italia si sta trasformando in paese d’immigrazione. Anche dai Paesi d’oltreoceano, sebbene in misura molto più contenuta, prevalgono i rimpatri sugli espatri. Il fenomeno mantiene pressappoco lo stesso trend anche nei primi anni Duemila.

Gli italiani residenti all’estero

A partire dall’unificazione del 1861 l’Italia ha conosciuto un espatrio di quasi 29 milioni di persone. Secondo i dati che documenta il Dizionario Enciclopedico Migrazioni Italiane nel Mondo – la prima opera enciclopedica realizzata da 168 autori, tra cui anch’io -, nel periodo 1876-2005 le prime tre regioni con il maggior numero di espatri sul totale sono il Veneto (3.212.919), la Campania (2.902.427), la Sicilia (2.883.552). L’Abruzzo è al settimo posto con 1.254.223 espatri. Secondo il penultimo Rapporto Italiani nel Mondo (2021) della Fondazione Migrantes, sono 5.652.080 gli italiani che hanno conservato la cittadinanza e sono iscritti all’AIRE, l’anagrafe dei residenti all’estero. Sono il 10,5% degli oltre 59,2 milioni di italiani residenti in Italia. Mentre l’Italia nell’ultimo anno ha perso quasi 384 mila residenti sul suo territorio (dato ISTAT), ne ha guadagnati 166 mila all’estero (dato AIRE). La Sicilia, con oltre 798 mila iscrizioni, è la regione con la comunità più numerosa di residenti all’estero. La seguono, a distanza, la Lombardia (oltre 561 mila), la Campania (quasi 531 mila), il Lazio (quasi 489 mila), il Veneto (oltre 479 mila) e la Calabria (oltre 430 mila). Sono tre le grandi comunità di cittadini italiani iscritti all’AIRE: nell’ordine, Argentina (884.187, il 15,6% del totale), Germania (801.082, 14,2%) Svizzera (639.508, 11,3%). Seguono, a distanza, le comunità residenti in Brasile (poco più di 500 mila, 8,9%), Francia (circa 444 mila, 7,9%), Regno Unito (oltre 412 mila, 7,3%) e Stati Uniti (quasi 290 mila, 5,1%).

Le statistiche ufficiali dei residenti all’estero si riferiscono tuttavia solo alle cifre degli iscritti all’AIRE, per i vari Paesi, essendo rilevabili di anno in anno, come si diceva, dalle iscrizioni anagrafiche dei Comuni. Ben altra però è la popolazione oriunda dei discendenti delle varie generazioni dell’emigrazione italiana che, pur non conservando o non avendo per una serie di ragioni riacquistato la cittadinanza, è italiana per diritto di sangue e delle proprie origini conserva cultura, valori e tradizioni. In termini assoluti Brasile, Argentina e Stati Uniti sono nell’ordine i Paesi che hanno la maggior presenza d’italiani. Quei 29 milioni di italiani espatriati, con le generazioni successive – siamo alla quarta o alla quinta – hanno prodotto discendenze di padre o di madre, cosicché gli oriundi italiani nel mondo sono diventati 80 milioni, secondo le più attendibili stime. Abbiamo dunque nel mondo un’altra Italia, ben più grande di quella dentro i confini. Persone fortemente legate alle proprie radici, che amano l’Italia e la chiamano “Patria”, che la amano per la bellezza, per la sua cultura, per le sue tradizioni, per l’immenso patrimonio d’arte. Con quest’altra Italia di 80 milioni di connazionali noi italiani dentro i confini abbiamo un dovere importante, anche morale, verso di loro: di conoscerli meglio, di conoscere le loro storie, inoltre di riconoscerli in tutto il loro valore.

Mettere insieme 140 milioni di italiani che hanno le stesse radici culturali (60 dentro i confini, 80 all’estero – e secondo Piero Bassetti ci sarebbero da considerare, in aggiunta, anche altri 110 milioni di “italici”) è una sfida che l’Italia deve finalmente affrontare. Come pure politiche di promozione della lingua e della cultura italiana all’estero, cosa che l’Italia fa poco destinando risorse insufficienti a questo scopo. Ciò nonostante l’italiano è oggi la quarta lingua più studiata al mondo. Chi studia la lingua italiana, pur non essendo italiano, lo fa perché ama l’Italia, ama la cultura italiana, ama il gusto italiano, ama lo stile italiano, ama il modo di vivere degli italiani. L’attenzione verso la nostra cultura è straordinaria. Noi stessi italiani non abbiamo talvolta consapevolezza dell’enorme patrimonio intellettuale, culturale e artistico della nostra Italia, quasi due terzi di quello mondiale. Ci sfugge la dimensione di cosa siamo e cosa rappresentiamo per il mondo intero, in termini di patrimonio artistico e culturale.

Consideriamo ora, più nel dettaglio, le rotte migratorie che furono seguite nella prima emigrazione (1861-1940), e soprattutto dopo il 1945 con la seconda emigrazione. Come accennavo prima, le rotte della prima grande emigrazione si diressero verso gli Stati Uniti e i paesi del Sud America, anzitutto Brasile e Argentina, ma anche Uruguay e Cile. Nel secondo dopoguerra, oltre alle appena citate prelazioni verso le Americhe, si aggiunsero destinazioni come il Canada e il Venezuela, ma anche la nuova rotta dell’Australia. C’è poi l’emigrazione massiva nella vecchia Europa, a cominciare dalla Francia, alla Svizzera, al Belgio – soprattutto nelle miniere di carbone grazie al trattato italo/belga -, quindi alla Germania in piena ricostruzione e in forte sviluppo industriale.

Ecco alcune cifre sull’emigrazione, solo per dare un’idea senza la pedanteria dei dati statistici che renderebbero pesante questa conversazione. Tuttavia alcuni essenziali numeri sono importanti per capire meglio l’argomento, cioè l’emigrazione italiana nell’arco di circa 150 anni. Si tenga allora conto che l’emigrazione più consistente, in termini assoluti – anche se certe volte questo non appare – è stata quella verso il Brasile, paese che ha il maggior numero di oriundi italiani in termini assoluti: circa 25 milioni.

L’altro Paese con una numerosa comunità italiana è l’Argentina. Notevole il numero di argentini con origini italiane. In termini percentuali (non assoluti, che resta il Brasile) l’Argentina è il Paese che ha la più alta percentuale di italiani, circa la metà degli abitanti dell’Argentina, dunque quasi 22 milioni.  C’è una ragione per la scelta dell’Argentina in chi allora partiva con i bastimenti dall’Italia. Tenete conto delle conoscenze e del grado d’istruzione che a fine Ottocento e inizio Novecento aveva la popolazione italiana. Si consideri che chi partiva nella prima emigrazione non aveva formazione scolastica né preparazione professionale, non conosceva la lingua, men che meno rudimenti di conoscenze scientifiche. Erano quasi tutti contadini, e una piccola parte di artigiani. Quindi il miraggio di chi lasciava un Paese dove non aveva proprietà terriera, se non in minima parte, era mezzadro o lavoratore a giornata per proprietari latifondisti, era quello di avere un grande pezzo di terra da coltivare per sé e per i figli numerosi.

Quindi il sogno era quello d’andare in queste nuove terre dell’America latina per avere a disposizione appezzamenti di terreno da poter considerare come proprio, se non addirittura averlo in proprietà. Ci sono state politiche, per esempio in Brasile, in base alle quali all’immigrato si dava in proprietà un grande appezzamento di terra in posti sperduti e quasi deserti. Là si costituivano comunità di agricoltori, interi villaggi, proprio grazie ai nostri emigrati. Mi viene in mente il caso di Pedrinhas Paulista, in Brasile, dove proprio un gruppo di emigrati abruzzesi costituì, nel secondo dopoguerra, una colonia e una comunità molto coesa. In Argentina, particolarmente, qualcosa di simile succedeva nella sterminata estensione della Pampa.

Quelle terre erano importanti per la prima emigrazione italiana, non solo per l’allevamento del bestiame, ma anche per la coltivazione intensiva di cereali e altre colture. Molta parte di italiani partì per l’Argentina negli anni antecedenti la prima guerra mondiale. Le partenze continuarono anche successivamente, nel secondo dopoguerra, ovviamente con obiettivi di occupazione diversa. Perché nel secondo dopoguerra chi partiva aveva già un mestiere, erano artigiani e magari avevano anche un titolo di studio rispetto a quello elementare. Chi oggi visita l’Argentina, specie le grandi città – come è capitato a me nei quattro viaggi in quel grande Paese -, proprio perché metà della popolazione ha origini italiane, ha l’impressione di trovarsi in una città europea, certe volte addirittura di stare in una città italiana. Si riconoscono i gusti, il modo di conversare delle persone, il modo di porsi tipico dello stile italiano, del nostro modo di vivere.

Per dare ancora qualche cenno, il terzo Paese per numero di oriundi italiani (emigrati delle varie generazioni) sono gli Stati Uniti d’America, con oltre 18 milioni di cittadini di origine italiana. Gli Stati Uniti hanno avuto un atteggiamento molto complicato nei confronti degli italiani. Oggi noi celebriamo la parte bella dell’emigrazione italiana, ma c’è la parte dolorosa che è terribile. Molta parte di questa storia di dolore – fatta di pregiudizi, stigmi, persino disprezzo – riguarda proprio l’atteggiamento degli americani nei confronti degli immigrati italiani della prima ondata migratoria, trattati come una “gente inferiore” – rozza, sporca, incolta, violenta – e con epiteti dispregiativi (dago, guinea, ecc.). Pensate che dopo l’approvazione della legge voluta dal Presidente Lincoln che abolì la schiavitù, furono emigrati italiani che andarono a sostituire gli schiavi neri che lasciavano le coltivazioni di cotone in Georgia, in Florida, in Mississippi, in Louisiana e in altri Stati del sud, talvolta subendo veri e propri linciaggi, come avvenne a New Orleans nel 1891 e a Tellulah nel 1899.

Andarono, i nostri emigrati, negli Stati del sud, come andarono nelle miniere di carbone del West Virginia (Monongah, 1908), della Pennsylvania, dell’Arizona o in Colorado, come soprattutto nelle grandi aree metropolitane e industriali di New York, Filadelfia, Pittsburgh, Boston, Chicago e Detroit. Gli italiani erano visti molto male, con pregiudizio. C’era chi li guardava con sospetto, ma non parlo della parte marcia degli italiani – una estrema minoranza – bande criminali legate alla mafia e alla mano nera. Parlo della stragrande maggioranza degli italiani in America che sudava lacrime e sangue per costruirsi un futuro, subendo talvolta angherie d’ogni sorta, almeno fino a metà Novecento. Basta leggere qualche romanzo dell’epoca, anche di qualche abruzzese – Pascal D’Angelo o Pietro Di Donato, se non addirittura di un grande della letteratura americana come John Fante -, per comprendere chiaramente di quali stigmi gli italiani sono stati vittime.

Si trova anche in queste storie il motivo per il quale molte volte gli italiani hanno americanizzato il proprio nome e cognome, per non farsi riconoscere, per non subire angherie. Per molti decenni hanno evitato di dichiarare le proprie origini, diversamente dall’orgoglio che ora si mostra. Solo dagli anni Trenta del secolo scorso questo orgoglio iniziò pian piano a manifestarsi con le prime parate del Columbus Day a New York – un evento fondato nel 1929 da Generoso Pope (Generoso Antonio Papa), un magnate italoamericano di origini irpine, poi diventata festività nazionale dell’orgoglio italiano negli States. Lo stigma verso gli italiani è caduto solo nella seconda metà del 900, ma fino ad allora c’era stato questo atteggiamento pesante nei nostri confronti. Solo negli ultimi trent’anni, peraltro, si è potuto accertare quanti oriundi italiani vivono negli Stati Uniti, grazie ad un dato aggiunto nelle schede del censimento generale della popolazione americana, dove si chiedeva l’origine. Caduti i pregiudizi, i nostri connazionali hanno cominciato massivamente a dichiarare le proprie origini. Si è così risaliti ai 18 milioni di oriundi. Ma c’è da ritenere che ci sia persino qualcosa in più di origini italiane.

Nel secondo dopoguerra è cresciuta di molto l’emigrazione verso il Canada, un Paese che ha invece accolto gli italiani a braccia aperte e lo ha fatto perché nella Costituzione il multiculturalismo è elevato a valore costituzionale. E’ quindi la Costituzione stessa del Canada ad affermare che le culture, le etnie, le origini diverse della popolazione ascendono a valore costituzionale. C’è stata solo una parentesi brutta riguardo il trattamento degli italiani, come si è detto, durante la seconda guerra mondiale, quando i nostri connazionali di sesso maschile e d’età compatibile con la leva militare furono confinati in campi di concentramento perché ritenuti possibili sodali del regime fascista. Una ferita grave che solo recentemente è stata sanata dall’assunzione di responsabilità storica fatta dal Presidente del Canada, Justin Trudeau. Peraltro verso gli italiani c’è stata sempre buona accoglienza. Soprattutto la comunità italiana si è fatta valere ed apprezzare. Oggi in Canada, specie nelle province dell’Ontario e del Quebec, molti sono gli esponenti politici di spicco nelle istituzioni nazionali, Parlamento e Governo, come nelle istituzioni locali e provinciali, a dimostrazione dei ruoli rilevanti che gli italiani si sono conquistati in quel Paese.

C’è infine l’emigrazione del secondo dopoguerra nei Paesi europei. Una presenza forte degli italiani è in Francia, in Germania, in Gran Bretagna, in Svizzera e in Belgio, in quest’ultimo soprattutto per le miniere. Ricorderete la grande tragedia di Marcinelle, dopo la quale cambiò la legislazione sulla sicurezza del lavoro in quel Paese e in quasi tutta Europa. La tragedia colpì soprattutto i nostri emigrati. Nella miniera di Bois du Cazier a Marcinelle, nei pressi di Charleroi, l’8 agosto 1956 morirono 262 minatori nell’incendio di un pozzo a circa mille metri di profondità. Di 262 vittime 136 erano italiani, e di questi bel 60 erano abruzzesi. Cambiarono, dopo la tragedia, anche i rapporti tra Italia e Belgio, relativamente ad un patto che negoziava braccia contro carbone. Un patto che non aveva stabilito sicurezze nel lavoro, previdenza, diritti dei lavoratori. Tutto però cambiò da quella tragedia.

