L’AQUILA CAPITALE ITALIANA DELLA CULTURA 2026

L’Aquila, 14 marzo 2024. il Presidente Anci Abruzzo: “Riconoscimento è un orgoglio per tutto il territorio abruzzese. Pronti al supporto per il successo dell’evento”.

“Il riconoscimento di L’Aquila come Capitale italiana della Cultura 2026 rappresenta un motivo di orgoglio per tutti i comuni abruzzesi – sottolinea il Presidente Anci Abruzzo Gianguido D’Alberto – comuni che, insieme all’Anci, hanno sempre sostenuto questa candidatura sentendosi partecipi di un progetto che va a valorizzare l’identità culturale delle aree interne e di una parte strategica dell’Appennino Centrale. L’Aquila Capitale italiana della Cultura esprime la forza e la resilienza di un territorio colpito dal sisma, che della cultura ha fatto un elemento fondamentale del processo di ricucitura e connessione dei luoghi e di sviluppo economico. Come Anci, in rappresentanza di tutto il territorio abruzzese, garantiremo tutto il nostro supporto nella realizzazione degli importanti obiettivi previsti nel progetto, che ha permesso alla città dell’Aquila di ottenere questo prestigioso riconoscimento. All’amico Sindaco Pierluigi Biondi e a tutta la comunità aquilana vanno le nostre congratulazioni. La rinascita dell’Aquila è la rinascita di tutto l’Abruzzo”




LA CHIESA IN CAMPO CONTRO LE MAFIE

Un convegno e un libro

Politicainsieme.com, 14 marzo 2024. È ora disponibile un volume di Don Marcello Cozzi, prete e docente impegnato in prima linea contro le mafie e l’usura. Presentato martedì 12 marzo 2024, presso la sezione San Tommaso della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, il libro La Chiesa ai tempi della corruzione sistemica di Don Marcello Cozzi nell’ambito del convegno Don Peppe Diana: per amore del mio popolo. Il contesto, l’impegno e l’eredità pastorale di un martire.

Pubblicato da Editoriale Scientifica, “è frutto dell’impegno di ricerca della sezione San Tommaso d’Aquino e raccoglie in modo organico appunti e riflessioni destinati a quanti, soprattutto in ambito ecclesiale, intendono approfondire il fenomeno grave e complesso della corruzione per rispondere fondamentalmente ad una domanda: «in che modo la Chiesa deve occuparsene?”.

Al convegno, nel corso del quale si è discusso del volume alla presenza dell’autore, sono intervenuti tra gli altri l’arcivescovo di Napoli, monsignor Domenico Battaglia, il vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Francesco Savino, il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, il sindaco di Napoli, professor Gaetano Manfredi, l’onorevole Federico Cafiero De Raho, già procuratore aggiunto di Napoli, il Decano della sezione San Tommaso della PFTIM, monsignor Antonio Foderaro, il sindaco di Casal di Principe, Renato Natale, riporta la stessa nota.




ALBERI DEVASTATI AL RISVEGLIO PRIMAVERILE

La capitozzatura delle Tamerici sul lungomare nord di Pescara

Pescara, 14 marzo 2024. Continua la scorretta pratica della capitozzatura degli alberi a Pescara. Questa volta sono devastate le Tamerici del lungomare nord. Piante che sono in procinto del risveglio primaverile, quindi colpite in momento molto delicato che rischia di compromettere gravemente la salute delle piante e la loro crescita. La capitozzatura è vietata dal decreto del Ministero dell’ambiente del 10 marzo 2020 “criteri minimi ambientali” dedicato alla gestione del verde urbano. Inoltre, è vietata dal regolamento comunale del comune di Pescara.

“Si continua a danneggiare il verde urbano pescarese – commenta la sezione pescarese dell’associazione – queste Tamerici non hanno mai avuto vita facile, colpite da criticità, da malattie che sono scaturite dalle cattive potature negli anni che non hanno mai rispettato le piante. Chiediamo di far rispettare le leggi e il regolamento comunale e di fermare immediatamente questo genere di lavori che non rispettano il verde cittadino.”




PAESAGGIO: PATRIMONIO DELLE FUTURE GENERAZIONI

Giornata Nazionale del Paesaggio – 14 marzo 2024

di Filippo Di Donato 

Abruzzo, 14 marzo 2024. Oggi si celebra la Giornata Nazionale del Paesaggio. Si svolge dal 2017, promossa dal Ministero della Cultura per diffondere la cultura del paesaggio e sensibilizzare i cittadini sui temi della salvaguardia del territorio e della sostenibilità ambientale.

In programma attività diverse sul tema: esplorative, laboratoriali, di avvicinamento, lettura, osservazione, interpretazione, contemplazione…

Leggere

Da bravo camminatore consiglio di avventurarsi nella lettura del paesaggio percorrendo un sentiero di montagna. Con il Progetto del Cai “guardarsi attorno” si svela l’ambiente naturale attorno a noi e si leggono anche i segni della presenza dell’uomo.

Linguaggi

Percorrendo un sentiero, iniziando l’esperienza camminatoria da un piccolo paese, passo dopo passo si svela l’intreccio oramai inscindibile tra natura, cultura e storia dei luoghi attraversati, presenti con il loro linguaggio identitario. Cambiando sentiero i temi restano gli stessi, ma linguaggio e narrazione sono diversi.

Di Regione in Regione si conosce così la meraviglia della lunga Italia, dello spazio in cui viviamo.

Salendo

Salendo il paesaggio con i suoi elementi naturali e antropici si offre a noi attraverso i sensi, mentre siamo positivamente avvolti dall’ambiente e ne percepiamo le misteriose relazioni, anche quelle che non riusciamo a vedere tra fattori abiotici e biotici, sotto i nostri piedi (geologia) e tra gli elementi che osserviamo: sole, aria, acqua, suolo e ciò che accoglie.

La Costituzione

La tutela del patrimonio culturale, costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici è affidata allo Stato dall’art. 9 della Costituzione italiana:

“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

Tutela attiva ed escursionismo educante

La nostra azione quotidiana si prende cura dei territori e delle genti che vi abitano. Non si limita all’importante funzione di riconoscere, salvaguardare e recuperare i valori naturali e antropici presenti, ma è attenta a consegnare alle generazioni future la cultura di un uso consapevole del territorio.

Attraverso questa lungimirante azione si esprime l’Escursionismo educante.

Pianificazione Paesaggistica

Il Codice dei Beni culturali (d.lgs. n. 42/2004) è il principale riferimento legislativo che attribuisce allo Stato – attraverso il Ministero della Cultura – e alle Regioni la funzione di garanti della tutela del paesaggio.

Art. 131, comma 6, Codice dei Beni culturali: “Lo Stato, le Regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché tutti i soggetti che, nell’esercizio di pubbliche funzioni, intervengono sul territorio nazionale, informano la loro attività ai principi di uso consapevole del territorio e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realizzazione di nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti a criteri di qualità e sostenibilità”

Paesaggio vulnerabile

Il paesaggio è un contesto vulnerabile ed è risorsa non rinnovabile. Ne sappiamo qualcosa nel caso del rapporto tra energie rinnovabili e paesaggio e – recentissimo, l’impatto determinato dal danno paesaggistico con l’abbattimento dei larici a Cortina, per fare spazio a una inconciliabile pista da bob. In questa circostanza una trasformazione che non ha fondamenti economici e sociali, ma solo costi futuri per la collettività e un inaccettabile uso iniziale di nostri fondi pubblici.

Altri stimoli analitici e propositivi

Il paesaggio come strumento e oggetto di cura. Più lo conosciamo, ce ne interessiamo e più stiamo bene

La salvaguardia del paesaggio tra passato e futuro. Complessa la lettura del paesaggio, evidente la fragilità dei territori per rischi naturali e antropici, innovativa l’attività di tutela.

Gli Archivi di Stato con i documenti cartografici. Una miniera tutta da scoprire con mappe dei territori che ci consegnano una splendida e puntuale rappresentazione del paesaggio, con gli insediamenti, le produzioni, i servizi. Tutto rigorosamente abilmente disegnato.

foto: archivio Di Donato




ROSETO SI CONFERMA CITTÀ DELLO SPORT

Tanti appassionati nel fine settimana dedicato alla Final Eight di coppa Italia A2 di basket femminile

Roseto degli Abruzzi, 13 marzo 2024. Otto squadre partecipanti in rappresentanza di altrettante regioni italiane, diverse strutture ricettive coinvolte, 7 partite disputate in 3 giorni al PalaMaggetti, dove complessivamente sono affluite migliaia di persone nel fine settimana della “Settimana internazionale della donna”. Tutto questo, e molto di più, è stata la Final Eight di Coppa Italia A2 di Basket Femminile. Una manifestazione sportiva che ha confermato che lo sport, oltre che un fenomeno di educazione sociale, rappresenta una delle forme di promozione più efficaci per un territorio.