Qual è oggi la situazione della nostra emigrazione, quali le condizioni delle comunità italiane nel mondo? Oggi gli italiani nei vari Paesi d’emigrazione si sono conquistati stima e prestigio, con ruoli di primaria importanza. Chi era emigrato dall’Italia lasciando luoghi con le più dure difficoltà di vita, proprio tra questi si riconoscono le migliori situazioni di riscatto (ad esempio, le grandi imprese di costruzioni in Sudafrica, tante dell’altipiano delle Rocche, di Rocca di Mezzo, Rocca di Cambio, Rovere).Hanno assicurato per sé e la propria famiglia benessere e progresso, ma anche per il proprio Paese e per quello d’accoglienza.

Tutte le volte che all’estero incontro le nostre comunità, la prima parola è di gratitudine neiloro confronti. Le ringrazio a nome personale, le ringrazio a nome della istituzione che di volta in volta ho rappresentato. Ma le ringrazio anche a nome dell’Italia, per via del mio lungo servizio nelle istituzioni. Lo faccio per sopperire anche chi, avendo funzioni di governo (locale, regionale o nazionale) talvolta dimentica d’esprimere gratitudine verso i nostri emigrati, certe volte dimentica perfino d’incontrare le loro associazioni. Bisogna invece essere sempre loro grati per il servizio straordinario che hanno fatto all’Italia. Non solo quello di aiutare l’Italia nella rinascita dopo due guerre mondiali, con le loro rimesse di valuta pregiata. Sappiamo quanto questo ha rappresentato nell’economia italiana per la ricostruzione del Paese dopo la guerra e per avviare il nostro sviluppo economico.

Ma le comunità italiane nel mondo, oltre l’aspetto economico, sono state soprattutto utili – e questo è l’aspetto ancora più rilevante – per aver dato un’immagine dell’Italia di assoluta qualità, per aver dimostrato di quale pasta è fatta la gente italiana. Hanno avuto la schiena diritta, si sono guadagnati la stima e il prestigio, si sono affermati in società fortemente competitive in tutti i campi: nell’economia, nell’imprenditoria, nella ricerca, nella cultura, nelle università, persino nei Parlamenti e nei Governi. Hanno saputo dimostrare di essere gente seria, affidabile, rispettosa della legge, addirittura migliore delle persone native di quei Paesi. Hanno saputo affermarsi in ogni campo e poi hanno saputo mettere quel quid in più che tutti ci riconoscono: la capacità degli italiani di coltivare le relazioni, di avere buoni rapporti sociali, soprattutto di avere quella creatività e quel talento tipico italiano che a tutti fa particolarmente meraviglia.

Questa è l’Italia gloriosa che al di fuori dei confini ha dato dimostrazione della positività della gente italiana. Certe volte ha persino cambiato l’atteggiamento che in molti Paesi si aveva nei confronti dell’Italia. Perché noi qualche difetto pure ce l’abbiamo, come quello di cercare scappatoie alla legge, il poco rispetto per le regole, i bizantinismi della classe politica incomprensibili all’estero, la corruzione nella pubblica amministrazione e così via. Aspetti gravi che dovremmo correggere, ma che all’estero, specie nei Paesi anglosassoni o di tradizione protestante, restano assai censurabili e anziché quel grande Paese che l’Italia è o potrebbe essere, siamo visti ancora con sufficienza.

Abbiamo dunque necessità di migliorare noi stessi anche sullo specchio di quello che hanno fatto i nostri connazionali all’estero. Ma soprattutto abbiamo il dovere morale di conoscere e di far conoscere la storia della nostra emigrazione. Dobbiamo operare perché entri nelle nostre scuole, perché sia studiata dai nostri ragazzi, perché entri nelle università e perché l’Italia dentro i confini conosca bene l’Italia fuori. Quante opportunità potrebbero nascere per il nostro Paese con un rapporto nuovo e maturo tra queste due Italie, dentro e fuori i confini, che si conoscono e riconoscono, sulla comunione della lingua e della cultura, sulla consapevolezza d’essere e di sentirsi un solo grande Paese in cammino, anche con la parte fuori dai confini.

Infine, con la diffusione della lingua e della cultura italiana cammina il Made in Italy, camminano i commerci, cammina tutto. Cammina soprattutto il modo di far conoscere ancor di più l’Italia in tutto il mondo. E ovviamente averne un riverbero importante, per il turismo in particolare, uno dei maggiori cespiti della nostra economia, specie oggi che abbiamo le difficoltà che stiamo vivendo. Quanto sarebbe importante avere un’Italia che contasse 140 milioni d’italiani (60 in Italia, altri 80 all’estero), per sviluppare fortemente il turismo, anche il turismo delle radici, per valorizzare in termini economici ed occupazionali lo straordinario patrimonio d’arte, storia e cultura che l’Italia può vantare, uno straordinario cespite che ammonta a quasi due terzi rispetto a quello dell’intero pianeta.

Gli Abruzzesi nel mondo

Infine, un breve focus sull’emigrazione abruzzese. Secondo il recente Rapporto Italiani nel Mondo ante pandemia (2020), nell’anno di riferimento (1.1.2019) su una popolazione residente di 1.311.580 abitanti, gli abruzzesi iscritti all’AIRE sono 189.720, delle province di Chieti (77.304), L’Aquila (41.457), Teramo (36.331), Pescara (34.628). Nell’ordine questi sono i primi 10 Paesi dove essi vivono: Argentina, Svizzera, Belgio, Germania, Francia, Venezuela, Canada, Stati Uniti d’America, Australia, Brasile. Come abbiamo già ampiamente argomentato, questo dato riguarda solo chi è iscritto all’anagrafe dei residenti all’estero, che ha conservato o riacquistato la doppia cittadinanza, con il diritto di voto alle elezioni politiche nazionali e referendum. Sono solo una piccola parte della massa di oriundi abruzzesi nel mondo delle varie generazioni migratorie, stimati affidabilmente in oltre un milione e trecentomila.

Dopo la grande emigrazione a cavallo tra ‘800 e prima metà del ‘900 che aveva visto l’emigrazione abruzzese dirigersi principalmente in Argentina, Brasile, Stati Uniti, nel secondo dopoguerra i flussi migratori dall’Abruzzo prediligono USA, Canada, Venezuela, Australia e l’Europa (Germania, Svizzera, Francia, Belgio e Regno Unito). Se in genere sono state dure le condizioni degli emigrati italiani per affrancarsi dai problemi patiti dalla prima generazione migratoria, per gli Abruzzesi lo sono state ancor più. Riscattando le condizioni di povertà dignitosa che furono alla base della loro emigrazione in ogni continente, lasciando i borghi delle nostre montagne grame o i paesi delle pianure ancora soggiogate dal latifondo, gli Abruzzesi hanno contribuito, specie nell’ultimo mezzo secolo, alla crescita dei Paesi d’accoglienza, conquistando stima e considerazione con il generoso esempio di vita che hanno saputo dare. In quelle stesse terre, dal nord al sud America, dall’Africa all’Australia, in ogni paese della vecchia Europa, essi hanno realizzato una fitta rete associativa che se da un lato ha conservato l’identità regionale, dall’altro costituisce un cespite su cui sono edificate le ragioni stesse del riconoscimento da parte di quelle società.

Il mondo associativo abruzzese – quello all’estero, ma anche quello in Italia, fuori regione – è assai vivace nelle iniziative e nelle attività d’ordine sociale, culturale e mutualistico, con lo scopo di custodire e valorizzare la cultura e le tradizioni regionali, come di contribuire allo sviluppo delle attività di promozione condotte dalla Regione Abruzzo all’estero. Attualmente l’associazionismo sta vivendo un momento di transizione importante, tra le generazioni prima e seconda con le generazioni successive, nella ricerca di motivazioni nuove che siano capaci di aggregare i giovani, con interessi ed iniziative diverse da chi finora ha coltivato solo ricordi e tradizioni. Può certamente inorgoglire un dato, osservato incontrando le comunità abruzzesi d’ogni continente.

Contrariamente a quanto lascerebbe supporre l’antico isolamento dell’Abruzzo, la dispersione in piccoli borghi di montagna che certamente non favorivano le relazioni, gli abruzzesi all’estero e le loro associazioni si pongono in condizioni di assoluta preminenza rispetto alle altre associazioni regionali, spesso divenendo punti di riferimento per capacità d’iniziative sociali e culturali e motivo di emulazione. A conferma, e per concludere, voglio citare il caso constatato direttamente nella visita che di qualche settimana fa in Canada, in occasione del 50° anniversario del Centro Abruzzese Canadese di Ottawa. Tra i vari riconoscimenti del valore e del ruolo svolto dalla comunità abruzzese nella capitale del grande Paese nordamericano, c’è stato quello del Primo Ministro Justin Trudeau espresso in un messaggio d’augurio recapitato al Presidente del Centro Abruzzese Canadese Inc. Nello Scipioni, davvero un messaggio straordinario ed eccezionale per essere rivolto ad una comunità regionale.

Ho il grande piacere di trasmettere i miei più calorosi saluti in occasione del 50° anniversario del Centro Abruzzese Canadese Inc. Nel Paese dove la più grande forza è la diversità, i contributi che la comunità abruzzese ha apportato e continua ad apportare ogni giorno sono tutti assolutamente preziosi. Grazie per l’aiuto a fare del Canada il miglior luogo dove vivere al mondo.

In un’epoca dove le voci seminano la divisione, organizzazioni come la vostra, che riuniscono le persone e le incoraggiano a celebrare la loro diversità e ad essere orgogliose della loro eredità culturale, sono più importanti che mai. Perché voi aiutate a far tacere quelle voci.

A tutta la squadra dietro il Centro: grazie per tutto quello che fate. Vi auguro niente di meno che altri 50 anni di continuo successo, crescita e ispirazione.

Voi avete tutta la mia solidarietà e la mia gratitudine.

Justin Trudeau

Primo Ministro del Canada




L’AMERIGO VESPUCCI LA NAVE SCUOLA

La più bella del mondo e vanto della Marina Militare Italiana; fu varata il 22 febbraio 1931 e attualmente sta effettuando il secondo giro del mondo in cui sono previste 31 soste nei cinque continenti.

Rio de Janeiro, 27 ottobre 2023. Il 23 ottobre scorso, in occasione della visita guidata per le autorità e gli addetti stampa, abbiamo avuto il piacere di essere ospitati a bordo della regina dei mari, attraccata al porto di Rio de Janeiro. Un’esperienza unica vuoi per la durevole bellezza dell’opera dell’uomo espressa nel Vespucci, vuoi per la presenza del nuovo ambasciatore italiano in Brasile, Alessandro Cortese.

Nella conferenza stampa, dopo un’interessante visita della nave, il comandante Giuseppe Lai e il nostro ambasciatore hanno risposto alle domande formulate dai vari giornalisti della carta stampata e della TV. Ad una specifica domanda della Gazzetta Italo-Brasiliana, l’Ambasciatore Cortese ha tenuto a precisare come il Vespucci abbia la capacità di fare naval diplomacy per tutto il settore del Made in Italy e non solo: vari i Ministeri che si attivano in conseguenza del messaggio della nostra nave scuola; un messaggio fortemente positivo di un’Italia che conta.

Presenti all’evento anche il Console Generale d’Italia a Rio de Janeiro, Massimiliano Iacchini e la deputata Jucelia Oliveira Freitas, a Tia Ju, 2ª vicepresidente dell´ALERJ (Assembleia Legislativa do Estado do Rio de Janeiro). Seguono alcune immagini dell’evento.

da La Gazzetta Italo-Brasiliana




TRA GLI ABRUZZESI DI OTTAWA, TORONTO, HAMILTON, MONTREAL

Reportage della missione in Canada dall’1 al 16 ottobre: gli eventi, gli incontri, i personaggi, le storie

di Goffredo Palmerini

L’Aquila, 20 ottobre 2023. Ci vuole qualche giorno per riadattarsi alla quotidianità, rientrando da una missione in Canada vissuta tra le comunità abruzzesi. Non per il disagio del fuso orario, né per rientrare nella scala delle misure italiane, così diverse rispetto agli spazi sterminati e agli orizzonti senza confini apparenti d’un paese immenso qual è il Canada, vasto trenta volte l’Italia. Piuttosto è il riordino delle emozioni provate nei giorni trascorsi dal primo ottobre al 16 tra la nostra meravigliosa gente d’Abruzzo che vive in quel grande e civile Paese. Non tutta, in verità, ma almeno quella consistente parte che risiede nelle popolose province dell’Ontario e del Quebec, nelle città di Ottawa, Hamilton, Montreal e nell’area metropolitana di Toronto. Rientrando a L’Aquila, martedì scorso, ho trovato una giornata di sole, quasi calda e il familiare cielo sereno, terso d’azzurro. Un po’ come il cielo di Ottawa, al mio arrivo inizio ottobre, con giornate insolitamente calde che il mio ospite, Nello Scipioni, aquilano di Camarda, ha immaginato essere un anticipo dell’estate Indiana, quella che segue le prime gelate. Proprio a Nello Scipioni, e al suo pressante invito d’un anno fa, devo questa visita in Canada, nella ricorrenza del 50° Anniversario di fondazione del Centro Abruzzese Canadese Inc. di Ottawa, sodalizio di cui è presidente, riconosciuto dal governo canadese e rappresentativo della comunità abruzzese che nella capitale federale conta circa diecimila residenti e diversi club, tra i quali primeggiano per dimensione quelli degli emigrati provenienti da Pretoro e Rapino. La celebrazione del Cinquantenario ha molto impegnato il presidente Scipioni e il Consiglio direttivo nell’organizzazione dell’evento, che ha visto convenire a Ottawa diversi esponenti del mondo associativo abruzzese dell’Ontario e del Quebec, una rappresentanza ufficiale della Regione Abruzzo, guidata dalla Consigliera Sabrina Bocchino, Segretaria dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale.

La celebrazione del Cinquantenario, tenutasi con un Gala il 7 ottobre  presso Villa Marconi, è stato un evento memorabile non solo per le presenze da sold out, quanto per la partecipazione delle Autorità e delle Istituzioni canadesi, presenti all’evento con i loro interventi di saluto e i loro messaggi augurali. Alla cerimonia ufficiale, aperta dall’esecuzione degli inni nazionali eseguiti dall’Ottawa Fire Services Band, la banda dei Vigili del Fuoco diretta da Paul Casagrande, tutti hanno sottolineato il valore significativo del Centro Abruzzese Canadese, delle sue attività in campo sociale, ricreativo e culturale, specchio del contributo che la comunità abruzzese ha reso e rende ogni giorno al grande Paese nordamericano. Nel corso della cerimonia, condotta brillantemente da Francesco Di Candia, giornalista e direttore generale di CHIN International, ne hanno dato testimonianza nei loro interventi il Nunzio Apostolico in Canada, S.E. Ivan Jurkovič, che trattenuto da sopravvenuti impegni ha affidato il suo saluto ad un messaggio letto da Enrico Del Castello, il Capo della Cancelleria consolare dell’Ambasciata d’Italia  Sandra Aiello, che ha tenuto a rimarcare le sue origini abruzzesi, il Senatore Tony Loffreda e la Deputata Patricia Lattanzio con i loro apprezzati videomessaggi, la Consigliera Sabrina Bocchino a nome del Consiglio Regionale d’Abruzzo e del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (CRAM) di cui è componente, Larry Di Ianni, rappresentante degli Abruzzesi del Canada nel CRAM, Angelo Di Ianni, presidente della Confederazione Abruzzese in Canada, e anche chi scrive, che ha ringraziato la comunità abruzzese per l’onore che rende alla terra d’origine e all’Italia. Sarebbe utile ed opportuno riportare per sintesi gli interventi e i messaggi di saluto, ma per tutti è illuminante il messaggio che il Capo del Governo federale, Justin Trudeau, ha fatto pervenire al Presidente del Centro Abruzzese Canadese Inc. per la ricorrenza del 50° Anniversario di fondazione. Un messaggio di valore straordinario che onora gli Abruzzesi e sottolinea il contributo apportato al Canada, del quale è doveroso dare interamente contezza.

Ho il grande piacere di trasmettere i miei più calorosi saluti in occasione del 50° anniversario del Centro Abruzzese Canadese Inc.

Nel Paese dove la più grande forza è la diversità, i contributi che la comunità abruzzese ha apportato e continua ad apportare ogni giorno sono tutti assolutamente preziosi. Grazie per l’aiuto a fare del Canada il miglior luogo dove vivere al mondo.

In un’epoca dove le voci seminano la divisione, organizzazioni come la vostra, che riuniscono le persone e le incoraggiano a celebrare la loro diversità e ad essere orgogliose della loro eredità culturale, sono più importanti che mai. Perché voi aiutate a far tacere quelle voci.

A tutta la squadra dietro il Centro: grazie per tutto quello che fate. Ti auguro niente di meno che altri 50 anni di continuo successo, crescita e ispirazione.

Voi avete tutta la mia solidarietà e la mia gratitudine.

Justin Trudeau

Con emozione, commosso, il presidente Nello Scipioni ha letto il messaggio del Primo Ministro Trudeau, cui ha rivolto un caloroso ringraziamento. E’ poi seguito il suo intervento a conclusione della cerimonia ufficiale.

Illustri Autorità canadesi, gentili Ospiti dall’Abruzzo, distinti Presidenti ed esponenti delle Associazioni abruzzesi in Canada, cari Soci e simpatizzanti, 

eccomi qui, davanti a voi, con il privilegio di rappresentare il nostro  Centro Abruzzese Canadese Inc. nel 50° Anniversario della sua fondazione, con il suo prezioso bagaglio di storia associativa e culturale, con il suo patrimonio di amicizie, di valori sociali e familiari,  di iniziative di solidarietà, di valorizzazione delle nostre radici e delle più belle tradizioni abruzzesi. Abbiamo con noi, questa sera, 2 dei 10 fondatori nel 1973 del Centro Abruzzese Canadese di Ottawa: il signor Domenico Micucci e il signor Rinaldo Palanza (che prego di alzarsi), mentre altri due fondatori, il signor Antonio Cavalancia e il signor Fernando D’innocenzo, cui mandiamo un caloroso saluto,  si trovano attualmente in Abruzzo. Altri 6 fondatori, purtroppo, sono andati avanti e a loro va il nostro grato pensiero e il nostro affettuoso ricordo.

Desidero qui presentare il Consiglio direttivo che in questi anni di mandato alla Presidenza del Centro mi ha affiancato con passione e impegno in tutte le nostre attività. Desidero qui presentare il Consiglio direttivoche in questi anni del mio mandato di Presidente del Centro mi ha affiancato con passion e impegno in tutte le nostre attività. Rocco Petrella (Vicepresidente), Delio D’Angelo (Tesoriere), Lucia Alloggia (Segretaria), Giovanni Montagnani (Pubbliche relazioni), i consiglieri Lidia Petrella, Giovanni Maiorino, Salvatore Tatta, Giuseppe Schieda, Carmine Mariani, Corrado Zorzo e i revisori Bruno Di Millo e Vincenzo Schieda.In questi 50 anni tutti i Presidenti, insieme ai componenti dei loro Consigli direttivi, che si sono succeduti nell’amministrazione del Centro Abruzzese, hanno operato con lo stesso spirito dei nostri fondatori, applicandosi con generosità e coerenza, con  impegno e  responsabilità, con disponibilità piena nel servizio verso tutta la comunità, italiana e canadese. Siete tutti voi i veri pilastri che sostengono questa straordinaria associazione, con il vostro incessante sostegno, con la partecipazione e l’incoraggiamento, con il vostro continuo affetto.

La vostra presenza qui stasera è testimonianza indiscutibile della forza e dell’unità della comunità abruzzese, parte della numerosa comunità italiana che ha contribuito a rendere grande il Canada, la nostra seconda Patria che ci ha accolto e integrato nella sua società civile, nelle sue Istituzioni, nella sua stessa storia nazionale. Lo spirito che nel 1973 animò i fondatori nel dare vita al Centro Abruzzese Canadese non si è mai spento. Tutto ciò che da loro è stato avviato e scritto, nei valori e nelle opere, non potrà mai essere cancellato. In questo mezzo secolo abbiamo non solo custodito la nostra ricca eredità culturale e il nostro patrimonio abruzzese, ma abbiamo anche aperto le braccia all’accoglienza, indipendentemente dall’origine di ciascuno.

Vogliamo essere davvero grati alle Istituzioni canadesi per come ci hanno accolti quando siamo giunti in questo meraviglioso Paese dalla nostra terra d’Abruzzo. Ma siamo anche orgogliosi di aver saputo dare, ciascuno nelle proprie possibilità, il meglio di noi stessi, rendendo onore all’Italia e alla terra d’Abruzzo dove abbiamo le nostre radici. L’insieme delle nostre culture, italiana e canadese, ha reso più grande il Canada ed ha arricchito la comunità italiana rafforzandoci nei valori del rispetto, dell’amicizia e della armoniosa convivenza in un mondo di Pace. Con questo senso di gratitudine voglio esprimere a ciascuno di voi l’augurio che i prossimi 50 anni siano ancora più prosperi e significativi nel retaggio di quanto abbiamo costruito in questo primo mezzo secolo di storia sociale e culturale del Centro Abruzzese Canadese.

Grazie e buona serata a tutti!

Chiusa la parte ufficiale della cerimonia, la serata ha preso il largo con la cena di gala, la consegna dei doni e riconoscimenti agli ospiti, l’animazione musicale curata dal cantante one man show Perry Canestrari di Montreal, infine il ballo fino a notte inoltrata. Un grande successo formale e sostanziale ha caratterizzato la celebrazione del primo Cinquantenario del Centro Abruzzese Canadese di Ottawa, che porterà impresso nella sua storia l’eccezionale messaggio di apprezzamento dell’opera degli Abruzzesi in Canada con il ringraziamento del Primo Ministro. Se infatti è nell’ordine naturale delle cose che un Capo di Governo talvolta esprima considerazione ed apprezzamento per una comunità nazionale, magari in occasione di speciali ricorrenze, è invece davvero straordinario che giunga un ringraziamento ad una comunità regionale, quella abruzzese, e attraverso essa all’intera comunità italiana. Un privilegio che deve inorgoglire l’Abruzzo e l’Italia. Notevole la copertura stampa dell’evento, attraverso le note di chi scrive, ampiamente raccolte dalla stampa abruzzese, dalle agenzie internazionali e dalla stampa italiana all’estero, e i comunicati dell’Ufficio Stampa del Consiglio Regionale d’Abruzzo, presente in Canada con il suo direttore, il giornalista Nunzio Maria De Luca. Nel giorno stesso della celebrazione del Cinquantenario CHIN Radio Ottawa ha trasmesso una mia intervista raccolta dal direttore Francesco Di Candia, tutta puntata sull’Abruzzo e sull’Aquila. Non ho mancato, peraltro, d’una visita alla redazione del settimanale L’Ora di Ottawa, con cui collaboro, e Radio Global Italia, accolto da Anna Maria Morrone e Anna Antonelli. Delle due testate è direttore responsabile l’imprenditore abruzzese Angelo Filoso, originario di Pretoro, mecenate ed infaticabile operatore d’iniziative sociali e culturali. Una delle più significativa è la realizzazione, nel giardino antistante il municipio della capitale, dell’Ottawa Fire Fighters Memorial, monumento inaugurato l’11 Settembre 2009 a ricordo dei pompieri caduti in servizio. Ma il sogno di Filoso – e i sogni di Angelo sono sempre destinati a realizzarsi per la sua tenacia – è quello di realizzare un altro Memorial dedicato all’emigrazione abruzzese nel suo paese natale all’ombra della Maiella, destinato ad accogliere targhe con i nomi degli emigrati abruzzesi, a duratura memoria del contributo reso dall’Abruzzo ai Paesi d’emigrazione d’ogni continente.

Numerosi gli incontri avuti a Casa Abruzzo, la sede di proprietà del Centro Abruzzese Canadese al 705 di Gladstone Avenue, situata nel cuore della Little Italy, la piccola Italia su cui l’indimenticabile Franco Ricci, docente dell’Università di Ottawa scomparso un anno fa, ha scritto il volume Preston Street dove racconta la storia degli emigrati italiani nella capitale canadese. A Casa Abruzzo s’incontrano abruzzesi tenaci, ma anche frequentatori di altre regioni italiane. Frequenti sono le prenotazioni a pranzo o a cena, di singoli o di gruppi. Buoni vini abruzzesi e ottima cucina, curata da Corrado o da Rocco che è anche vicepresidente del Centro. Talvolta si ospitano incontri importanti, che si concludono in conviviali, come di recente con l’On. Patricia Lattanzio e il 16 scorso con il Sen. Tony Loffreda. Il presidente Scipioni, oltre al vice Rocco Petrella, può contare sulla stretta collaborazione del tesoriere Delio D’Angelo, e della segretaria Lucia Alloggia, anche lei originaria di Camarda. Gli altri membri del direttivo si alternano nel servizio al bar o al servizio ai tavoli. Una squadra efficiente. Nello, da buon manager – nella vita lavorativa lo è stato per un importante sindacato edile, dirigendo sedi in Canada e Stati Uniti – conduce il Centro come un’impresa, per questo lo presiede e lo ha presieduto numerose volte. Nella città Scipioni ha ottime relazioni, conosciutissimo ha un’empatia innata e un sapiente uso dell’ironia che ne fa sempre un piacevole interlocutore. Ottawa, città a dimensione umana appena superiore al milione d’abitanti, 40mila d’origine italiana, ha belle architetture – il Parlamento, la Corte Suprema, Château Laurier ed alter – che affacciano sul placido corso fiume Ottawa o sulle sponde del Rideau River. E’ il 9 ottobre e termina la mia permanenza a Ottawa; si va a Toronto, poi ad Hamilton.

Imprevedibile e generoso, Angelo Filoso s’è offerto d’accompagnarmi a Toronto e poi ad Hamilton. Non che a uno come lui manchino cose da fare, con la nutrita schiera di società che dirige. Ma tra le nostre comunità all’estero capitano a volte sorprese come questa verso gli ospiti. Eppure Toronto non è proprio fuori porta, ma Angelo è fatto così. Infatti alle 9 e mezza in punto con la sua Stelvio Alfa Romeo è venuto a prendermi a casa di Nello e Maria, meravigliosi ospiti con i quali ho passato una settimana splendida. Si prende l’autostrada 401 per Toronto, pioviggina, è una giornata uggiosa che tuttavia non influisce sulla piacevolezza della conversazione. Angelo è d’una simpatia travolgente. Il viaggio è un’occasione unica per ammirare i colori dell’autunno. Gli alberi su un lato e l’altro dell’autostrada disegnano una prospettiva trapunta di verde, giallo, ocra, rosso, carminio e marrone, nella cangiante sequela dei boschi lungo il percorso dell’autostrada. Quattro ore e mezza e lo skyline di Toronto appare con la selva vitrea dei grattacieli, coi riflessi del sole tornato frattanto con il sereno. La città ha quasi 3 milioni di abitanti, l’area metropolitana supera i 6 milioni. Nell’area ci sono quasi ottocentomila italiani, 80mila sono abruzzesi. Per evitare il traffico che affluisce alla città Angelo prende una tangenziale nuova di zecca. Arriviamo dopo le due a Vaughan, città a nord di Toronto, cresciuta in modo esponenziale negli ultimi anni fino a 323mila abitanti. Ci accoglie la nostra amica Josie Alonzi, origini abruzzesi a Roccamorice. Josie edita la rivista The Voice 2020, con una particolare attenzione alla comunità italiana. Un buon pranzo veloce a casa sua e un giro per la città, tra belle residenze immerse nel verde e, in una zona esclusiva, molte ville da sogno. Ma anche grattacieli e nuovi svettanti edifici, alcuni in costruzione dalle società di Mario Cortellucci, grande imprenditore abruzzese originario di Teramo, benefattore e mecenate, da meritare l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia conferitagli nel 2007. Passiamo davanti all’ospedale che porta il suo nome, al quale egli destina generose donazioni. Ricordo nei mesi post terremoto dell’Aquila nel 2009 tutto il suo impegno, unito a quello di tanti altri abruzzesi e dell’intera comunità italiana, nel raccogliere aiuti per la ricostruzione della città capoluogo d’Abruzzo, poi destinati all’Ospedale San Salvatore e all’Università dell’Aquila.