Grazie al combinato disposto della co-organizzazione di Comune di Roseto, Roseto Eventi, Legabasket Femminile e FIP Abruzzo, la città di Roseto degli Abruzzi ha ospitato un’altra Final Eight di Coppa Italia di basket, la seconda volta in tre anni. Questa volta è toccato alle donne del basket catturare l’attenzione di un pubblico sempre numeroso, appassionato e competente, dei presidenti della FIP, Gianni Petrucci, e di LBF, Massimo Protani, oltre che di addetti ai lavori e di numerose famiglie al seguito che hanno approfittato dell’evento per visitare la città del basket per eccellenza, dove la palla a spicchi esiste da 103 anni.

Il verdetto finale del campo ha premiato Udine in quella che è stata la finale più attesa con Derthona, al termine di una partita infinita, considerati i 3 tempi supplementari che si sono resi necessari per decretare sì una squadra vincente, a fronte però di una avversaria altrettanto degna, a lungo applaudita dal pubblico presente. Alle beniamine di casa delle Panthers Roseto, vittoriose nei quarti di finale con Selargius e poi sconfitte da Derthona in semifinale, era difficile chiedere di più considerata l’emergenza infortuni. Resta come dato rimarchevole che una squadra femminile di basket con il nome di Roseto sulle maglie sia stata brava da conquistare per la prima volta la qualificazione all’atto finale di una Coppa Italia.

“La città si è fatta trovare pronta per l’ennesima volta all’appuntamento di alto livello – affermano il Sindaco Mario Nugnes e l’Assessore allo sport Annalisa D’Elpidio – Per tre giorni Roseto è stata capitale del basket che conta e la Final Eight di Coppa Italia femminile di basket Serie A2 è stata un successo non solo sportivo, ma anche di comunità e spirito collaborativo. La città di Roseto ha dimostrato una capacità organizzativa eccellente, accogliendo l’evento con entusiasmo e professionalità. Il nostro territorio, con la sua bellezza e ospitalità, ha saputo creare un ambiente ideale per atlete e tifosi, dimostrando come eventi di questo calibro possano essere un volano per il turismo e l’economia locale anche al di fuori della stagione estiva.

Questo è un chiaro esempio di come la destagionalizzazione possa essere perseguita con successo attraverso l’organizzazione di eventi sportivi di rilievo. Un ringraziamento speciale va a tutti coloro che hanno lavorato in prima persona e dietro le quinte: organizzatori, volontari, sponsor e la comunità locale, il cui impegno e dedizione devono essere un esempio per tutti noi. La volontà di continuare su questa strada è forte, e Roseto degli Abruzzi si conferma come una città che sa farsi trovare pronta e che, grazie allo spirito di collaborazione, può raggiungere traguardi importanti. L’entusiasmo e la passione che hanno circondato la Final Eight sono la prova che lo sport è molto più di una competizione; è un’occasione per unire le persone e celebrare il talento e l’impegno. Lavoriamo per continuare a vedere ancora molti altri eventi come questo a Roseto, che continuino a portare energia e vitalità in ogni stagione dell’anno”.




LA FAME USATA COME ARMA

La  guerra  a Gaza

Politicainsieme.com, 13 marzo 2024. La fame viene usata come arma di guerra a Gaza. La critica è venuta da Josep Borrell che è alla guida della politica estera dell’UE e che ha denunciato la mancanza di aiuti per i palestinesi come un disastro causato dall’uomo.

L’intervento di Borrel è relativo a tutte le difficoltà  create di Israele all’arrivo dei rifornimenti a Gaza via terra che solo limitatamente sono compensati dal lancio di vivere dagli aerei e da quanto sta per giungere via mare.

La voce dell’Europa si è aggiunte a tutte le altre, a partire da quelle delle agenzie umanitarie, che denunciano il fatto che gli israeliani fanno giungere ai palestinesi solo una frazione degli aiuti considerati necessari nella Striscia pressoché distrutta completamente a seguito dei bombardamenti effettuati da Israele dopo l’attacco terroristico di Hamas dello scorso 7 ottobre. Sono poco meno di 600 mila le persone che a Gaza vivono in condizioni di vera e propria carestia.

Borrel ha denunciato la situazione dinanzi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riunito a New York, ricordando che ci si trova adesso “di fronte a una popolazione che lotta per la propria sopravvivenza”.

“La fame viene usata come arma di guerra e quando condanniamo ciò che sta accadendo in Ucraina, dobbiamo usare le stesse parole per ciò che sta accadendo a Gaza” ha detto il rappresentante dell’Unione europea.




ESSERE CREATIVI OGGI

Fare cultura e impresa culturale

L’Aquila, 13 marzo 2024. Oggi pomeriggioalle ore 18 presso la Sala Carlo Scarpa del Maxxi Museo nazionale delle arti del XXI secolo, si terrà l’evento Fare cultura e impresa culturale, essere creativi oggi evento conclusivo del progetto Promoting entrepreneurship and access to finance in the cultural and creative sector.

I lavori si apriranno con l’intervento del Presidente ENM, Mario Baccini e proseguiranno con un dibattito culturale ed economico tra Padre Antonio Spadaro e il Presidente della Fondazione MAXXI, Alessandro Giuli, moderati dal giornalista Piero Schiavazzi.

Una parte dell’evento sarà dedicata a illustrare le conclusioni del progetto ProCCS “Promoting entrepreneurship and access to finance in the Cultural and Creative Sector”, di cui l’Ente Nazionale per il Microcredito è capofila di un partenariato composto da cinque organizzazioni provenienti da Belgio, Bulgaria, Italia e Germania, avviato nel 2022 e finanziato a valere sulle risorse del programma Europeo Erasmus +. Obiettivo del progetto, supportare il Settore Culturale e Creativo (CCS) nel suo complesso, rafforzando le competenze dei professionisti attivi nel settore, collegando i professionisti CCS con il mondo delle imprese e della microfinanza e supportando gli imprenditori culturali nell’implementazione e nel finanziamento delle loro idee di business.

“L’industria culturale è il primo fattore di sviluppo per il tessuto economico nazionale. L’Italia è, nel mondo, la nazione che potrebbe vivere anche solo di cultura. Per quanto riguarda il nostro Ente siamo orgogliosi di aver sostenuto una progettualità europea volta a promuovere lo sviluppo di imprese giovani che si occupano di attività culturali ad ampio spettro, sostenendo autoimpresa, creatività, l’industria e l’indotto che permeano questo mondo in modo innovativo. Un’azione dello Stato che nel suo piccolo sostiene quella attività economica che crea reti e interessi anche sovranazionali passando per la promozione dell’arte, unico ponte tra generazioni e popoli e strumento di una educazione al bello che diventa azione di diplomazia preventiva”. Con queste parole, il Presidente dell’Ente Nazionale per il Microcredito, Mario Baccini, sostiene le ragioni del progetto europeo appena concluso grazie al sostegno dell’Ente Nazionale del Microcredito.




LETTERA APERTA AGLI ELETTI NEL CONSIGLIO REGIONALE D’ABRUZZO

La Cittadinanza Attiva come pilastro della società abruzzese

Chieti, 12 marzo 2024. Nell’Abruzzo forte e gentile, il volontariato è il cuore vibrante e solidale che svolge un ruolo cruciale nell’edificare connessioni umane, alleviare le disparità sociali e promuovere la crescita collettiva. Dopo le elezioni regionali, Pasquale Elia, psicologo e formatore, in qualità di Presidente di Erga Omnes, associazione di volontariato nata nel 2011 a Chieti, rivolge questo appello agli eletti, ancor prima cittadini, incitandoli a riconoscere e valorizzare l’importanza del volontariato come strumento essenziale per il benessere della comunità e la costruzione di un tessuto sociale resistente e resiliente. Questo riconoscimento va fatto non a parole, nel linguaggio comune “politichese” (tipico solo per accaparrare voti) ma instaurato concretamente, in una comunicazione politica vera, efficiente ed efficace.

Cari politici, la cittadinanza attiva è il fondamento su cui si erige una società migliore ed inclusiva. I volontari agiscono come ambasciatori di questo concetto, dedicando il loro tempo e le loro competenze per affrontare molte sfide, locali e no, nei vari aspetti del sociale. I futuri leader politici devono abbracciare e promuovere attivamente questo spirito di partecipazione civica, incoraggiando i cittadini a essere protagonisti attivi del cambiamento.

Il volontariato funge da collante sociale, unificando le persone attraverso la condivisione di esperienze e il servizio agli altri. I vari eletti, non solo coloro che avranno incarichi nelle politiche sociali, dovrebbero riconoscere il potenziale del volontariato nel creare coesione sociale, abbattendo barriere e promuovendo un senso di comunità che va oltre le differenze individuali. La collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore può diventare il motore trainante di un progresso sostenibile, per un Abruzzo che ha davvero desiderio di crescere, sotto vari punti di vista.

I giovani sono la linfa vitale di qualsiasi società, il carburante del motore del progresso, portatori di nuove idee, energie e prospettive. L’Associazione Erga Omnes, che opera nell’ex centro sociale San Martino a Chieti Scalo, lo sa bene perché trainata da studenti e giovani professionisti che si mettono in gioco e mettono a disposizione le loro competenze per il bene comune, per il benessere psico-sociale della comunità. Incentivare la partecipazione giovanile nel volontariato non solo apre opportunità di crescita individuale, ma contribuisce anche a plasmare una nuova generazione di cittadini responsabili e consapevoli. I decisori politici dovrebbero impegnarsi nel fornire risorse e programmi che favoriscano, inoltre, l’attiva partecipazione dei giovani competenti, trasformandoli così in agenti di cambiamento positivo per la società, permettendo loro di crescere a livello personale e professionale, generando così anche crescita sociale ed economica.