L’indomani facciamo un giro in centro, a Toronto, non prima di passare nei vecchi quartieri che furono degli italiani e a Casa Loma, il castello. Interessante poi la visita al Columbus Centre, struttura residenziale per anziani e centro culturale polifunzionale realizzato dalla comunità italiana. Ho possibilità di parlare con il Presidente e Ceo dell’efficiente struttura, Marco DeVuono, dal quale ho avuto riferimenti puntuali sulle attività del Centro. La city di Toronto è un’intensa fioritura di grattacieli. Ma la nostra destinazione sta invece nelle vicinanze, in palazzi prima metà del ‘900, costruiti in mattoni che il tempo attenua nei colori d’origine. Botteghe e piccoli negozi lungo la strada, Johnny Lombardi Street. Su uno dei marciapiedi stelle in marmo grigio con i grandi nomi del cinema, della canzone, dello spettacolo, similmente ma in scala ridotta al Walk of Fame di Hollywood. Sono italiani o d’origine italiana gli artisti: Dean Martin, Giancarlo Giannini, Joe Mantegna, etc. Ma con Angelo e Josie siamo qui per una visita a CHIN International, network radiotelevisivo multiculturale fondato da Johnny Lombardi, imprenditore italo-canadese nato a Toronto nel 1915 da emigrati italiani provenienti da Pisticci in Basilicata. La nostra visita vuole essere un omaggio all’uomo di talento, che da suonatore di tromba è diventato un gigante della comunicazione radiotelevisiva in Canada, trasmettendo programmi in 32 lingue con una notevole influenza culturale nel Paese che del multiculturalismo ha fatto un valore costituzionale. Stimato come un eroe, con una medaglia d’oro al valor militare con la divisa canadese nel secondo conflitto, nel 1966 Lombardi comincia a trasmettere programmi radio plurilingue destinati alle minoranze etniche. La stazione man mano negli anni si consolida, diventando il network oggi conosciuto, con sede centrale a Toronto e un’altra a Ottawa. Nel 2020 CHIN ha aperto una redazione anche a Milano. Scomparso nel 2002, le redini della società sono passate al figlio Leonard (Lenny). Per la comunità italiana CHIN è stata una fonte essenziale di informazione e preservazione della cultura italiana, spesso diventando centro di rilancio di programmi Rai, quando l’azienda di stato italiana non trasmetteva in Canada. Siamo accompagnati in diversi studi nella sede, ma soprattutto siamo ammessi, all’ultimo piano del palazzo, a quello che fu l’ufficio di Johnny Lombardi, pieno di ricordi, riconoscimenti e foto di personaggi che nella vita egli incontrò, accompagnati cortesemente nella visita dalla figlia Theresa. Al termine della visita raggiungiamo, a poca distanza, il monumento bronzeo dedicato a Johnny Lombardi, situato in Piazza Lombardi. Lasciando Toronto riprendiamo la strada verso Hamilton che per un tratto lascia ammirare il lago Ontario.

Arriviamo ad Hamilton alle due pomeridiane del 10 ottobre. Un veloce lunch, poi Angelo e Josie mi accompagnano allo Staybridge Suites, il mio albergo in centro città. Passerà a prendermi Angelo Di Ianni, amico carissimo – già direttore generale delle Scuole pubbliche cattoliche dell’Ontario ed esponente di punta della comunità italiana – per andare a due appuntamenti in agenda. Siamo stati entrambi membri del CRAM, lui molti anni in più dei miei 8. Attualmente suo fratello Larry, eletto dalle associazioni abruzzesi in Canada, è uno dei tre rappresentanti della comunità abruzzese nel CRAM. Larry (Lorenzo) Di Ianni è stato per 8 anni Sindaco di Hamilton, città di 530mila abitanti, primo Sindaco non d’origine anglosassone. Un onore per la comunità italiana. Nella City Hall c’è il suo ritratto tra quelli dei Sindaci che hanno amministrato la città. Confesso che mi ha emozionato vederlo, mentre con lui aspettavo di salutare la Sindaca Andrea Horwath, che avevo conosciuto lo scorso luglio in Abruzzo, a Pratola Peligna. Con Angelo e Larry alle 18 raggiungiamo la sede dell’Ordine dei Figli d’Italia in America (Order Sons of Italy). Entrambi membri del Consiglio di Amministrazione, sono convocati per una riunione alla quale il presidente, eccezionalmente, ammette la mia presenza. L’Ordine realizza numerose attività culturali, solidali e sociali, con particolare attenzione alla formazione dei giovani, con frequenti viaggi in Italia, grazie anche ai proventi derivanti dal consistente patrimonio immobiliare di proprietà. Dopo la riunione si va insieme ad una riunione del Comitato Esecutivo della Federazione Abruzzese di Hamilton, che si tiene nella sede della Sezione Alpini. Mi aspettano, hanno programmato la riunione nel giorno del mio arrivo. E’ davvero una festa l’incontro: saluto il presidente Roberto Ricci, Elda Faiella, Tony Mastracci, Lena Liberale, di cui ho diretta conoscenza. Riconosco Fausto Chiocchio, origini a Cocullo, che conobbi ad Hamilton nel 2001 durante la tournée del Coro della Portella, egli allora Presidente della Sezione Alpini. Ci incontrammo di nuovo a New York per un fortuito caso, alcuni anni fa, alla Parata del Columbus Day, quando la Sezione ANA di Hamilton sfilò nella parata più famosa del mondo. Avevo già raggiunto il Red Carpet e ritornavo a casa del mio ospite quando vidi il vessillo della Sezione di Hamilton e accanto un alpino che mi chiamava per nome. Era lui, Fausto, e ci abbracciammo. Davvero piccolo il mondo!

Porto agli amici della Federazione il mio saluto, richiamo i valori e le bellezze dell’Abruzzo e dell’Aquila, capitale del perdono e della riconciliazione, custode del messaggio di pace di Celestino V, in questi terribili giorni di guerra nel vicino Oriente. Nell’anno dedicato al turismo delle radici, auguro che il 2024 sia occasione di ritorno in Abruzzo a rivedere una regione di suggestiva bellezza e di straordinarie singolarità. Dopo il mio intervento, qualcosa che sinceramente mi tocca nel profondo: il presidente Ricci mi consegna la tessera di Socio onorario della Federazione, Franca La Civita mi porge in omaggio il volume d’arte The Group of Seven and Tom Thomson ed altri doni. Abbiamo quindi condiviso in amicizia una cena conviviale. Porterò nel cuore l’emozione di questa serata. Mercoledì 11 siamo invitati a pranzo da Joe Mancinelli, dirigente di punta del sindacato LiUNA diffuso in Canada e Usa. Suo padre Enrico Mancinelli, partito da Corbellino di Fagnano Alto (L’Aquila), del LiUNA è stata una delle figure più prestigiose ed incisive, per l’eccezionale sua capacità di comporre le vertenze senza ricorso a scioperi, tanto da essere incaricato dalla McMaster University a tenere lezioni in tema di lavoro e relazioni sindacali. Un ambiente suggestivo, Shakespeares, e l’ottima cucina dello Chef Franco accompagnano i sapori del desco. Lo Chef viene a salutarci, sottolineando che dal 1969 gestisce il rinomato ristorante di Hamilton. Joe, conversando con noi – Larry, Angelo e chi scrive -, parla del padre come di un faro incomparabile di talento professionale, innovazione e visione del futuro. Ne ho una prova andando a visitare, insieme a Larry, quella che attualmente è LiUNA Station, un centro culturale e sociale di grande rilievo. Era la stazione ferroviaria di Hamilton, dove da Halifax, sull’Atlantico, arrivavano i treni degli emigrati sbarcati dai bastimenti. La stazione era stata lasciata in abbandono, quando Enrico (Henry) Mancinelli la rilevò, trasformandola nell’attuale struttura d’eccellenza per mostre, concerti, meetings e banchetti. Nella piazza giardino antistante LiUNA Station, accanto al monumento allo scrittore Leonardo Sciascia s’erge la stele sovrastata con il busto bronzeo di Henry Mancinelli e che riporta iscritta la sua biografia.

Giovedì 12 ottobre alle 11 in punto rilascio un’intervista di 20 minuti a CHIN Radio Toronto, per il programma radiofonico L’Eco d’Abruzzo condotto da Ivana Fracasso, giornalista e presidente della Federazione Abruzzese Greater Toronto. Ivana mi fa parlare dell’Abruzzo e della ricostruzione dell’Aquila. Da Hamilton rientro in autobus a Ottawa, dove arrivo alle 20 e passo una bella serata in compagnia di Nello e Maria, Delio, Rocco e Lidia. L’indomani venerdì si va a Montreal. Nello e Maria mi accompagnano a Montreal in macchina all’incontro con Guido Piccone, presidente della Federazione delle Associazioni d’Abruzzo del Quebec e componente del CRAM. E’ il mio ospite a Montreal. L’incontro avviene a Casa Grecque, un buon ristorante dove troviamo Guido e Tina Villani, vicepresidente della Famiglia Abruzzese di Montreal. Sabato 14, presso il Centro municipale Rivière-des-Prairies del Comune di Montreal, c’è l’incontro con gli esponenti delle associazioni abruzzesi, tra cui Maria Pia Sinigagliesi, vicepresidente della Federazione Abruzzese. Presenti all’evento Giovanni Rapanà, Consigliere comunale di Montreal longevo di quattro mandati, e Claudio Palmisano, ingegnere foggiano che ha studiato e si è laureato all’Università dell’Aquila, sposato con Wanda e naturalizzato aquilano fino al terremoto del 2009, quando decise di trasferirsi in Canada, dove viveva la famiglia di Wanda. Insieme a Guido Piccone, Claudio Palmisano fu protagonista nel promuovere l’arrivo a Montreal, nel 2019, della compagnia teatrale amatoriale aquilana La Piccola Brigata, guidata da Franco Narducci, autore attore e regista teatrale. Claudio e Guido trovarono pronta disponibilità nella Console Generale Silvia Costantini e nel direttore dell’Istituto italiano di Cultura Francesco D’Arelli. Lo spettacolo portato in scena dalla Compagnia teatrale aquilana fu un vero successo di pubblico e di critica, come eccellente fu l’accoglienza riservata alla Piccola Brigata.

Significative le attività portate avanti dal sistema associativo abruzzese nell’area di Montreal, per quanto vada riducendosi il numero dei soci e scarsa la partecipazione giovanile, problema che riguarda peraltro le comunità abruzzesi di tutto il mondo. Assommano a 25mila gli Abruzzesi di Montreal, dove invece assume preminenza su tutte le altre presenze regionali il piccolo Molise, con circa 75mila emigrati residenti. Piccone mi fornisce puntuali informazioni sul mondo associativo, ma quel che vado scoprendo su di lui, che di professione fa l’agente immobiliare, attiene particolarmente all’aspetto artistico. Guido Piccone è stato infatti attore cinematografico, nel film Justice without Pity (1991) che egli stesso aveva prodotto, diretto da Michel Laflamme. Esperienze anche di attore teatrale amatoriale. Una persona, Guido, di grande sensibilità artistica. La sua bella casa, in un elegante condominio che guarda il fiume Rivière des Prairies, è un crocevia di amici – Luciano, Domenico, Claudio ed altri – di assoluta simpatia.

Domenica mattina 15 ottobre andiamo alla Piccola Italia, al Café San Simeone, al 39 di rue Dante. Ho appuntamento alle 10 con Anna Campagna, originaria di Barisciano (L’Aquila), emigrata a Montreal nel 1959 con i due fratelli Tito e Vincenzo e la madre Maria Divina per raggiungere il papà Rinaldo, orologiaio e orafo. Tre lauree all’attivo, Anna ebbe un’indimenticabile esperienza lavorativa come insegnante degli Inuit, gli indigeni dei territori artici del Canada, di cui porta un vivido e piacevole ricordo. Rientrata a Montreal, è stata per 27 anni Direttrice generale del Centre Generation Emploi, un’agenzia di preparazione al lavoro per immigrati e minoranze etniche. Con Anna non ci vedevamo dal 2019, quando prima della pandemia ogni anno tornava a Barisciano. Un’amicizia vera che dura da oltre 20 anni, quindi forte il piacere di rivederci. Con lei nell’incontro conosco Anita Maiezza, che opera nella cinematografia. Attualmente sta girando un cortometraggio. Abbiamo quindi parlato di cinema, sull’onda del suo compiacimento per il David di Donatello vinto per il miglior suono da Alessandro Palmerini, mio figlio, con il film Le Otto Montagne. Guido Piccone, conosciuta Anna durante il nostro incontro, la invita a frequentare le attività della Famiglia Abruzzese di Montreal, di cui è presidente.