Il volontariato giovanile non è solo un atto di generosità, ma un investimento nel tessuto sociale che rafforza, inoltre, il legame tra le generazioni, garantendo sostenibilità.

Mi auguro che chi andrà a governare (ma anche chi non è stato eletto deve maturare questa importante consapevolezza) possa tenere ben presente questo mio appello e spero possa essere davvero sensibile e competente, invitando le associazioni a dire la propria su proposte e leggi, facendo partecipare “i portatori di interesse”, in particolare i giovani, ad un tavolo di lavoro ben strutturato,  per collaborare nel raggiungimento dei vari obiettivi prefissati, per il bene di tutti gli abruzzesi.

In bocca al lupo e buon lavoro, con ascolto, preparazione e attenzione.




ELEZIONI REGIONALI IN ABRUZZO

Riflessioni a caldo e a freddo

di Giuseppe Lalli

L’Aquila, 12 marzo 2024. La riconferma di Marco Marsilio come Presidente alle elezioni regionali dell’Abruzzo, risultato per nulla scontato, sembrerebbe smentire una legge che pareva scritta negli astri della nostra regione, vale a dire l’alternanza, avvenuta nell’ultimo quarto di secolo, di schieramenti politici diversi alla guida della regione. In realtà, se esaminiamo con più attenzione l’orientamento elettorale volta per volta prevalente negli ultimi decenni, scopriamo che, se di legge si deve parlare, essa obbedisce piuttosto ad una tendenza al conformismo, vale a dire che, al netto di un astensionismo vieppiù crescente, in Abruzzo, sic et simpliciter, ha finito sempre per prevalere l’orientamento politico nazionale vigente o incipiente nel momento storico in cui le elezioni si sono celebrate. In questo senso può valere il pittoresco, e molto forzato, paragone che si fa tra l’Abruzzo e lo Ohio, lo stato americano il cui esito elettorale in passato prefigurava l’esito finale delle elezioni presidenziali.

Non sapremo mai in che misura, questa volta, gli elettori abruzzesi – ma il ragionamento vale anche per le altre regioni italiane – abbiano valutato, nella loro scelta, il merito amministrativo in rapporto a considerazioni politiche generali, queste ultime, con tutta probabilità, come si è dianzi argomentato, assolutamente prevalenti. In altri termini, alla domanda se Marsilio, in deroga a quella che pareva una consolidata tradizione, sia stato riconfermato alla guida della Regione Abruzzo per meriti di buon governo, la risposta, per parafrasare il celebre refrain di una vecchia canzone di Bob Dylan, è.… nel vento. E il vento soffia ancora in una direzione. Che dire poi di chi le elezioni le ha perse? Volendo ricorrere ad una metafora sportiva, si potrebbe osservare che non ci vuole molto a capire che quando il campo è troppo largo si rischia di non vedere più la palla, indipendentemente dal valore della squadra e del capitano.

Fuor di metafora, in politica non conta la somma aritmetica ma la somma algebrica, vale a dire la capacità di apparire più omogenei, caratteristica, questa dell’omogeneità, che nel contesto politico italiano della cosiddetta “seconda repubblica”, caratterizzato da un sia pur bislacco bipolarismo, è più appannaggio del centro-destra, che è – piaccia o non piaccia – blocco sociale e culturale più vicino, pur con tutti i suoi limiti, alla pancia della nazione, che non del centro-sinistra, soggetto politico per certi aspetti più “professionale” ma più “divaricato”, se così si può dire, al suo interno.

Non si può altresì passare sotto silenzio il dato dell’astensionismo (ha votato un abruzzese su due, e nella provincia di Chieti meno della metà degli aventi diritto) che è un tema generale che i partiti sottovalutano e che invece denuncia una disaffezione sempre più diffusa per la politica e tutto ciò che le ruota attorno. Si potrebbe dire, per rimanere alla metafora sportiva, che gli stadi semivuoti stanno ad indicare che il gioco interessa sempre meno, e poco interessa chi vince e chi perde. Ancorché lo “scudetto” è sempre valido, il suo valore sostanziale appare dimezzato.

Per dirla in maniera più seria, il tema dell’indifferenza alla politica nelle nostre società deve preoccupare ed è, al fondo, un problema culturale. È vero che il sistema partitocratico sforna una classe dirigente sempre più autoreferenziale, un circolo chiuso di addetti ai lavori, allontanando i cittadini dalla partecipazione, ma è altresì vero che una società sempre più individualista, dove prevale il do ut des, concepisce sempre meno l’importanza della dimensione comunitaria. Viviamo in una “società liquida”, per dirla con la celebre espressione di Zygmunt Bauman: la frammentazione è la cifra del nostro tempo, in una società che potremmo definire “a coriandoli”, dove tutto, dalla politica all’economia, sembra obbedire alla logica del risultato a breve, senza un’idea unificante e nel nichilismo imperante. C’è davanti a noi un vasto programma, e a doversi impegnare, nei prossimi anni, dovrà essere la cultura prima ancora che la politica.




MARSILIO PRESIDENTE

Ecco il risultato definitivo, raccolto nei numeri essenziali, delle scorse elezioni regionali (mancherebbero solo 2 sezioni su 1634).

Marco Marsilio: 326.991 Voti (53,49 %)

D’amico Luciano: 284.329 Voti (46,51 %)

Elettori: 1.208.207

Votanti: 611.320 (50,59 %)

Analisi e commenti con più riflessione e con i dati complessivi della composizione del Consiglio Regionale




ABRUZZO: PASSATA LA PAURA…

Politicainsieme.com, 11 marzo 2024. La paura della destra è stata archiviata dopo il risultato dell’Abruzzo. Il voto conferma che l’Abruzzo sta a destra, ma i risultati dovrebbero far riflettere pure i vincitori. Per raggiungere il risultato consolatorio è stato necessario un impegno dell’intero Governo, ovviamente capitanato da Giorgia Meloni, come non è stato mai speso prima in precedenza nel caso di alcun confronto regionale. Del resto, la sconfitta in Sardegna ancora brucia e nel caso ci fosse stato il bis, si sarebbe trattato di cosa seria. Tanta era la preoccupazione degli ultimi giorni che il Presidente uscente Marsilio, con un volo iperbolico non da poco, ha detto di aver “fatto la storia”.

Il tutto sorvolando sul fatto che, ancora una volta, anche in Abruzzo, una bella figura la fa il partito dell’astensione. Ma questo è un inutile vaniloquio a cospetto di una classe politica che continua a fregarsene nella maniera più assoluta. Va bene così: continuano a cantarsela tra di loro indifferenti al fatto che tutto suona come l’ennesima sconfitta di tutti.

Il campo largo, il campo giusto, ancora i suoi ideatori non hanno ancora deciso come chiamarlo, si deve evidentemente rodare. Anche se c’è da considerare che il sistema elettorale regionale non coincide con quello nazionale in cui una fetta importante nell’assegnazione dei seggi dipende dai famosi collegi uninominali, e pochi voti di differenza possono far pendere la composizione del Parlamento di Roma in una direzione o in un’altra.




PREMIO PHENOMENA A CINZIA LUCIANI

La vicepresidente dell’associazione P&C Italian Style premiata in Giappone

Tokyo, 10 marzo 2024. Un pugno che stringe una mimosa. È la statuetta che dal Giappone tornerà in Abruzzo, e più precisamente a Pescara, grazie al talento e alla determinazione di Cinzia Luciani, vicepresidente dell’associazione Pastry & Culture Italian Style, che ha ottenuto il Premio Phenomena nella sua speciale edizione giapponese.

L’iniziativa nasce dalla collaborazione tra Regione Abruzzo, Agenzia di sviluppo della Camera di commercio Chieti Pescara ed IFTA (Indipendent Fashion Talent association) con la Camera di commercio italiana in Giappone. Nell’ambito del Mimosa Day, l’evento ospitato nella Tokyo Tower per celebrare l’empowerment femminile, infatti, i soggetti pubblici e privati promotori del Premio, rivolto ai settori del food, della moda e del design, hanno deciso di dedicare dei riconoscimenti speciali alle proposte imprenditoriali approdate in questi giorni a Tokyo. Tra queste, anche l’associazione Pastry & Culture, presieduta dal maestro Federico Anzellotti con il supporto operativo della vicepresidente Cinzia Luciani, che proprio questa settimana è stata protagonista dell’importante fiera internazionale Foodex Japan 2024.

L’associazione si pone, infatti, l’obiettivo di sviluppare progetti internazionali al fine di esportare lo stile Made in Italy nel settore food, attraverso formazione, tecnologia e materie prime e lavora assiduamente per realizzare sinergia tra le imprese italiane e i mercati esteri, accompagnando le aziende nel percorso verso l’internazionalizzazione, anche attraverso la partecipazione a missioni estere. Nata nel 2021, in pochi anni di vita l’associazione ha acquisito notevole esperienza in campo di export e promozione, tanto da essere presente nei tavoli ministeriali dove collabora con enti e istituzioni per le proposte di promozione ed export del Made in Italy.

«Sono davvero orgogliosa di questo premio che ci gratifica per tutti gli sforzi che quotidianamente facciamo», commenta Luciani, che si divide tra i ruoli di avvocato, insegnante e rappresentante dell’associazione. «Aver sentito pronunciare il nome della P&C Italian Style sulla Tokyo Tower è stato davvero emozionante».

Soddisfatto anche il presidente dell’associazione Federico Anzellotti che aggiunge: «un altro prestigioso riconoscimento per l’associazione e per l’incommensurabile impegno della vicepresidente Cinzia Luciani, esempio di donna concreta impegnata sul lavoro».




CONTINUA IL PROGETTO ALBERI

Due Mimose messe a dimora lungo la Ciclo Pedonale per Ricordare delle donne di Roseto che non sono più fra noi

Roseto degli Abruzzi, 10 marzo 2024. Ieri, i volontari delle Guide del Borsacchio, in collaborazione con l’associazione Il Guscio, hanno compiuto un gesto significativo nella Riserva Borsacchio. Nel contesto del progetto Dalla giornata alla città dell’Albero, hanno piantato due mimose lungo il tratto ciclopedonale della riserva Borsacchio

Questo atto simbolico è un omaggio a due donne speciali, Erminia e Maria Assunta, che purtroppo ci hanno lasciato. Entrambe hanno contribuito in modo tangibile alla causa della Riserva Borsacchio e hanno diffuso gioia e serenità attraverso il loro sorriso e le loro esperienze.

Durante la cerimonia, il presidente dell’associazione Il Guscio ha pronunciato parole commoventi, e insieme abbiamo collocato una targa sul luogo, invitando i passanti a prendersi cura delle mimose, simbolo tangibile del ricordo di queste due donne straordinarie.

Chiediamo a tutti i cittadini di unirsi a noi in questo gesto di memoria e speranza, donando un po’ della loro acqua per garantire la crescita e la vitalità di queste piante, che rappresentano tanto più di semplici alberi: sono testimoni di un legame profondo e duraturo con la nostra comunità.

Dopo i volontari si sono recati in spiaggia a sistemare i danni del criminale che ha distrutto cartelli informativi e l’area delimitata del progetto area del fratino, a pochi giorni dall’atto vandalico.

Riserva del Borsacchio




COME SI PUÒ ASCOLTARE IL VANGELO CHE PARLA D’AMORE …

… e poi essere razzisti e discriminare il prossimo?

Impariamo, allora, ad avere verso il mondo, verso ogni fratello e sorella che incontriamo quanto raccomandava Raissa Maritain: “Se non accetto che il prossimo mi istruisca, neppure Dio mi istruirà”

di Rocco D’Ambrosio

Globalist.it, 10 Marzo 2024. Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3, 14-21 IV Quar. B laetare).

Mi sono sempre chiesto come sia possibile ascoltare il Vangelo che parla dell’amore di Dio per il mondo, per gli ultimi, i poveri e poi assumere, nel mondo, posizioni razziste, chiuse, discriminanti e via dicendo. Chi lo fa, da qualche parte, deve essere falso: o in chiesa o nel mondo.

Condannare il mondo è un’operazione molto semplice: si divide il tutto in buoni e cattivi; si crede, con presunzione, di stare ovviamente tra i buoni e ci si arroga il diritto di condannare gli altri.

E Dio? Beh, anche Lui deve stare dalla mia parte, quella di chi condanna senza appello e, magari, ha votato il mio stesso partito. Ridere o piangere per queste posizioni?

La condanna è frutto di gente, come ricorda Maritain, dall’intelletto molle e dal cuore arido; l’amore, invece, appartiene a chi ha l’intelletto duro e il cuore molle. O, con le parole di Benedetto XVI, dovremmo dire: “Non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore”. Francesco, su questa scia, chiede, a tutti coloro che sono impegnati nel mondo, di interessarsi “ad ogni uomo e alle sue istanze più profonde, che spesso restano inespresse o mascherate. In forza dell’amore di Dio che avete incontrato e conosciuto, siete capaci di vicinanza e tenerezza. Così potete essere tanto vicini da toccare l’altro, le sue ferite e le sue attese, le sue domande e i suoi bisogni, con quella tenerezza che è espressione di una cura che cancella ogni distanza”.

Fa molto pensare come l’opposizione agli inviti del papa non provenga solo da coloro che appartengono per storia e sensibilità teologica ed ecclesiale a gruppi ben precisi (tradizionalisti, lefreviani, anti-ecumenici e così via) ma caratterizzi anche, in maniera spesso nascosta e ipocrita, settori ecclesiali di persone di formazione conciliare che comunque non apprezzano e seguono quanto Francesco dice, siano essi laici o presbiteri o vescovi o cardinali.

Alla lunga il loro atteggiamento e anche il mio, il nostro parlare di queste persone diventa stucchevole e deleterio. Serve solo a polarizzare il tutto, c’è chi segue il papa e chi si oppone a lui. Ma non è il papa l’oggetto della nostra scelta; non sono le sue parole il succo della nostra fede.

Il punto è Gesù Cristo. Siamo nella Chiesa per Lui e in Lui. Dio ama il mondo nel Suo figlio Gesù, inviato per salvare il mondo e non per condannarlo. È su questo che dobbiamo fare un esame di coscienza non sui contenuti dei siti spazzatura che trattano le cose di fede come materia da tifo calcistico.

Un parroco romano, tutt’altro che tradizionalista e anti conciliare, mi ha raccontato: “All’inizio papa Francesco mi infastidiva per quello che faceva e diceva. Poi mi sono chiesto: ma perché mi succede questo? Riflettendoci sono arrivato a una risposta: mi ero costruito un’idea di Dio e di Chiesa sicura e inespugnabile. Francesco me la ha messa in crisi. E mi sono sentito meglio quando l’ho riconosciuto e ho cercato di cambiare”.

Non è Francesco il problema, ma la misericordia di Dio, il suo amore che vuole salvare il mondo e non condannarlo. E qui non c’è una terza via. O si è con Lui o contro di Lui.

Impariamo, allora, ad avere verso il mondo, verso ogni fratello e sorella che incontriamo quanto raccomandava Raissa Maritain: “Se non accetto che il prossimo mi istruisca, neppure Dio mi istruirà. Vita nascosta in Dio. Non vedere nel prossimo che l’amore con cui Dio l’ama, e la sua miseria di creatura, che non è più grande della mia miseria, e che fa pietà a Dio stesso, e che fa discendere su di noi la sua misericordia. Tutto il resto è vanità e futilità”.

Come si può ascoltare il Vangelo che parla d’amore e poi essere razzisti e discriminare il prossimo? (globalist.it)




LA SACRALITÀ DELLE FAVE NELL’AGIOGRAFIA POPOLARE ABRUZZESE

[Pubblicato in Rivista Abruzzese, anno XLIX – n. 3, Lanciano 1996]

di Franco Cercone

Premessa

La presente ricerca è scaturita da una osservazione apparentemente irrilevante: nell’agiografia popolare abruzzese (ma, forse, anche in quella di altre Regioni, soprattutto meridionali) si narra di determinati
Santi che inseguiti da uomini perfidi ed animati da intenzioni poco rassicuranti, riescono a sfuggire ai loro persecutori operando una miracolosa fioritura delle fave proprio mentre un contadino è intento a seminare questo legume.

Come è noto la semina avviene di norma a novembre o febbraio, ma tali riferimenti temporali non emergono dai racconti agiografici di cui avremo modo di esaminare in seguito la struttura narrativa.

Sia negli episodi agiografici che in alcuni rituali monastici cluniacensi, le fave assumono il valore di una manna elargita dal cielo per sfamare i ceti rurali e più poveri. Sicché i campi di fave vengono benedetti o dalla Madonna o da vari Santi, che agiscono spesso sotto le spoglie di umili frati. Il legume acquista pertanto la dimensione di un cibo sacrale che sovverte la concezione del mondo classico, il quale considerava la fava un legume inferico e perciò collegato al culto delle divinità
chtonie e dei morti.

Quali sono stati i fattori sociali e religiosi che hanno mutato radicalmente una simile concezione?

E appunto quello che ci siamo chiesti e che tentiamo di chiarire in seguito, pur alla luce di una documentazione certamente non esaustiva.

Un legume inferico

Come è noto il primo precetto della Scuola Pitagorica recita: Astieniti dalle fave. A tal riguardo B. Russel sottolinea che “la peccaminosità del mangiar fave” deriva da “primitive concezioni del tabù, assai diffuse nel mondo mediterraneo del VII-VI sec. a.C.”[1], in quanto la fava era ritenuta un legume inferico.

Il suo fiore, scrive il Beitl, macchiato di nero, “galt als Symbol des Todes”, equivaleva cioè a simbolo della morte e pertanto la degustazione delle fave era vietata ai sacerdoti egizi ed ai Pitagorici[2]. Si tratta
dunque di un frutto che appartiene – sottolinea ancora il Beitl – agli chthonischen Geistern, alle divinità chtonie[3].