Alle 10:45 arriva Sonia Cancian, che ho invitata nello stesso luogo per economia di tempo. Conobbi Sonia alcuni anni fa a Torrevecchia Teatina, a pochi chilometri da Chieti, dove a Palazzo Valignani esiste un museo unico al mondo, il Museo della Lettera d’Amore. Ci aveva invitato il direttore artistico Massimo Pamio, per una conferenza sull’emigrazione. Sonia, storica e studiosa del fenomeno migratorio, stava studiando l’emigrazione attraverso la corrispondenza di emigrati con le famiglie e viceversa, sul quale aspetto ha pubblicato pregevoli saggi. Laureata PhD in Storia e Discipline Umanistiche presso la Concordia University, una laurea in Letteratura italiana alla McGill University, con una specializzazione in Francese/Inglese come traduttrice, Sonia Cancian ha avuto esperienze di ricerca e insegnamento alla Zayed University di Dubai, negli Emirati Arabi, e all’Istituto Max Plank di Berlino. Attualmente è docente alla McGill University, prestigioso ateneo di Montreal. Sonia mi ha parlato della sua attività e dei programmi di ricerca in Europa nel prossimo futuro, che le consentirà di tornare qualche volta in Abruzzo. E’ stato un vero piacere rincontrarla ed avere con dedica il suo ultimo libro “With Your Words in My Hands”, pubblicato dalla McGill University. Le ho consegnato, a mia volta, il mio libro “Il mondo che va”.

Dopo questi incontri, con Guido raggiungiamo Saint Esprit, un paesino in aperta campagna dove gli Abruzzesi hanno realizzato l’Oratorio di San Gabriele, che da maggio a settembre diventa punto d’incontro, di socialità e spiritualità per la comunità abruzzese, che in quella chiesa venera il Santo Patrono dell’Abruzzo. Vi troviamo in festosa accoglienza Nino, emigrato teramano, e sua moglie Angela, impegnati in piccole manutenzioni. Il 16, ultimo giorno della mia visita in Canada, saluto Guido Piccone ringraziandolo dell’ospitalità premurosa e incontro Arturo Tridico, editore e direttore della rivista La Voce, da 40 anni pubblicata a Montreal e diffusa in tutto il Canada. Arturo, calabrese e amico vero, era già venuto in aeroporto a salutarmi al mio arrivo, il primo ottobre. Abbiamo passato alcune ore insieme, prima di prendere il mio volo Air Canada per Roma. Abbiamo parlato della rivista, di cui sono da anni collaboratore, e quali prospettive si possono osare per il futuro, per rendere sempre più elevato il servizio d’informazione alla comunità italiana in Canada. Non resta che esprimere gratitudine per come la comunità italiana in Canada rende onore all’Italia!




UN ALTRO TITOLO PER FRANCESCO LENOCI

Ambasciatore della cultura sammarchese e garganica nel mondo

di Franco Presicci

San Marco in Lamis, 19 ottobre 2023. Un altro titolo per Francesco Lenoci: ambasciatore della cultura sammarchese e garganica nel mondo. San Marco in Lamis, cittadina che arieggia poco distante da San Giovanni Rotondo, dove visse san Pio e troneggia il Santuario di San Matteo, vanta abitanti che si sono sempre distinti per la loro laboriosità e per l’attaccamento alla loro terra. Una volta popolata da abili artigiani del ferro e del legno, famosi e apprezzati ovunque. In questo paese Francesco Lenoci è tornato spesso, coltivando tra l’altro una solida amicizia con il preside Raffaele Cera e manifestando il suo amore per il dialetto, tutti i dialetti, e la sua passione per la Puglia, dove in molte città e piccoli centri ha tenuto conferenze, dibattiti, su costumi, storia, architetture, tradizioni, valori di ogni genere, dalla sartoria alla ceramica al cibo.

Personalità eclettica, Lenoci. Nato a Martina Franca, dove torna spesso, non soltanto d’estate, a respirare l’aria purissima, a bere il sole, a inebriarsi dello splendore magico che la sua “culla” possiede: laurea a Siena, servizio militare a Cagliari, docenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ufficio e residenza nel capoluogo lombardo, in piazza Diaz, nella Terrazza Martini. Lenoci è persona dinamica, coltissima, ricca di interessi non soltanto intellettuali. È una specie di vagabondo della cultura, di viaggiatore mai stanco di prendere treni, aerei, taxi, per raggiungere luoghi anche lontani: oggi all’Aquila per un incontro con lo scrittore migratore Goffredo Palmerini (non c’è angolo del mondo che non conosca, come risulta anche dai libri che scrive).

Francesco Lenoci conosce bene L’Aquila, la sua bellezza, i suoi respiri, le sue ferite. E ci è tornato, quando ha potuto. Non un atterraggio e via. Lo stesso a Verona, per prendere la parola a un’iniziativa messa in opera dall’amico fotografo Cataldo Albano, per poi visitare la città e rendere omaggio ai suoi monumenti. Qualche volta io l’ho seguito: a Grottaglie, ad ascoltare il suo racconto dei manufatti in terracotta; a Massafra, a vedere le opere messe in piedi dal poliedrico Peppino Montanaro, come la vigna a onde e la galleria di ulivi, una magnificenza da Guinness dei primati. Ogni volta che l’ho accompagnato mi sono sentito arricchito, incontrando persone, ascoltando discorsi, partecipando a cene di beneficenza, oggi per costruire un ospedale in Kenya, domani una scuola. 

Una sera eravamo invitati da Dely Giuliani Gatti e da suo marito membro del Rotary Club in un ristorante di Merate. Andando in auto ed essendo incerto della strada, accesi il navigatore. Dopo un’ora di viaggio ci trovammo in campagna, al buio. “Ci siamo persi, Francesco”. Lui voltò lo sguardo a destra e disse: “Il locale è lì, poco più avanti, vedo delle luci”. Lui parlò di economia e il presidente di un istituto di credito commentò: “Quando parla Lenoci lo capiscono tutti, anche quando s’inoltra in argomenti difficili”. Capii anch’io, che di quella materia non capisco una mazza. Lui a volte ricorre anche alle fiabe per spiegare un concetto, rendendolo accessibile. Apprezzai molto le pietanze che ci vennero servite. Il casaro Fragnelli della città dei trulli, arrivato apposta, fece le mozzarelle sotto gli occhi degli ospiti.

A Santa Maria di Leuca, parlò alla presenza di vescovi, sacerdoti e intellettuali, studiosi di don Tonino Bello. Prima mi portò nella sua casa, ad Alessano, poi sulla sua tomba. Del prelato don Tonino, di cui è in corso il processo per la beatificazione, è molto devoto. Legge i suoi scritti, assimila i suoi insegnamenti. Lo legge, lo studia, lo prende ad esempio. Don Tonino fa parte della sua vita e del suo cuore. A furia di sentirlo parlare di questa figura eccellente, anch’io ho cominciato a prendere in mano gli scritti del vescovo di Alessano, che a Santa Maria di Leuca, quella sera di alcuni anni fa, venne ricordato da molti testimoni, anche laici, che lo avevano conosciuto e amato. Folto il pubblico, tra cui mamme con bambini. Qualcuno riferì che a Santa Maria di Leuca, definita una sorta di conca che dolcemente scende al mare, don Tonino arrivava anche a nuoto partendo da Novaglie, un borgo di pescatori incastrato tra pareti gigantesche. Lo rivedo in fotografia, don Tonino, con quel suo sorriso comunicativo che conquista. Nella sua casa di Alessano puntai l’obiettivo sul suo letto, sui suoi libri e colsi Lenoci in atteggiamento di preghiera.

C’è un paese o città della Puglia che questo docente sempre in movimento non abbia toccato? Non credo. Al Castello Aragonese di Taranto è stato ripetutamente per parlare di una mostra fotografica di Albano su Matera e poi di una su Taranto dello stesso maestro dell’obiettivo. Quando ebbe lo scapolare nella Chiesa del Carmine a Martina mi telefonò commosso. Commosso lo vidi alla funzione in chiesa per la morte della mamma, Maria. A un certo punto del suo breve discorso urlò “Te lo prometto mamma”, emozionando la folla assiepata dal presbiterio al portale. Si commuove quando parla del papà Martino, scomparso anche lui. Uomo molto generoso, di pochissime parole. Comunicava spesso con lo sguardo. Mi raccontava, Francesco, che le sue giacche personali non avevano più bottoni e ogni volta che doveva uscire faceva infuriare la moglie. Motivo? Era un maestro nell’arte dell’ago e del filo, e se confezionando un vestito non aveva un bottone giusto lo toglieva da un suo capospalla, in attesa di potersi rifornire. 

L’ho conosciuto, Martino. Sono stato anche a casa sua. Molto credente come la moglie, riservato, amabile. Una sera a una manifestazione organizzata dall’avvocato Elio Greco, presidente della Fondazione Nuove Proposte, Francesco ricevette un premio, uno dei tanti. Martino era seduto vicino a me. Non ebbe alcuna espressione, ma capii che era contento, orgoglioso di quel figlio, come il figlio era orgoglioso di lui. Francesco Lenoci è “Patriae Decus” di Martina Franca dal 2002. Il suo nome non è nella lista di marmo incassata in una parete all’ingresso del municipio: non c’è più spazio, la sostituiranno.

Intanto Francesco Lenoci riprende i suoi giri culturali, le sue conferenze qua e là. Quando torna a casa riprende il suo lavoro e presenta libri interessanti: l’ultimo il libro fotografico di Enzo Rocca e Alberto Scibona, “Milano storie minime” (la strada è vita, la vita è teatro, la strada è teatro). È sua la bellissima prefazione all’interessante volume “Quella nevicata del ’56 in Valle d’Itria” di Maria Carmela Ricci e ha pubblicato trentasette volumi di finanza aziendale, ragioneria e revisione. Insomma, un intellettuale dalla cultura classica ed economica che sente il bisogno di comunicare il suo sapere e di apprendere, di vedere cose nuove, di scoprire ciò che non appare, di descrivere, scolpire luoghi, personaggi, di assorbire atmosfere, individuare modi di vivere, visitare città, paesi. E come docente? Quello non sta a me giudicare. So comunque che le sue lezioni sono seguitissime e che i suoi studenti lo amano. Alla serata a Martina dedicata alla presentazione del libro “Quella nevicata del ’56 in Valle d’Itria” è arrivato da San Marco in Lamis con dieci minuti di ritardo e la conduttrice ha detto: “Come promesso, all’arrivo del professore, avremmo dato inizio alla serata”. Tutto testimoniato da “Teletrullo”, che a suo tempo lo ha intervistato.

A San Marco in Lamis lo hanno accolto festosamente. E lui: “Ho avuto la fortuna di conoscere il Preside Raffaele Cera 15 anni fa, il 29 marzo 2008, a Milano.  Riesco ad essere così preciso, perché quello fu un giorno speciale: festeggiammo a Milano, presso l’Istituto dei Ciechi, i primi 30 di vita delle Edizioni del Rosone, con un convegno dal titolo “La Puglia con la Capitanata a Milano: occasioni letterarie, enogastronomiche, economiche”. Per il combinarsi delle combinazioni, ieri pomeriggio, al mio arrivo a San Marco in Lamis, la prima cosa che ho visto è stato l’Arco di Antonio Pio Saracino, con la targa che riporta le parole di Joseph Tusiani: “Qui rinasco e dico all’Aure: O mistero di gloria/ dove nascere è bello/ io sono nato”.

Subito dopo Lenoci ha ricordato l’incontro con Tusiani il 30 settembre 2010 presso il Teatro del Giannone a San Marco in Lamis. “Stamattina il Preside Raffaele Cera mi ha portato a vedere “Il Sentiero dell’Anima” di Filippo Pirro, che sua moglie Anna e i figli portano commendevolmente avanti. Ebbene, per il combinarsi delle combinazioni, lì c’è un percorso dedicato a Giacomo Leopardi…”. E si è avviato alla conclusione citando don Tonino e la sua definizione di cultura: “Impegno, servizio ad altri, promozione umana come il riconoscimento della persona libera, dignitosa e responsabile. Cultura è cemento della convivenza, orizzonte complessivo, strumento di orientamento, alimento di vita.” Parole di un profeta.




MOTOTEMATICA: quinta edizione

Da Italia, Regno Unito, Stati Uniti e India i vincitori

Roma, 9 ottobre 2023. Si è conclusa la V edizione di MotoTematica il festival cinematografico dedicato al mondo della motocicletta che ogni anno vede concorrere opere – corti e lugnometraggi – da ogni parte del mondo. Presso la Sala Volonté della Casa del Cinema di Roma, alla presenza della direttrice artistica Benedetta Zaccherini e dei giurati, sono stati proclamati i vincitori dell’anno 2023.

Primo nella categoria cortometraggi documentari è stato LONE WOLF del veronese Giovanni Montagnana, il racconto di un personaggio singolare e fuori dagli schemi, Marco Gasparini (in arte Lone Wolf) che, tra rock e vecchie motociclette da corsa 50cc ha costruito i propri sogni e, in questo caso, anche firmato la colonna sonora dell’opera.

Nella  categoria cortometraggi film a vincere è stato ON ANY OTHER SUNDAY del britannico Shaun Fenton, brillante parodia del film con Steve Mc Queen cui MotoTematica dedicò qualche anno fa una retrospettiva (On any Sunday di Bruce Brown) incentrata su una gara di motocross per appassionati della domenica.

La sezione lungometraggi documentari ha decretato miglior film OMO NERO E BUCEFALO NEL KURDISTAN IRACHENO del perugino Francesco Loreti: un viaggio nel Kurdistan iracheno con una moto che ha percorso più di mezzo milione di chilometri.

L’opera vincitrice della sezione lungonetraggi film è stata invece THE ICECAKE dell’indiano Manoji Mauriia, un film che vanta paesaggi mozzafiato di montagne innevate e che narra le avventure e disavventure di un gruppo di bykers verso la Spity Valley, in Himalaya.

Menzione speciale della giuria è andata a !PRONTO! del californiano Veen Viscal, una storia ricca di azione su una consegna effettuata in motocicletta, realizzata con un uso innovativo di telecamere cinematografiche.