Secondo Giovanni Lydo, filosofo neoplatonico vissuto nella prima metà del V secolo a Bisanzio, “le fave masticate ed esposte al sole acquistano sapore ed odore di sangue umano”[4] ed il legume possiede, alla luce di tali concezioni, “un valore carneo che lo fa rientrare tra quei cibi che contengono una psuké”[5] e pertanto – sostiene Plutarco – le fave sono considerate “come alcune parti del corpo, cuore e cervello”[6].

La fava, dunque, possiede un’anima perché “l’acqua nella quale si pone un infuso di fave si tinge di rosso come se fosse colorata di sangue”[7], sangue attinto dal legume (ed in ciò consiste la sua singolare capacità rispetto ad altre piante) con le proprie radici dal sottosuolo e dunque dal regno dei morti, per cui l’impiego delle fave era tassativamente vietato nei rituali orfico-pitagorici.

In un noto passo della Storia Naturale (XVIII, 118) Plinio sintetizza infine i motivi per cui a Roma si avesse del legume una concezione negativa, sostenendo che nelle fave risiedessero le anime dei morti.

Il rapporto della fava con il culto dei morti emerge tuttavia in modo terrificante nei Fasti [V, vv. 429-40] e propriamente nel passo in cui Ovidio parla delle feste dei Parentales e delle Feralia, nonché dei misteriosi rituali che si svolgevano dal 13 al 21 febbraio nel mondo romano.

Su tali rituali Giuseppino Mincione ha scritto un lucido saggio che utilizzeremo ampiamente nel paragrafo seguente.

Fave e Lémures

“Con la descrizione – esordisce G. Mincione – dell’apparizione delle ombre dei morti, dette Lémures, Ovidio (Fasti, V, 429-40) si immette nell’ambito della vita soprannaturale”[8]. Secondo il Poeta sulmonese due periodi dell’anno sono consacrati al culto dei defunti, il mese di febbraio e quello di maggio.

Più antica è la celebrazione dei morti a maggio, perché quando l’anno era più breve, cioè prima della riforma di Numa che aggiunse al calendario i mesi di gennaio e febbraio, era il mese di maggio quello in cui avvenivano le onoranze ai defunti, con sacrifici espiatori alle tombe degli avi.

In seguito alla riforma di Numa, febbraio fu scelto come mese per le onoranze ai morti e non a caso T. Varrone sostiene che la parola febbraio deriva da una voce sabina che significa purificazione[9].

Ma nonostante tale radicale riforma, nel mese di maggio fu conservata la consuetudine di placare le Lémures, cioè le ombre dei morti, poiché – sottolinea il Pastorino – ambigua è la concezione delle anime dei morti, che ora sono chiamate manes, i buoni, ora temuti sotto forma di spettri col nome di Lémures o Larve[10]. Infatti, il Bloch completa il quadro sottolineando che “il morto è la fonte più pericolosa di contaminazione e una famiglia in lutto, familia funesta, deve lasciarsi imporre tutti i riti e le purificazioni indispensabili per cessare di essere lorda e contagiosa. Inoltre, il culto reso ai morti corrisponde non solo a un naturale rispetto, ma anche a una precauzione difensiva. Il defunto
insoddisfatto, infatti, può diventare un essere temibile e pericoloso”[11].

Le cerimonie per pacificare le anime degli antenati morti erano dettate, sostiene Ovidio, dalla situazione dei tempi. Correva voce, infatti, che a causa delle lunghe guerre, soprattutto quella Sociale, erano stati trascurati gli onori ai defunti. Le anime degli avi uscivano spesso dai sepolcri e si racconta “che per le vie di Roma e per le campagne spaziose ululassero spiriti pallidi, vane larve”[12].

In particolare, si credeva a Roma che ciò avvenisse nell’ultimo giorno dei Parentales, il 21 febbraio, chiamato feralia. Tale termine secondo Varrone deriva da Inferi e ferre, perché durante tali feste vigeva l’usanza di portare vivande alle tombe degli avi, ai quali erano dovuti appunto i sacrifici funebri per placare le loro anime.

Le cerimonie per pacificare quest’ultime avvenivano però anche nel mese di maggio, e precisamente nei giorni 9, 11 e 13 maggio, tre giorni non consecutivi e dispari dice Ovidio, intercalati da altri non festivi: Sono queste, dunque, le tre feste del mese né sono congiunte tra loro da giorno alcuno[13].

Le modalità con cui si svolgevano nei suddetti giorni di maggio i rituali in onore delle Lémures, o ombre dei morti, ci sono state tramandate da Ovidio in un passo dei Fasti [V, vv. 429-44] che riportiamo nella versione di G. Mincione. “Appena è mezzanotte e col silenzio si concilia il sonno, e voi, cani e variopinti uccelli, avete taciuto, chi è memore dell’antico rito ed è timorato degli dèi si leva dal letto, senza avere calzari ai piedi, e dà segnali con le dita congiunte, cioè tenendo uniti il pollice
e il medio, perché un’ombra leggera non venga incontro a lui se non fa rumore. E quando ha lavato e purificato le mani nell’acqua di fonte, si gira e prima mette in bocca delle fave nere e stando voltato le getta e dice: Io getto queste fave e con esse redimo me ed i miei. Dice ciò nove volte senza girarsi a guardare: si crede che l’ombra le raccolga e segna lui alle spalle senza che nessuno la veda. Di nuovo si bagna nell’acqua e fa risuonare i bronzi di Témesa e prega che l’ombra esca dalla sua casa.
Quando egli ha detto nove volte: ‘oh paterni mani, uscite!’, si volta a guardare e crede che il rito sia compiuto con purezza”[14].

Abbiamo riportato in corsivo le parole fave nere e nove volte contenute nei versi dei Fasti perché in un altro passo dell’opera [II, 576] Ovidio ci parla di una vecchia maga che mette in bocca sette fave nere
mentre compie sacrifici a Tacita, dea del Silenzio. Il nero, per dirla brevemente con il Beitl, “è il colore dei dèmoni, degli spettri sotto forma di animali (orso nero, gatto nero ecc.) e del diavolo”[15] nonché di molti oggetti che entrano a far parte di rituali magico-satanici.

Sicché da simbolo della morte il color nero diventa la morte stessa e nel nostro caso “le fabae sembrano rappresentare i Lémures stessi”[16].

Rilevante appare inoltre la circostanza che il pater familias, cioè colui che compie il rito nel passo Ovidiano, ripeta nove volte la formula libero me ed i miei avi con queste fave, segno questo, nota G. Mincione, che egli metteva in bocca nove fave per il masticamento rituale e le estraeva una alla volta nel ripetere la formula con le spalle voltate rispetto alla tomba dell’avo[17].

Ma, come si è detto in precedenza, Ovidio ci informa che i giorni dedicati nel mese di maggio ai riti in onore dei Lémures erano tre, e precisamente il 9, 11 e il 13 maggio. Poiché, secondo Plinio, il ciclo di fioritura delle fave si esaurisce il 9 maggio[18], si può dedurre a ragione, come ha sottolineato la Chirassi, “che il 9 maggio fosse anche il giorno centrale dei Lemuria, la nota festa del ritorno delle anime dei morti”[19] e pertanto il numero 9 viene a costituire l’elemento centrale ed unificatore dei terrificanti rituali.

Un legume ambiguo.

II periodo più antico del culto dei morti, connesso ad un terrore ancestrale[20], era denominato dunque Lemuria, spiriti insoddisfatti detti anche Lèmuri o Larve ed assai temibili, che tornavano sulla terra per
tormentare i vivi e perciò venivano pacificati nei giorni 9, 11 e 13 del mese.

Il momento culminante e misterioso del rituale, che aveva luogo a mezzanotte, era costituito come si è visto dalla masticazione di fave nere da parte del celebrante che, restando con le spalle voltate rispetto alla tomba dell’avo, ripeteva per nove volte la frase: “Io getto queste fave e con esse redimo me ed i miei avi”. Ed ogni volta gettava una fava masticata.

I motivi della masticazione appaiono evidenti. Le fave infatti (e qui bisogna intendere quelle secche), infuse nell’acqua, tingono quest’ultima di rosso rendendola simile al sangue, fenomeno dunque attivato anche dalla saliva. È da ritenersi pertanto che l’offerente, gettando le fave sulla tomba, era convinto di rigenerare il defunto con il sangue, sicché – come sottolinea la Chirassi – le fabae sembravano rappresentare i Lémures stessi[21].

Accanto alle notizie che testimoniano la centralità del legume nei rituali dei Parentales, e dei Lemuria, emergono tuttavia altre informazioni dal mondo classico che mal si conciliano con la visione inferica delle fave e del loro rapporto con il culto dei morti.

V’è innanzitutto un aspetto di carattere sanitario, se non igienico, che non sappiamo quanto abbia influito sulla negatività del legume sotto il profilo cultuale e religioso. È probabile, infatti, che sul divieto di cibarsi di fave, condensato nell’imperativo pitagorico “Astieniti dalle fave”, abbiano esercitato un decisivo influsso esigenze alimentari ben precise, in quanto la fava, mangiata fresca ed in grande quantità, fermenta nell’apparato digerente provocando seri disturbi allo stomaco, patologia
questa nota appunto come favismo. Inoltre, ci dice Plinto, le fave sono causa di offuscamento delle capacità sensoriali, di insonnia o di sogni cattivi[22], per cui Cicerone sottolinea che quo in somnis certiora videamus… faba Pytagorei utique abstinere, quasi vero eo cibo mens non venter infletur[23].

Vi sono inoltre ulteriori informazioni agronomiche contenute nei trattati De re rustica (Varrone, Columella, ecc.) le quali attestano che le fave erano particolarmente apprezzate dai ceti umili per il loro potere nutritivo, per cui Cicerone poteva affermare al riguardo che in rationem necessitas versa est. Questa “ambiguità” di cui è portatore il legume nel mondo romano rappresenta la proiezione di una duplice Weltanschauung, ciascuna delle quali appartiene a due strati sociali contrapposti, e riassumibile nei precetti a) Astieniti dalle fave e b) inter legumina faba, con accentuata valenza paremiologica. Sicché mentre per gli ambienti colti e letterari la fava costituisce un elemento fondamentale per i rituali chtonii o nella celebrazione dei Lemuria, per i ceti rurali e umili essa, come sostiene Plinio [Storia Naturale, XVIII, 119], “rappresenta un elemento più rustico, riservato ad una economia più
povera, specie quando erano in uso altri cereali”.

Ebbene, questa dicotomia, almeno alla luce dei documenti in nostro possesso, non si rinviene più nelle fonti storico-letterarie altomedievali ed alla sua eliminazione deve aver contribuito – non sappiamo in quale misura – anche la graduale diffusione del Cristianesimo, che ha cancellato ogni traccia di “inferico” nel legume, sovvertendo così completamente la concezione classica. Anzi, nelle prime comunità monastiche, le fave sono ritenute non solo di grande importanza per l’alimentazione, ma acquistano una patina di sacralità come se si trattasse di un dono elargito dal cielo.

Il rituale della “benedictio fabarum novarum”.

“I legumi – scrive il Montanari – costituivano fin dall’alto medioevo un fattore essenziale del regime alimentare di tutti gli strati sociali. Si trattava di fagioli, piselli, ceci, lenticchie, ma soprattutto della fava, di gran lunga il più diffuso e consumato, specialmente (ma non solo) fra i ceti popolari”[24].

In particolare, le fave secche venivano macinate e con la farina si confezionava appunto il “pane di fava”.

“La fava – sottolinea il Montanari – rappresentava un valore alimentare fondamentale, oggi totalmente perduto. Basti rilevare nei testi monastici… la centralità anche rituale di un avvenimento come la benedizione delle fave nuove[25]. Sia le Consuetudines Fructuarienses[26] che le Consuetudini di Ulrico, entrambe modellate all’esperienza cluniacense, ci offrono infatti un modello di ritualità legato al consumo delle fave che inizia dal momento della raccolta delle fabae novae benedicendo.

Dopo la raccolta e bollitura delle fave, il monaco “le benedice stando su un gradino davanti alla mensa, con il libro in mano e la stola al collo. Data la benedizione, il medesimo depone il libro in fondo alla tavola e prende in mano la scutella; facendo il giro del refettorio, porge ad ogni fratello presente un pugno di fave. Ricevendolo, ciascuno bacia la mano del sacerdote sicut ad hostias[27].

Le fave costituivano dunque l’elemento nutritivo di molte comunità monastiche, elargito anche ai pauperes che attendevano fuori il refettorio oppure ai pellegrini oltre il muro di cinta del convento.

Le Consuetudinì di Ulrico forniscono nell’XI secolo minuziose indicazioni sulla cottura delle fave in convento e sugli “utensili che non devono mai mancare in cucina”. Fra questi sono annoverati il caldarium per le fave, la cuppa per conservarle quando sono semicotte ed il cucchiaio ad fabas.

Era considerato quasi un sacrilegio l’uso di tali utensili per la cottura di altri cibi. Inoltre, le Antiquiores Consuetudines Cluniacensis Monasterii di Ulrico “non omettono di precisare che esclusivamente la cottura delle fave e quella degli ortaggi sono affidate personalmente ai monaci. Tutto il resto – anche gli altri legumi ed anche le fave stesse, quando sono fresche – non viene cucinato dai fratelli in
coquina regulari,
ma dai servi in alia coquina[28].

La preziosità e la ritualità cui si ricollega non concerne qui la fava fresca, facilmente reperibile durante il periodo di tempo della sua maturazione sui campi, bensì la fava secca, che religiosamente conservata
rappresentava nell’alimentazione monastica alto-medievale e soprattutto nei mesi invernali l’alimento base di molti pulmentaria, di quei piatti unici cioè a base di fave (o di altri legumi) ed altre sostanze.

Come ha evidenziato il Duby, vi è una continuità “pratica” fra le scelte alimentari della Regola Benedettina e l’alimentazione povera delle aree di tradizione romana, che coincidono essenzialmente con la regione mediterranea, la quale si aspettava innanzitutto dalla terra “cereali panificabili, vino e fave, e infine olio”[29].

Tuttavia, come “alimentazione dei poveri”, l’umile ma sostanziosa faba proietta la sua importanza oltre i confini del medioevo e si conferma vitale mezzo di sostentamento grazie al quale gruppi sociali pur diversificati vengono sottratti in periodi di guerra, carestia ed altre calamità naturali, alla morte per fame.

La faba dopo il medioevo e nella narrativa popolare

L’importanza della fava nell’alimentazione è attestata dopo il periodo medievale anche da fonti letterarie. “Io cenerò poche cose – scrive per es. il Machiavelli – ma tutte sustanzevole. In prima una insalata di cipolle cotte; di poi una mistura di fave e spezierie”[30]. Tuttavia è nella narrativa popolare in cui sono depositate le testimonianze più significative sul nostro legume, preposto, se non destinato, a lenire il morso della fame che da sempre ha attanagliato lo stomaco della povera gente.

È significativo in special modo un aneddoto popolare assai noto a Vasto e dintorni, riferitomi da un informatore residente in questa bella città adriatica. Si narra che un contadino sia accorso al Palazzo
Davalos per informare il suo Signore che alcuni miseri viandanti erano penetrati in uno dei terreni del marchese, coltivato a fave, ed avidamente si cibavano del fresco legume. Al che il Davalos (non sappiamo chi dell’illustre casato) rispose di “lasciar stare”, perché evidentemente essi erano molto affamati. Più tardi il contadino accorse di nuovo al palazzo, per riferire al suo Signore che gli stessi viandanti continuavano a mangiar fave ma senza le bucce. Il Davalos allora ordinò che fossero cacciati dal proprio terreno perché ormai erano sazi[31].

Collegati al culto di San Camillo de Lellis risultano interessanti sia un racconto popolare, assai noto a Bucchianico, che un miracolo contenuto negli atti del processo di beatificazione del Santo, pubblicati a Roma nel 1681[32]. Si narra che a Bucchianico, durante un periodo di carestia, la gente del luogo stremata dalla fame chiese aiuto a San Camillo, appena tornato da Roma. Il Santo invitò pertanto la popolazione (lu’ pòpele) a recarsi a mangiar fave in un terreno di sua proprietà che, a causa del gran numero delle persone accorse, fu in breve tempo devastato. Il mezzadro corse subito da “Padre Camillo” riferendo che le fave erano ormai finite e la gente, nel penetrare impetuosa nel podere, aveva devastato anche il recinto (la fratte) eretto con perizia dal mezzadro stesso. Al che San Camillo, preoccupato solo della gran fame dei nativi del luogo, disse al suo mezzadro: “Sai cosa devi fare? Il recinto sfascialo tutto!”. Nel processo di beatificazione di San Camillo, un teste, tal Geronimo Roncio di Bucchianico, dichiara quanto segue: “Nell’anno 1612, di marzo, io seminai nella vigna delli Padri di questa Terra… tre coppe in circa di queste fave… e perché nel mese di maggio seguente fu una gran carestia di grano, e li poveri di questo luogo pativano estremamente, occorse che il Padre Camillo venne qua, e vedendo tanta miseria e bisogno… diede a tutti licenzia, che andassero a mangiare le fave alla vigna delli suoi Padri a San Biaso. E perché molti di quelli erano molestati dal gabellotto per fargli pagare la pena per il danno che facevano alla detta vigna in cogliere le dette fave, il detto Padre Camillo, sapendo questo, mandò me a chiamare detto gabellotto… (al quale ordinò) che non molestasse i poveri che andavano a cogliere le dette fave…”. Il teste racconta poi che malgrado i poveri avessero mangiato tante fave, dal terreno si raccolsero 14 tomoli di fave secche, miracolo questo che da tutti fu attribuito a San Camillo.

Pan di fava e pan di frumento.

Nei periodi caratterizzati da abbondanza e migliori condizioni economiche, la fava assurge a simbolo di differenziazione sociale o di contrasto fra la popolazione del contado e quella di città.

Ce ne offre un esempio l’opera di G. C. Croce, dal titolo appunto Contrasto del pane di formento e quello di fava per la precedenza, pubblicata a Bologna nel 1617 per i tipi di Bartolomeo Cochi. Afferma infatti il pane di formento:

“Che sei venuto a fare in questo sito,

o pan di fava, ché fra i contadini

non vai, u’ sei amato e riverito?