Il premio del pubblico, infine, è andato a pari merito a tre opere: OMO NERO E BUCEFALO NEL KURDISTAN IRACHENO di Francesco Loreti, !PRONTO! Di Veen Viscal e MOTORCYCLE STORIES di Fabrizio Nacciareti.

La giuria era composta dai giornalisti ed esperti di motori e cinema Roberto Brodolini, Claudio Antonaci e Sergio Battista. I premi sono stati creati e realizzati da Massimo Blantamura (Blantart), artista romano dell’aerografo pluripremiato a livello nazionale.

In questa edizione una parentesi è stata dedicata, per la prima volta, alla letteratura sull’argomento. Tre i libri presentati (moderatore il giornalista Marco Panella): INTREPIDE. STORIE DI DONNE E DI MOTORI di Giulia Colasante (Sportmemory Edizioni); VESPA. STORIA DI UN MITO ITALIANO di Marcello Albanesi (Diarkos) e POLIZIA E MOTORI. LA LUNGA STRADA INSIEME di Emanuele Mùrino (Polizia di Stato – Ufficio Relazioni Esterne e Cerimoniale – Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato). Cornice della presentazione di quest’ultimo due moto Guzzi d’epoca della Polizia di Stato.

MotoTematica dà appuntamento alla prossima edizione!




IL PRIMO MINISTRO DEL CANADA RENDE ONORE AGLI ABRUZZESI

Il messaggio di Justin Trudeau recapitato ieri al Presidente del Centro Abruzzese Canadese Inc.

di Goffredo Palmerini

Ottawa 7 ottobre 2023. Il Capo del Governo federale, Justin Trudeau, ha voluto rendere onore alla comunità abruzzese con un suo messaggio per la ricorrenza del 50° Anniversario di fondazione del Centro Abruzzese Canadese Inc. di Ottawa, che questa sera alle 18 celebrerà la ricorrenza con una significativa cerimonia presso Villa Marconi. Il messaggio è stato recapitato nella giornata di ieri al Presidente del Centro Abruzzese Canadese Nello Scipioni e sarà letto in apertura di cerimonia, dopo l’esecuzione parte della Banda dei Vigili del Fuoco di Ottawa degli inni nazionali canadese e italiano.

Il messaggio di saluto è uno straordinario tributo di riconoscenza al Centro Abruzzese Canadese Inc., nel quale tra l’altro il Primo Ministro Trudeau afferma: “Ho il grande piacere di trasmettere i miei più calorosi saluti in occasione del 50° anniversario del Centro Abruzzese Canadese Inc. Nel Paese dove la più grande forza è la diversità, i contributi che la comunità abruzzese ha apportato e continua ad apportare ogni giorno sono tutti assolutamente preziosi. Grazie per l’aiuto a fare del Canada il miglior luogo dove vivere al mondo. In un’epoca dove le voci seminano la divisione, organizzazioni come la vostra, che riuniscono le persone e le incoraggiano a celebrare la loro diversità e ad essere orgogliose della loro eredità culturale, sono più importanti che mai. Perché voi aiutate a far tacere quelle voci. […] Voi avete tutta la mia solidarietà e la mia gratitudine.”

Tornando alla celebrazione, sarà quella odierna una magnifica serata di gala, che si protrarrà fino a notte inoltrata. Richiamerà degnamente la ricorrenza del Cinquantenario di fondazione che nel 1973, per iniziativa di dieci tenaci emigrati abruzzesi, vide nascere il Centro Abruzzese Canadese Inc. con scopi in campo sociale ricreativo e culturale, per conservare le tradizioni abruzzesi in seno alla comunità di Ottawa e hinterland e per promuovere la cultura della regione d’origine. Posti esauriti nella grande sala di Villa Marconi, le riservazioni sono da tempo sold-out, per i circa 280 posti a disposizione. Presenti allo speciale evento rappresentanti delle Istituzioni canadesi, dell’Ambasciata d’Italia e della Nunziatura apostolica, i presidenti delle Associazioni abruzzesi provenienti dalle grandi città dell’Ontario e dal Quebec e una delegazione del Consiglio Regionale d’Abruzzo.

La parte ufficiale della serata, che sarà coordinata e condotta da Francesco Di Candia, giornalista e direttore generale di CHIN Radio, network plurilingue che opera su Toronto e Ottawa, prevede gli interventi di saluto come dall’agenda qui indicata: S.E. l’Arcivescovo Ivan Jurkovič, Nunzio Apostolico in Canada; Sandra Aiello, Capo della Cancelleria Consolare dell’Ambasciata d’Italia in Canada; Senatore Tony Loffreda (videomessaggio); Patricia Lattanzio, parlamentare federale Camera dei Comuni (videomessaggio); Sabrina Bocchino, Consigliere regionale, Segretario Ufficio di Presidenza Consiglio Regionale d’Abruzzo e componente CRAM;  Larry Di Ianni, componente Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo – CRAM; Angelo Di Ianni, Presidente della Confederazione Abruzzese Canada Inc.; Goffredo Palmerini, giornalista e scrittore; Nello Scipioni, Presidente Centro Abruzzese Canadese Inc.

Seguirà la cena di gala e la parte ricreativa della manifestazione, giusto corollario alla celebrazione del Cinquantenario del Centro Abruzzese Canadese, che ha sede di proprietà al 705 di Gladstone Avenue, nella Little Italy situata nel cuore di Ottawa. Casa Abruzzo è frequentata da centinaia di abruzzesi, soci e loro familiari, ma anche da italiani di altre regioni. Sono circa 40mila gli italiani residenti nell’area metropolitana di Ottawa, di essi diecimila all’incirca gli abruzzesi. Un’annotazione, infine, sul forte impegno organizzativo per celebrare il Cinquantenario profuso dal Presidente del Centro Abruzzese Canadese Nello Scipioni, e da tutto il Consiglio direttivo, composto da Rocco Petrella (Vicepresidente), Delio D’Angelo (Tesoriere), Lucia Alloggia (Segretaria), Giovanni Montagnani (PR), dai consiglieri Lidia Petrella, Giovanni Maiorino, Salvatore Tatta, Giuseppe Schieda, Carmine Mariani, Corrado Zorzo, e dai revisori Bruno Di Millo e Vincenzo Schieda. A loro va rivolto il compiacimento dell’intera comunità italiana nella capitale canadese.




PER RICORDARE RODOLFO ZANNI, il Mozart d’Argentina

Un evento a Cordoba, nella città dove il geniale musicista morì, il 26 ottobre sarà proiettato il docufilm sulla sua vita

di Goffredo Palmerini

L’Aquila, 29 settembre 2023.  A Cordoba, la città dove in circostanze sospette e misteriose Rodolfo Zanni morì all’età di 26 anni, il prossimo 26 ottobre al Cine Teatro Real sarà proiettato il film “Enigma in tempo rubato. Un Mozart argentino”, sulla vita del geniale musicista e compositore di origine italiana. Sarà un evento eccezionale che riporterà all’attenzione del mondo della musica un personaggio straordinario, cancellato dalla memoria nonostante avesse illuminato con il suo genio la musica argentina del primo Novecento. Saranno anche eseguite le sue composizioni superstiti. Rodolfo Zanni era nato a Buenos Aires nel 1901 da genitori italiani (suo padre abruzzese di Atri, sua madre genovese), visse solo 26 anni e la sua vita terminò nel 1927 a Cordoba in circostanze sospette e misteriose. Nel breve arco della sua esistenza ebbe una vita avvincente, poi travagliata e infine tragica. Il film, per la regia di Francesco Cordio, scritto da Giuseppe Zanni, con la partecipazione straordinaria del tenore Fabio Armiliato, è stato girato nel 2021 in Italia e in Argentina. Ripercorre con il rigore del documentario la vicenda di gloria e fallimento, di persecuzione e morte del giovane talento musicale, non a caso definito il Mozart argentino.

“Non mi dilungherò sulla sua vita – dichiara l’autore della sceneggiatura Giuseppe Zanni – che potrà essere letta in alcune biografie uscite di recente, oppure sul sito www. Rodolfo Zanni.com, anche in spagnolo e in inglese. Vorrei invece sottolineare che, nel breve lasso di tempo che gli fu concesso (visse tanti anni quanti Pergolesi, cinque meno di Schubert nove meno di Mozart), Rodolfo Zanni compose un’immensa quantità di lavori musicali, quasi 100 opere tra suonate sinfonie balletti, tra cui anche due opere liriche: Rosmunda, su libretto di Sam Benelli, e l’altra Glyceria, su libretto di lui medesimo, come mai nessuno aveva fatto alla sua età. Queste opere sono tutte scomparse – aggiunge Giuseppe Zanni – tranne cinque opere minori, nonostante egli le avesse presentate al Teatro Colon di Buenos Aires in un memorabile Gran Concerto, nel quale egli appena ventunenne diresse un’orchestra di 120 professori e 100 coristi in onore e in presenza del Presidente eletto della Repubblica Argentina Torcuato de Alvear e della sua fascinosa moglie, il soprano Regina Pacini. La persecuzione e la damnatio memoriae messe in atto da forze misteriose erano quasi riuscite a far dimenticare questo musicista dall’immenso talento. Tuttavia, uomini di buona volontà – cantanti come l’indimenticabile Daniela Dessì e il tenore Fabio Armiliato, un avvocato legato da rapporti di parentela, uomini di cultura ,ostinati e tenaci ,intolleranti all’ingiustizia e aiutati dalla stampa dalla televisione e dal mondo letterario, scavando e operando per un lungo periodo di tempo, nei luoghi più diversi: in Argentina, in Italia, negli Stati Uniti, in Europa, tanto che a Parigi sono riusciti a far riemergere il giovane compositore e a riportarlo in luce nel mondo musicale. Per la definitiva consacrazione però – conclude Zanni –, si devono ritrovare le opere che deliziarono i suoi contemporanei. Perciò faccio un appello a tutti per ricercare negli archivi, nelle biblioteche, nei cassetti, nelle collezioni pubbliche e private, a sfogliare, indagare, interrogare, per raccogliere ogni testimonianza scritta e orale, racconti di famiglia, lettere, foto, documenti, spartiti, qualunque cosa che possa interessare e essere utile ad aggiungere un tassello alla conoscenza della personalità di Rodolfo Zanni. Ma soprattutto cerchiamo la musica di quasi 100 opere – sinfonie, balletti, romanze e in particolare l’opera lirica Rosmunda che le cronache dell’epoca danno editata dalla Casa Ricordi di Milano, ma che è anch’essa scomparsa. Chiunque abbia notizie su Rodolfo Zanni può comunicare attraverso l’e-mail mozartargentino@gmail.com”

Ora però è bene dare qualche cenno in più sulla vita del grande compositore e direttore d’orchestra, facendo sintesi della ricca biografia tracciata proprio da Giuseppe Zanni, nato a Roma da genitori di Atri, diplomatico in pensione con una carriera passata a Parigi all’OCSE, a Bruxelles presso la Comunità Europea e infine a Roma, come direttore generale presso il Ministero del Tesoro, docente presso l’Università di Teramo e la Libera Università Luiss. Giuseppe, lontano parente del musicista, sta dedicando interamente il suo tempo, dopo essere andato in pensione, alla ricerca di notizie e soprattutto delle opere musicali composte da Rodolfo Zanni, per rendere il doveroso tributo di conoscenza e onore esorcizzando la maledizione che accompagnò la sua burrascosa e tragica vita. Rodolfo Antonio Angelodeo Zanni nasce nel 1901 a Buenos Aires, figlio di emigrati italiani, e muore a Cordoba nel 1927. Bambino prodigio, già a 16 anni è un talentuoso direttore d’orchestra. A 19 anni entra nel corpo dei direttori d’orchestra del prestigioso Teatro Colon di Buenos Aires e il grande Felix Weingartner (1863-1942), allievo prediletto di Liszt, lo sceglie come maestro preparatore e direttore scenico. L’opera che Rodolfo Zanni deve affrontare è una delle musiche più complesse e monumentali: la Tetralogia di Richard Wagner. Rodolfo assolve il compito con grandissimo successo ed elogi da parte della critica e del pubblico.

La sua apoteosi, però, l’ha nel 1922 con un Gran Concerto Sinfonico al Teatro Colon, quando dirige, in onore del Presidente della Repubblica d’Argentina Torcuato de Alvear, un’orchestra di 120 musicisti e un Coro di 100 cantori, presentando solo opere da lui stesso composte, ottenendo uno straordinario successo e, secondo i resoconti stampa dell’epoca, “ovazioni deliranti”. Dopo quel trionfo, però, accade qualcosa d’inspiegabile e l’artista tanto osannato viene allontanato, cancellato, ridotto all’anonimato. Muore nel 1927 in circostanze misteriose e mai chiarite. Il suo corpo, prima sepolto in terra sconsacrata, viene riesumato e scompare, senza che si abbia più notizia delle sue spoglie. Inoltre, fatta eccezione per quattro brani minori, scompaiono pure le 81 composizioni a lui attribuite: sinfonie, ouverture, balletti, romanze e due opere liriche (Rosmunda, quattro atti su libretto di Sem Benelli, e Gliceria, su suo libretto). Immenso era stato il lavoro creativo nella sua breve vita, con una predilezione per la musica su grande scala, di cui quasi nulla è pervenuto fino a noi. Una vera e propria damnatio memoriae. A tutt’oggi si ignora dove siano finiti i suoi spartiti musicali.

Giuseppe Zanni e Elio Forcella, autori del romanzo “Desaparecido in do maggiore” (Zecchini Editore, 2014) sulla vita del grande musicista, insieme ad ostinate ricerche condotte in Argentina, hanno cercato di riportare alla luce il compositore dimenticato, con un insperato successo: la Rai (Tg1, Tg2 e Tg3), la radio, i più importanti giornali, persino l’Osservatore Romano, le riviste musicali in Italia e all’estero, con articoli tradotti in più lingue, hanno dato risalto alla straordinaria vicenda umana e artistica di Rodolfo Zanni. La rivista Musica, una delle più autorevoli in Italia, ha promesso 5000 euro a chiunque segnali o ritrovi i suoi spartiti significativi. In Argentina la Radio Nacional ha mandato in onda una lunga trasmissione sul musicista, come pure la radio ufficiale del Teatro Colon ha ricordato ampiamente Rodolfo Zanni e il suo genio musicale. L’Istituto Superiore di Musica “José Hernandez” ha pubblicato un numero monografico della rivista “Atriles” sul musicista e anche un’analisi critica, molto approfondita, del musicologo argentino Lucio Bruno Videla sulle quattro opere rimaste conosciute.