Non ti vergogni a stare in ‘sti confini,

dove non sei gradito né prezzato,

come cibo contrario ai cittadini?

E però io ti torno a replicare
che tu torni di fuora tra i villani,
perché in luogo civil non sei da stare”[33].

Nel contrasto fra i due pani è adombrata, nota il Camporesi, “l’alterigia del cittadino nelle relazioni con il villano, resa ancor più acre e pungente dalla carestia che la città addebitava alla malizia delle genti
del contado; e l’entrata in città del pane di fava significava anche l’intrusione del contado e la dipendenza dell’economia cittadina dall’economia rurale: la degradazione del primato urbano vista e sentita attraverso l’impoverimento della tavola”[34]. Il mondo rurale ha rintuzzato tuttavia queste accuse in vari modi e soprattutto facendo ricorso alla paremiologia. Proverbi come farsi beffa delle fave, oppure – come scrive il Parabosco – il cielo manda le fave a chi non ha denti[35],  stanno a significare che “l’intrusione” del pan di fava in città è stata provvidenziale, perché nei periodi di carestia l’umile legume ha costituito un’ancora di salvezza per tutti i ceti sociali.

La fava nell’economia abruzzese.

La fava dunque, sia bollita per minestre che macinata per confezionare pani, ha rappresentato fino a tempi tutto sommato recenti non solo una grande risorsa per le “genti del contado”, ma anche un surrogato del frumento nei periodi di carestia, come appunto quella del 1764, a seguito della quale, scrive il Palma, “si propagò tra i nostri contadini l’uso di seminar il gran turco”[36] e la polenta di mais diventa così in Abruzzo – alquanto in ritardo rispetto ad altre regioni settentrionali – “l’alimento fondamentale e quasi esclusivo, che subentra a quello tradizionale assicurato in precedenza da altri cereali minori”[37], dato che la patata, dopo aver superato numerose diffidenze, si diffonderà in
Abruzzo a partire dal primo decennio dell’800, come dimostrano sia la statistica murattiana che un opuscolo a stampa del 1817 pubblicato a cura della “Reale Società Economica di Aquila”, di cui ci occuperemo prossimamente nella Rivista Abruzzese[38]. Tali diffidenze erano collegate non solo a difficoltà coltivatorie, dipendenti in collina e media montagna soprattutto dalla pioggia, ma scaturivano anche dalla diffusa convinzione che le fave possedessero proprietà nutritive eccellenti e superiori alle patate ed al granturco. Il consumo del mais, infatti, fenomeno osservato anche dal Goethe nel suo Italienische Reise, sarà accompagnato sottolinea E. Sereni [ivi, p. 233], “fin quasi ai tempi nostri da
quel terribile morbo quale è la pellagra”.

Non a caso osserva al riguardo il De Nino (siamo nel 1879): “Quando l’alimentazione delle nostre popolazioni era anche a base di fave, si aveva più salute e si campava di più. Ma a’ dì d’oggi, le fave sono pei carcerati! Sono per la povera gente”[39].

Ma se le fave costituivano uno degli alimenti base della “povera gente”, come precisa appunto il De Nino, a quanto ammontava in media la produzione annua di tale legume in Abruzzo? Una significativa indicazione ci viene offerta da Giuseppe Del Re nella prefazione ad un volumetto dal titolo “Calendario per l’anno bisestile 1820. Il IV del Regno di Ferdinando I”[40]. Nel redigere il quadro statistico della produzione agricola nelle Tre Provincia d’Abruzzo, il Del Re specifica [p. 133] che “alla stagione più o meno piovosa si raccolgono nei Tre Abruzzi: 280.000 tomola di fava; 24.000 tomola di ceci; 6.000 tomola di lenticchie; 50.000 tomola di fagiuoli”.

Si tratta di dati, dunque, che non reclamano alcun commento e confermano che le fave, in conseguenza del loro ampio uso nell’alimentazione quotidiana dei ceti rurali, occupavano il primo posto nella produzione dei legumi m Abruzzo. Premesso che la situazione non doveva essere, come riteniamo, diversa di molto nelle altre Province del regno di Napoli, ci sembra opportuno precisare che i dati riportati per l’Abruzzo daDel Re si riferiscono a varietà di fagioli diffusesi dopo la scoperta
dell’America, in quanto fino alla line del XV secolo “il vecchio mondo non aveva conosciuto che il fagiolo dell’occhio, del genere Dolichos”[41] .

La Costa di maggio e le ‘virtù’.

Il teste di Bucchianico ascoltato nel processo di beatificazione di San Camillo de Lellis riferisce, come si è visto, che nel mese di maggio del 1612 si verificò “una gran carestia di grano”, sicché il Santo diede ordine che i poveri del luogo si sfamassero con le fave seminate in un terreno vignato di proprietà dei Camilliani[42]. Anche se non esplicitamente chiarito nel verbale, il teste intendeva dire che erano finite le scorte di grano dell’anno precedente, al pari degli altri legumi, ed a causa delle forti gelate registratesi nella la primavera del 1612 i raccolti di verdure ed ortaggi andarono largamente distrutti.

Si trattava comunque di crisi cicliche causate dal gran freddo o dall’assenza di piogge nel periodo primaverile. Scrive per es. il Di Pietro che “se furono infauste a Solmona i rammentati anni 1647 e 1648, il seguente non fu men terribile; quasi nell’intiero Abruzzo soffrivasi un intiera, ed estrema carestia, onde il grano vendevasi fino a carlini trenta la coppa, ed in altri luoghi a maggior prezzo; i patimenti, che recarono siffatte penurie produssero in detta Città, e ne’convicini Paesi, una fierissima mortalità…”[43].

Le carestie esplodevano per lo più in tempo primaverile, rendendo drammatica l’esistenza dei contadini, un ceto sociale che cosi viene descritto dal Longano: “Generalmente i contadini sono fittuari annuali ed
è in arbitrio de’ proprietari di espellerli dà loro territorio… A molti manca la terra, o la sementa, o gli instromenti, o la salute, o lo stesso vitto”[44].

Al contadino, dunque, a questo “Erede” in senso Patiniano, si prospettava il problema dell’alimentazione nel primo periodo di maggio, caratterizzato dal quasi letale esaurimento delle scorte dell’annata agricola precedente e dall’assenza sui campi dei prodotti del nuovo ciclo coltivatorio. Questo periodo, angosciante, era tristemente noto nel mondo rurale come “costa di maggio”, il cui ricordo incute ancora oggi timore ai nostri vecchi per i numerosi decessi che causava.

Nel consultare il Liber Mortuorum conservato nella parrocchia di Collelongo, il Cianciusi riporta un elenco di persone morte in questa località della Marsica durante la carestia del 1764 ed i cui nominativi
sono preceduti dalla lugubre annotazione del parroco: fame interfectus, fame repente confecta ecc. Commenta l’A. al riguardo: “Morti di fame, sembra impossibile. E tutti alla costa di maggio!”[45].

Si trattava di una crisi ciclica determinata da una particolare condizione climatica che si manifesta tuttora nella fascia abruzzese-molisana ad aprile, un mese spesso assai freddo e caratterizzato anche a basse quote da abbondanti precipitazioni nevose e gelate. Tale situazione è riassunta da molti proverbi popolari abruzzesi, di cui riportiamo alcuni esempi in lingua: a) Chi non ha la legna d’aprile, fa una brutta fine; b) D’aprile, chi ebbe il fuoco campò, chi ebbe il pane morì. Essi sono sintetizzati efficacemente dal Longano allorché l’abate illuminista afferma che in Molise “Lo foco è in aprile più importante de lo pane”, mentre per l’area abruzzese il Fiordigigli sottolinea che il noto detto “Prima di Natale nè freddo, né fame; dopo Natale, freddo e fame” è scaturito dall’intenso freddo che si registra da sempre ad aprile nelle nostre contrade[46]. E proprio per salutare l’arrivo del primo mese caldo, era assai diffusa in Abruzzo l’usanza di cantare il maggio dietro le porte il primo del mese, atteso – come ci ricorda il Goethe nel famoso sonetto Komm, lieber Mai – con ansia e trepidazione[47].

Avviene dunque di frequente, fenomeno ancora oggi riscontrabile in Abruzzo, che a causa delle primavere assai fredde i legumi presentano un ritardo stagionale assai notevole per quanto concerne la loro maturazione e che comunque il primo di essi a fare la sua comparsa sui campi, anche perché più resistente alle intemperie, sia proprio l’umile fava, il primo dono della terra elargito agli uomini, un modo di manifestarsi della Provvidenza nella natura, donde la Benedictio fabarum novarum codificata nei rituali liturgici monastici e l’offerta di fave ai ceti più umili, particolarmente colpiti dalle carestie e costantemente minacciati dalla costa di maggio. Come ha notato efficacemente G. Di Menna, “se come si suol dire i fagioli sono la carne dei poveri, nelle colline abruzzesi le fave secche e fresche sono i legumi che salvano dalle carestie e dalla fame. Le stagioni propizie erano l’estate e l’autunno, in cui abbondavano la frutta e i raccolti, mentre decisamente infausti l’inverno e la primavera; ancora oggi nella tradizione orale contadina la costa di maggio – nel senso di difficoltà – è metafora di crisi alimentare, scarseggiando in questo mese le provviste e i prodotti dei campi”[48].