Recentemente, con la collaborazione del prof. Massimo Gentili Tedeschi del Ministero dei Beni Culturali e della prof. Laure Marcel Berlioz, direttrice del Centre de documentation de la Musique Contemporaine di Parigi, si è riusciti ad individuare 12 altre opere dello sfortunato musicista, senza tuttavia riuscire a recuperare gli spartiti, avendo la Società francese degli Autori, Compositori e Editori di Musica depositati solo gli incipit delle opere, comunque recuperati. Molto importante è stata anche la pubblicazione, sulla rivista ufficiale del Teatro Colon di Buenos Aires, di un corposo articolo titolato “Un silencio elocuente”, pieno di interrogativi, dove si chiede come mai fosse stato dimenticato un musicista che il Colon stesso aveva giudicato talmente importante da dedicargli una serata monografica. Un’orchestra di Buenos Aires, diretta dal M°Lucio Bruno Videla, ha messo in repertorio ed eseguito qualche tempo fa La campiña adormecida, il breve poema sinfonico superstite di Rodolfo Zanni. Ora tutto il mondo musicale, dopo l’oblio, tornato alla consapevolezza del talento, del valore e della rilevanza del grande compositore scomparso, è in fermento per ritrovare almeno una parte delle opere per le quali i contemporanei di Zanni lo avevano tanto favorevolmente giudicato ed osannato.

Appassionata e straordinaria l’opera di ricerca messa in campo da Giuseppe Zanni per trovare notizie e soprattutto le musiche composte dal grande genio musicale di cui egli porta il cognome, la consanguineità e le comuni origini abruzzesi. Lo hanno portato nel 2021 a scrivere, finanziare e realizzare, con la regia di Francesco Cordio, il docufilm “Enigma in tempo rubato. Un Mozart argentino” che tra un mese sarà presentato proprio a Cordoba, la città dove Rodolfo Zanni morì. Il film, della durata di 60 minuti, sottotitolato in più lingue, con la straordinaria partecipazione del celebre tenore Fabio Armiliato – che ha recitato con Woody Allen ed Ettore Scola -, racconta la storia sfortunata e drammatica del geniale pianista, compositore e direttore d’orchestra argentino. E’ stato presentato finora a 9 Festival internazionali del Cinema. Il 25 settembre 2022, a cento anni dal celebre concerto al Teatro Colon di Buenos Aires, il Tg1 ha mandato in onda un servizio su Rodolfo Zanni. Qualche tempo prima Giuseppe Zanni, attraverso il programma “Chi l’ha visto?” condotto su Rai3 da Federica Sciarelli, aveva rivolto un caloroso appello per invitare a ricercare gli spartiti delle opere di Rodolfo Zanni e a riferire ogni notizia utile.

Così tra l’altro scriveva nel 2019 la giornalista Elisabetta Piqué, corrispondente da Roma del quotidiano La Nación, in un articolo pubblicato dal suo giornale in Argentina. “[…] La vita dello sconosciuto “Mozart argentino” è davvero degna di un film. “Sullo sfondo vediamo la povertà dell’Abruzzo di fine 1800 e il grande esodo dell’immigrazione verso i lontani paesi dell’America. Il padre di Rodolfo, Nicola, per sfuggire alla miseria lasciò Atri, cittadina di immigrati in provincia di Teramo e si imbarcò dal porto di Genova a Buenos Aires all’inizio del secolo scorso”, racconta Giuseppe Zanni, parlando con passione. Pochi mesi dopo il l’arrivo in Argentina, nel 1901, nacque Rodolfo, senza buoni propositi: la madre rifiutò di averlo e fu riconosciuto solo dal padre. “Ma il piccolo Rodolfo si distinse subito per essere un bambino prodigio: dotato di un talento eccezionale per il pianoforte, componeva già all’età di 9 anni”, sottolinea Giuseppe. Dopo aver studiato al Conservatorio e aver ottenuto l’unica medaglia d’oro dell’istituto, all’età di 16 anni fu direttore d’orchestra. Anni dopo, entrò a far parte del team di direttori del Teatro Colón. Ma l’evento che segnò la sua vita fu una serata apoteotica in quel teatro, il 16 settembre 1922, in cui, all’età di 21 anni, diresse un grande concerto sinfonico in cui furono eseguite le sue opere, in onore del presidente eletto Marcelo Torcuato de Alvear e di sua moglie, il soprano Regina Pacini. “Le notizie di stampa di allora parlano di un successo impressionante e di ‘ovazioni deliranti’, cosa che fu mal digerita dai colleghi musicisti avversari, che furono tutti esclusi dalla serata e che probabilmente giurarono vendetta”, dice Giuseppe, che ha ritrovato il poster di quel famoso concerto al Teatro Colón in un’università del Texas. Quel trionfo al Colón, tempio mondiale della musica, dopo un concerto monografico – privilegio mai concesso prima a nessuno – che significò la sua consacrazione e sembrò consolidare una brillante carriera, segnò però l’inizio della sua fine. In effetti, una specie di ostracismo: inspiegabilmente cominciarono a chiudergli le porte, a impedirgli di lavorare, a provocargli vessazioni. Pochi anni dopo, nel 1927, Rodolfo morì prematuramente in un modesto albergo di Cordoba. Anche se il suo certificato medico parlava di polmonite, tutta la stampa e i necrologi parlarono di un evento imprevisto, inaspettato. “In assenza di parenti, fu sepolto in un luogo sconsacrato, riservato ai ‘dissidenti’: ebrei, omosessuali, massoni, anarchici. E dopo qualche anno, il suo corpo fu riesumato, non si sa da chi, e portato non si sa dove. “Un altro mistero”, dice Giuseppe. […]”

Ci si augura, finalmente, che il rinnovato interesse sul grande musicista italo-argentino possa davvero stimolare in Argentina la collaborazione della comunità italiana – e delle numerose associazioni abruzzesi in particolare – nelle ricerche in ogni angolo del Paese, negli archivi di associazioni musicali, tra gli appassionati di musica, nelle biblioteche, di ogni traccia di notizia, indizio, informazione utile, per poter auspicabilmente ritrovare gli spartiti delle numerose opere composte da Rodolfo Zanni. Come pure per avere risposte sulla strana sorte e sull’emarginazione che ha dovuto subire in vita, nonostante l’indiscusso suo talento, sebbene egli avesse un carattere altero, alieno dai compromessi, e soprattutto libero e amante della libertà, in un periodo purtroppo complicato della vita politica in Argentina. Chissà se con l’apertura degli archivi segreti del Paese e gli archivi della Polizia non si possano chiarire tanti lati oscuri sul trattamento subito dall’artista e dell’inconcepibile dannazione della memoria sua e delle sue opere. Affinché le opere del grande musicista, di cui si auspica il rinvenimento degli spartiti, possano finalmente diventare patrimonio della cultura argentina e della musica mondiale.




50 ANNI DALLA FONDAZIONE

Le celebrazioni del centro abruzzese canadese di Ottawa. Agli eventi del 7-8 ottobre presenti Autorità canadesi e dall’Abruzzo; parteciperà anche Goffredo Palmerini

L’Aquila 27 settembre 2023. Grande festa a Ottawa, il 7 e 8 ottobre 2023, per i 50 anni del Centro Abruzzese Canadese Inc, organizzazione no-profit legalmente riconosciuta dal Governo canadese. Il presidente Nello Scipioni, insieme al Consiglio Direttivo, hanno organizzato al meglio la celebrazione del Cinquantenario che vedrà presenti nella Capitale federale i presidenti delle Associazioni Abruzzesi del grande Paese nordamericano, rappresentanti delle Istituzioni canadesi, dell’Ambasciata d’Italia e della Nunziatura apostolica, che ha assicurato la partecipazione del Nunzio, Mons. Ivan Yurkovic.

Sarà presente una delegazione istituzionale dall’Abruzzo. Il presidente Scipioni ha infatti mandato inviti alla Regione Abruzzo, Giunta e Consiglio Regionale, e ai Presidenti delle quattro Province abruzzesi.

Su invito del Presidente Scipioni sarà presente all’evento anche il giornalista e scrittore Goffredo Palmerini, già consigliere del CRAM, tra i più attivi ambasciatori della cultura abruzzese nel mondo e studioso dell’emigrazione italiana. La celebrazione del 50° di fondazione del Centro Abruzzese Canadese avrà il suo clou sabato 7 ottobre presso Villa Marconi – imponente struttura sociale e assistenziale realizzata dalla comunità italiana – con il grande Gala, dalle ore 18 e fino a tarda notte.

Palmerini sarà in Canada dal 1° ottobre al 16 e nel corso della missione incontrerà, oltre quella di Ottawa, le comunità abruzzesi di Montreal, Hamilton e Toronto. Numerosi gli impegni in programma, coordinati ad Ottawa dal presidente Scipioni e Angelo Filoso, a Montreal da Guido Piccone, Ambasciatore d’Abruzzo nel mondo e componente del CRAM, e da Arturo Tridico, direttore della rivista “La Voce” (della quale Palmerini è corrispondente dall’Italia), ad Hamilton da Angelo Di Ianni e dal fratello Larry, componente del CRAM e già Sindaco della città.

La visita del giornalista aquilano in Canada, che segue l’ultima del 2017, sarà importante per tessere nuove relazioni con il mondo associativo, istituzionale, culturale ed accademico, ma anche con il mondo dell’informazione: egli, infatti, è collaboratore delle più importanti testate in lingua italiana di quel Paese. Sarà inoltre ospite di CHIN Radio Ottawa, Tele 30 e Globo Italia Radio dove parlerà delle meraviglie artistiche dell’Aquila e dell’Abruzzo pensando al 2024, dichiarato “Anno delle radici italiane” in cui sarà protagonista il turismo di ritorno, per conoscere i luoghi d’origine e di partenza della prima emigrazione.

Il Centro Abruzzese Canadese Inc. fu fondato il 24 febbraio 1973 per iniziativa di dieci tenaci emigrati abruzzesi: Francesco Di Tiero, Antonio Peca, Antonio Cavalancia, Giuseppe Corda, Rocco Breda, Rinaldo Palanza, Domenico Micucci, Angelo D’Urbano, Mauro Filoso, Fernando D’Innocenzo. L’associazione nacque con scopi ricreativi, sociali e culturali, per conservare le tradizioni in seno alla comunità di Ottawa e hinterland – che conta circa 10mila abruzzesi residenti – e per promuovere la cultura della regione d’origine.

Attualmente centinaia sono i soci e loro familiari che frequentano Casa Abruzzo, sede di proprietà del Centro Abruzzese Canadese Inc. e situata in Gladstone Avenue nel cuore di Ottawa. Forte l’impegno organizzativo per celebrare degnamente il Cinquantenario che stanno sostenendo il Presidente del Centro e il Direttivo, composto da Rocco Petrella (Vicepresidente), Delio D’Angelo (Tesoriere), Lucia Alloggia (Segretaria), Giovanni Montagnani (PR), con i consiglieri Lidia Petrella, Giovanni Maiorino, Salvatore Tatta, Giuseppe Schieda, Carmine Mariani, Corrado Zorzo, e i revisori Bruno Di Millo e Vincenzo Schieda.

Presidente per più mandati, Nello Scipioni, aquilano nato nella frazione di Camarda, è stato recentemente insignito dal Comune dell’Aquila d’un prestigioso riconoscimento per la preziosa opera in campo sociale e culturale, che ha decisamente contribuito a far crescere la stima e il rispetto delle Istituzioni e dei cittadini della Capitale canadese nei confronti degli Abruzzesi e dell’intera comunità italiana.

Goffredo Palmerini




CONCERTO IN AUSTRALIA

Il compositore Fradiani al TLC Theatre di Sydney

Sydney, 20 settembre 2023. Domenica 24 Novembre è prevista l’esecuzione dei brani Nocturne I & II del compositore Paolo Fradiani, l’evento avrà luogo presso il TLC Theatre di Sydney in Australia.

Il concerto vedrà l’esibizione del rinomato pianista australiano Benjamin Kopp.

L’evento rientra all’interno della stagione concertistica organizzata e promossa dalla Sydney Orchestra.

Benjamin Kopp si è esibito in palcoscenici internazionali, dall’Europa all’Italia Cina e Medio Oriente. Ha collaborato con diverse orchestre sinfoniche in Australia, incluso la Melbourne Symphony Orchestra, l’Adelaide Symphony Orchestra e la Western Australia Symphony Orchestra. Nel 2007 Kopp è stato nominato dalla ABC Symphony miglior giovane interprete australiano dell’anno nella categoria strumenti a tastiera.

Paolo Fradiani è diplomato in Composizione e Jazz con il massimo dei voti e lode, svolge da diversi anni attività musicale prevalentemente all’estero dove ormai è divenuto compositore affermato.

Le sue opere sono pubblicate dalla 2eleven edition musiQ, Da Vinci Publishing, Donemus Publishing, Edition Margaux e dalla Universal Edition.




TERREMOTO MAROCCO

Vicinanza alle istituzioni diplomatiche dei due paesi

Roma, 12 settembre 2023. Poche ore dopo il tremendo terremoto che ha colpito il Regno nordafricano del Marocco, FederPetroli Italia ha espresso massima solidarietà e vicinanza alle Rappresentanze Diplomatiche di Rabat e Roma. La Presidenza della FederPetroli Italia ha rivolto parole per i nostri connazionali nell’area del nord Africa e gli stessi cittadini marocchini, rendendosi disponibile a qualsiasi forma di collaborazione ed aiuto possa ritenersi necessaria dalle rispettive istituzioni diplomatiche presenti nei due paesi per l’emergenza in corso.

Il Marocco oltre che per le diverse forme di materiali e prodotti minerari, ha presenza di idrocarburo di recente scoperta sia ad olio che gas, con giacimenti nella zona di Essaouira, lungo il litorale costiero dell’Oceano Atlantico per la parte Offshore. Particolare ed importante la zona di Inezgane, costiero di Agadir. in un’Area di circa 13.000 chilometri quadrati vi è stata scoperta la presenza di oltre 2 miliardi di barili di olio. La terra del Marocco non ha mai avuto un’attività di esplorazione petrolifera di grande importanza rispetto alle altre zone dell’Africa, ma gia da anni, forti delle agevolazioni e forme di partnership con l’Ufficio Nazionale per gli Idrocarburi e le Miniere la situazione ha avuto una svolta negli investimenti anche da parte di aziende europee.

http://www.federpetroliitalia.org/?p=2468




RED CARPET per i due influencer abruzzesi

Chiara Verzella e Alessio Dandi alla Mostra del Cinema di Venezia

Venezia, 10 settembre 2023. Ci sono anche due abruzzesi sul red carpet del Festival del Cinema di Venezia. A sfilare sul tappeto rosso più prestigioso d’Italia, sono stati i due influencer pescaresi, Chiara Verzella e Alessio Dandi.

Le due giovani star del web, che sono una coppia nella vita privata, sono stati invitati alla prima del film “Kobieta Z… (Woman Of)” di Małgorzata Szumowska e Michal Englert. Un palcoscenico prestigioso per entrambi i ragazzi: ”Attraversare quel red carpet, è stata un’emozione unica – commentano i due influencer che, insieme, vantano oltre 2,5mln di follower – ci siamo goduti ogni singolo momento. È stata un’esperienza fiabesca, catapultati in un mondo che abbiamo sempre visto in televisione e che, invece, è diventato realtà”.




PER UN PUGNO DI RUBLI

L’editoriale div Giuseppe Arnò: settembre 2023

Il denaro è il male del mondo, crea disuguaglianze (Papa Francesco). Ma cosa non si farebbe per denaro? E sì, è proprio così! Per un pugno di rubli c’è chi mette a repentaglio la propria vita e quella altrui per offrire prestazioni nelle quali il compenso non dovrebbe essere lo scopo principale.

Alludiamo al mercenarismo militare, ovvero alla tendenza di asservire sé stessi o le proprie abilità in cambio di una buona mercede. Di recente quando si cade sull’argomento, quasi sempre, spuntano due nomi largamente noti: Prigozhin e la sua brigata Wagner. Il primo è morto in un «incidente» aereo il 23 scorso; la seconda è ormai allo sbando in quanto acefala.

Ma chi erano in effetti Prigozhin e Wagner?

Per rispondere è d’uopo disquisire sul fenomeno degli eserciti mercenari e perciò parafrasando la domanda che, nell’ottavo capitolo dei Promessi Sposi, don Abbondio si fa, ci chiediamo: Prigozhin! Chi era costui?

Attenzione buona gente, per i non informati il binomio Prigozhin- Wagner potrebbe indicare il direttore d’orchestra e il compositore dell’opera in programmazione al teatro Festspielhaus di Bayreuth in Baviera, riservato alla rappresentazione delle sole opere wagneriane, ma non è così! Ciò nonostante, una certa attinenza tra il compositore tedesco Wilhelm Richard Wagner, considerato tra i massimi esponenti del romanticismo, e le brigate mercenarie Wagner, che nulla hanno a che vedere col romanticismo, c’è davvero.

Infatti, si ritiene da più parti che lo pseudonimo della brigata “Wagner” sia da attribuire al nome di battaglia del fu Dmitrij Valer’evič Utkin, probabile cofondatore del gruppo mercenario, che lo avrebbe scelto vuoi in onore del compositore Richard Wagner (il preferito da Adolf Hitler), vuoi per la sua simpatia verso il Terzo Reich.

Passiamo adesso ad occuparci dalla buonanima di Eugenio Prigozhin alias Yevgeny Viktorovič Prigozhin (Leningrado, 1º giugno 1961- Tiver, 23 agosto 2023). Egli ha esercitato uno dei mestieri più antichi del mondo, che non è proprio quello che potreste immaginare; qui di seguito chiariremo.

Per l’occasione, pare opportuno aprire una brevissima parentesi sui mercenari, ovvero sugli individui che, secondo la definizione più corrente, per profitto personale, partecipano di una guerra pur non appartenendo generalmente a nessuno degli schieramenti presenti sul campo. In realtà, essi esistono da sempre (già nel XIII secolo avanti Cristo in Egitto il faraone Ramesse II si servì di mercenari Sherdana [predoni sardi n.d.r.] per combattere i suoi nemici Ittiti) ed ecco perché si dice che uno dei mestieri più antichi del mondo è quello del mercenario. Di sicuro il secondo, dal momento che il primo non sembra opinabile!

Ritornando ad Eugenio, egli è stato di tutto un po’: già condannato e incarcerato per reati comuni, poi oligarca, affarista, politico, signore della guerra, comandante mercenario russo… e solo lui sapeva cos’altro. Potremmo dire, ispirandoci a un’espressione della mai dimenticata Marilyn Monroe, che il limite per lui non era il cielo, ma la sua mente e, a quanto sembra, la mente aperta e vulcanica di Prigozhin non aveva né poco né punto limiti nel realizzare le proprie ambizioni. Gli vennero attribuiti stretti legami con il ‘potente’ e ‘pacifico’ (conforme all’etimologia del nome: vlad=potere, mir=pace) Vladimir Putin, tant’è che l’Associated Press lo ha soprannominato ‘il cuoco dello Zar’ [Putin n.d.r.], per aver organizzato presso la propria catena di ristoranti alcune rimarchevoli cene per quest’ultimo con vari dignitari stranieri.  

Tra leggenda e realtà

Accenniamo adesso per sommi capi alla ‘compagnia di ventura’ chiamata Wagner. Si è scritto molto sulla ferocia dei mercenari di detta brigata, sulle loro abilità militari, sulle loro controverse missioni e sul grande carisma di cui era dotato il loro «duce», Eugenio Prigozhin. Orbene, questo è il lato mitico e propagandistico che avvolge in un’aura di mistero l’intera struttura in questione, ma la realtà è meno suggestiva: la brigata Wagner, potremmo dire con una metafora, eseguiva la ‘sinfonia’ a colpi di kalàšnikof e il Cremlino, attraverso Prigozhin, dirigeva l’orchestra da remoto, non a causa del Covid, ma per non esporsi in prima persona.

In altre parole, detta brigata svolgeva il ruolo che durante la guerra fredda era di competenza dei Paesi satelliti di Mosca: i 10.000 cubani che guerreggiavano in Mozambico ci rappresentano un chiaro esempio. È così che la Russia post-sovietica rafforzava e rafforza la propria presenza nel Sahel e nel resto dell’Africa, in barba agli USA, Francia, Italia e non solo. Difatti con la medesima strategia essa ha espanso la propria sfera d’influenza in Libia, sostenendo Kalifa Haftar; in Sudan coadiuvando i militari del presidente Al Bashair; in Guinea Bissau; nelle Isole Comore …

Recentemente, Prigozhin è assurto agli onori della cronaca non tanto per la serie di sanzioni e condanne penali emanate nei suoi confronti dal Dipartimento del Tesoro e da un «Gran Giurì» degli Stati Uniti, per aver finanziato e fomentato operazioni di interferenza nei processi elettorali degli States, ma, soprattutto, per l´attività di ‘appaltatore militare privato’; per l´impegno delle sue milizie in ogni teatro conflittuale dei Paesi maggiormente compromessi dal punto di vista politico; e per essere stato il proprietario e cofondatore del gruppo mercenario conosciuto col nome di ‘Compagnia militare privata Wagner’ (in inglese PMC Wagner e cioè Private Military Company). Detto gruppo, che tra l’altro la Farnesina ha sempre considerato responsabile dell’aumentato flusso di migranti verso l’Italia, ha operato fino ad ora, come noto, sotto l’ombrello del Cremlino in 32 Paesi nel mondo, sul modello di una grande multinazionale e con tanto di uffici di rappresentanza, per offrire il proprio intervento laddove necessario.

La rivolta che rompe l’incantesimo

Nel giugno scorso Eugenio, alla testa dei suoi mercenari e nel momento di maggiore auge della sua potenza, ha commesso un «sacrilegio»: ha marciato, per poi desistere, su Mosca contro i propri «sponsor». Un segno di sfida (quasi certamente la causa della sua fine) verso gli alti comandi militari russi, di cui non condivideva le politiche di guerra in Ucraina. 

Egli, dopo il tentato golpe, ha rivelato il motivo della marcia su Mosca del 24 giugno dichiarando: «Lo scopo della marcia era evitare la distruzione di Wagner e chiedere conto ai funzionari che, con le loro azioni poco professionali, hanno commesso un numero enorme di errori». Le male voci, per converso, ritengono che la marcia su Mosca si sia fermata per l’esiguo numero dei miliziani coinvolti; per il mancato supporto popolare; e per l’inazione di certuni congiurati, militari russi e di alto grado. Noi saremmo più propensi ad esaminare, in questo scenario, anche l’altro lato della medaglia e cioè il pericolo che il fenomeno del mercenarismo incontrollato può rappresentare nei confronti del contrattante: lo stesso pericolo, come più volte illustrato, che l’IA costituisce nei confronti del proprio programmatore, ovvero la rivolta!

Non a caso Machiavelli afferma:” […] se uno [principe] tiene lo stato suo fondato sulle armi mercenarie, non starà mai fermo né sicuro; perché le sono disunite, ambiziose, senza disciplina, infedele, […]”.

Ed ecco che, per evitare il ripetersi delle pericolose conseguenze enunciate dal Machiavelli in merito alle armi mercenarie, è accaduta la peggiore delle previsioni: un incidente aereo mortale per Eugenio, per Utkin e per altri pezzi grossi della Wagner. A questo punto in molti si domandano se siasi trattato di un regolamento di conti e cioè se sia stato lavato col sangue il tentato delitto di «lesa maestà» o lo «sgarro» che dir si voglia dell’ex cuoco pietroburghese ribelle nei confronti dello Zar e delle alte gerarchie militari di Mosca, oppure no.  Boh! ognuno può trarre le conclusioni che vuole; il tempo di certo ce lo dirà!

Brokeraggio militare

Ordunque disquisendo sulle forze mercenarie, espressione di un partito politico al potere, una cosa è certa: Prigozhin e Wagner hanno rappresentato il più significativo tra i tanti apparati paramilitari patrocinati dalla Russia, quali ad esempio Patriot, E.N.O.T. Corp, Convoy, Rusich, Lupi dello Zar, Redut, Bars, e principalmente il braccio armato del Cremlino in Africa, anche se Mosca lo nega. Tant’è! Per quanto ci riguarda, in termini di pragmatismo politico internazionale, noi abbiamo sempre considerato, sotto certi aspetti, Prigozhin come un broker della guerra con capacità di assicurare e rassicurare, manu militari, il funzionamento di certe attività (minerarie, petrolifere, migratorie, di guerriglia per procura, di addestramento militare e quant’altro) che un governo legittimo o un gruppo economico non può o non vuole fare in proprio, per non esporsi apertamente. Aggiungeremmo che il vulcanico Eugenio, da un tempo a questa parte, veniva esaltato o demonizzato dalla stampa a seconda delle circostanze e dell’opportunità di far notizia e audience, ma la sostanza non cambia: allo stato delle cose, ribadiamo il concetto, egli altro non era che il poderoso Chief Executive Officer (amministratore delegato) di un’impresa (Wagner) che offriva servizi di natura paramilitare, a titolo oneroso a favore della Madre Russia. Solo che… per essere in Russia, ha osato troppo!

«Soltanto chi non osa non sbaglia» affermava Henry Ford; Prigozhin ha osato, ha sbagliato e ha ricevuto, secondo quanto scrive Gray Zone, un biglietto di solo andata per l’inferno!

Ciò stante, ci piace concludere questa breve disamina sul tanto discusso signore della guerra basandoci su una verità incontrovertibile: la sua smisurata ambizione. Di conseguenza, possiamo tranquillamente affermare che il potere di Prigozhin, a prescindere da ciò che i media ci raccontano, era indiscutibilmente in ascesa e probabilmente sarebbe arrivato al punto in cui gli avrebbe fatto credere che, come diceva lo storico Sallustio, l’ambizione, tra i vizi umani, è quella che maggiormente assomiglia a una virtù.

E chissà che questa credenza non lo potesse indurre a sentirsi Dio! E allora? Beh… ecco… che dire. Se avesse avuto il tempo di arrivare a tanto, avremmo assistito a una seconda marcia dello Chef su Mosca e questa volta fino a Mosca, sempre che nel frattempo… non gli fosse capitato male, come in realtà è avvenuto.

Alcuni politologi sostengono che il trinomio «Alexei Navalny, Alexander Litvinenko e Viktor Yushchenko» avrebbe dovuto mettere in guardia il pur esperto Eugenio, anche se noi non dubitiamo che egli si tutelasse da ogni pericolo, ma… non abbastanza, evidentemente!

Sic transit gloria mundi

Il 23 agosto Yevgeny Prigozhin e il suo braccio destro Dmitry Utkin muoiono in un misterioso ‘incidente’ aereo. Muore Eugenio, muore di conseguenza per ‘acefalia’ la sua creatura, la Wagner! Grey Zone, canale vicino alla compagnia di mercenari, mestamente scrive: «[…] Evgenij Viktorovich Prigozhin è morto a causa delle azioni dei traditori della Russia. Ma anche all’inferno sarà il migliore! Gloria alla Russia!»

Essere il migliore all’inferno? Boh! dubitiamo che detto primato possa costituire status symbol su questa terra; una ben magra consolazione, in ogni caso.