All’approssimarsi della costa di maggio ben poche manciate di granaglie e legumi giacevano infatti nel fondo dei sacchi afflosciati, immagine plastica di uno stato d’animo sull’orlo della disperazione. Per la
preparazione delle minestre costituenti l’unico pasto per la numerosa famiglia, venivano utilizzate necessariamente diverse qualità di legumi superstiti, bolliti e conditi con strutto. Granaglie e legumi, designati genericamente in Abruzzo granati e totemàje, venivano chiamati a Cittaducale e dintorni vertuti[49] e con il termine virtù sono sopravvissuti per indicare oggi un tipico piatto di legumi misti preparati per la ricorrenza del 1° maggio non solo nel Teramano ma anche in altre aree abruzzesi, soprattutto nella Valle dell’Aventino. Non mancano tuttavia testimonianze al riguardo in altre regioni meridionali[50].

Dell’antico e drammatico significato collegato al periodo di crisi della costa di maggio, le virtù hanno perso ogni traccia e soprattutto nel Teramano le allegre conviviali del 1° maggio, evidentemente non solo a base di legumi, acquistano il valore di aggregazione sociale e di celebrazione della Festa del Lavoro. Va segnalata una informazione del Prof. Italo Merlino, di Taranta Peligna, il quale ci ha riferito che in questo centro della Valle dell’Aventino le virtù, preparate dalle famiglie benestanti del luogo, venivano offerte ai poveri, a conferma della stessa usanza vigente a Torricella Peligna e di cui ci ha lasciato una precisa testimonianza il Finamore, con la differenza tuttavia che qui i legumi assumevano la designazione di granati.

Fave, Santi e Madonne

Non è un qualsiasi legume, dunque, che recita un ruolo importante nei racconti agiografici popolari, non i fagioli, le cicerchie, i ceci oppure le gustose lenticchie, per un piatto delle quali Esaù rinunciò al diritto di primogenitura, bensì è la fava, il legume benedetto dai Santi e dalla Madonna.

Il modello che predomina nei racconti popolari e nelle sacre leggende di cui sono protagonisti alcuni Santi che operano una fioritura precoce e perciò miracolosa delle fave, sembra scaturito nell’area abruzzese-molisana da un episodio registrato dal De Nino e relativo alla Madonna.

La Vergine, scrive il folklorista peligno, essendo inseguita dai Farisei, decide d’accordo con San Giuseppe di abbandonare le vie maestre, ormai insicure, e di fuggire per le campagne. Dopo aver maledetto un campo di lupini (“Non possiate mai saziare nessuno!”) perché secchi, rumorosi al passaggio della Sacra Famiglia e pertanto capaci di indicarne la direzione della fuga, la Madonna e San Giuseppe “entrarono in un campo dove si seminavano le fave. La Madonna benedisse il campo e andò via. I Farisei passarono vicino ai termini di quel campo, e domandarono ai contadini: – Fosse passata una donna col bambino e anche un vecchierello? – Risposero: – Ci son passati, sissignore. – E
quando? – Quando seminavamo queste fave. I Farisei, vedendo che le fave erano fiorite, tornarono indietro”[51]

Questa sacra leggenda si rinviene anche nella struttura narrativa di altri racconti popolari, di natura agiografica, relativi ad alcuni Santi.

San Domenico di Cocullo, narra uno di tali racconti, era inseguito dai cacciatori di un “paesello alpestre”, decisi ad ucciderlo. Nel fuggire egli passò per Prato Cardoso, località situata tra Cocullo e Villalago, mentre un contadino seminava nei pressi le fave. “Se chiedono di me – disse il santo monaco al contadino – rispondi che mi hai visto passare al momento della semina delle fave”. E così avvenne, ma il buon uomo non si era accorto, nell’informare i malvagi cacciatori, che le fave erano cresciute come per incanto”[52].

Significativo è anche l’intervento di alcuni santi in favore di contadini, sia se a costoro siano state rubate le fave (come nell’episodio registrato dalDe Nino in una non precisata località abruzzese)[53], sia se l’intervento stesso è finalizzato alla crescita delle fave fuori stagione.

Una contadina di Roccascalegna (Ch), sede di un antico santuario eretto a San Pancrazio[54], ci ha riferito la seguente leggenda. Un uomo di Roccascalegna doveva recarsi alla grande fiera del Primo Maggio che ha luogo a Casoli. Nel passare davanti al Santuario di San Pancrazio, egli incontrò un frate che gli consigliò di non andare alla fiera, ma di seminare le fave, perché grande era la penuria di cibo in quel momento.

Il pio contadino, pur restando meravigliato per il singolare consiglio, decise di non andare alla fiera e si recò invece a seminare le fave in un suo piccolo podere, ben consapevole che il legume era prossimo
alla maturazione, a giudicare almeno dai pochi campi in cui la semina aveva dato i suoi frutti.

La sua incredulità ebbe tuttavia breve durata, perché in pochi giorni le fave fiorirono e ad onore di quell’ umile frate che non era altro se non San Pancrazio, il quale in tal  modo assicurò la grascia per tutto l’anno alla famiglia del devoto contadino.

L’offerta devozionale delle fave

La sacralità conferisce alla fava anche un valore apotropaico, allorché il legume viene offerto e mangiato in particolari festività che cadenzano il ciclo dell’anno, come quelle di San Nicola di Bari (6 dicembre) e Sant’Antonio Abate (17 gennaio), con valenza simile a quella dei pani votivi.

Il rito della lessatura e distribuzione delle fave si svolge con particolare solennità a Pollutri nella ricorrenza di San Nicola ed ha costituito l’argomento di una delle più interessanti puntate televisive delle Storie del Silenzio, curate per l’emittente TVQ da Emiliano Giancristofaro. Allo stesso studioso si devono inoltre decisivi contribuii apparsi sull’argomento nella “Rivista Abruzzese”[55].

Un’area abruzzese caratterizzata dall’intenso culto per Sant’Antonio Abate è costituita com’è noto dalla Marsica. In occasione della ricorrenza del 17 gennaio a Luco dei Marsi viene distribuita una minestra di fave, consuetudine questa – come ci informa A. Melchiorre – che risale al 1652[56].

A Villavallelonga la cottura delle fave avviene nella vigilia della festa, cioè il 16 gennaio. I legumi (la favata) vengono fatti bollire come a Pollutri in grossi caldai di rame e distribuiti il giorno dopo
per devozione agli abitami del paese. In una nota inchiesta, E. Giancristofaro ha evidenziato come in questo centro della Marsica si confezionino caratteristiche corone di fave che, benedette in chiesa,
vengono poi infilate al collo dei bambini in chiara funzione protettiva. La corona di fave, che simboleggia “la crascia”, si conservava a Villavallelonga in casa per passarla – come ha dichiarato un contadino del luogo intervistato dal Giancristofaro – sulla mucca e sull’asino quando stavano male”, cioè quando tali animali “avevano il mal di pancia”[57]. L’usanza fa parte di un quadro comportamentale che potremmo definire codificato, per cui nelle società rurali ogni rituale preposto a propiziare salute e benessere delle persone si proietta anche verso gli animali che svolgono una funzione importante per l’economia del luogo.

Il ritorno dei Lémures

Vi sono – e non solo in Abruzzo – alcune costumanze, anche di carattere alimentare, che lasciano supporre come alcuni rituali chtonii o legati al culto dei morti nel mondo classico, non siano mai caduti in disuso e siano invece pervenuti fino a noi filtrati soprattutto dai mutamenti operati dal calendario liturgico chiesastico, i quali hanno proiettato al 2 novembre alcuni aspetti legati al culto dei Lémures nel mese di maggio.

Dal Dizionario etimologico dei termini dialettali di Atessa, redatto nel 1815 dal sacerdote Tommaso Bartoletti e per quanto ci risulta ancora allo stato di manoscritto, si apprende che in questa località vigeva l’usanza di “darsi la fava nel dì due novembre, giorno della Commemorazione dei defunti”[58].

In molte regioni si confezionano ancora oggi per tale ricorrenza dei tipici dolci chiamati Fave dei morti, mentre confetti a forma di fava, ottenuti con pasta di mandorla colorata, erano prodotti a Sulmona dalle aziende del settore ancora all’indomani del secondo conflitto mondiale.

Poiché sono ancora vive oggi nei nostri paesi, come ad Anversa degli Abruzzi ed a Raiano, le credenze relative al ritorno dei morti ed alla processione che, come si ritiene, i defunti svolgerebbero nella notte del 2 novembre, v’è da supporre che la coltura e la distribuzione delle fave come “cibo dei morti” fosse assai diffusa in tale ricorrenza, anche se al di fuori di alcune notizie contenute negli “Usi e Costumi Abruzzesi” del De Nino non ci sono state tramandate precise testimonianze al riguardo.

Certamente quest’ultimo aspetto merita di essere approfondito dagli studiosi in possesso di ulteriori notizie al riguardo, anche se esse non esauriscono la complessa tematica della sacralità del legume.

Non è stato analizzato per es. in tale sede l’uso delle fave (perché non altri legumi?) nelle deliberazioni comunali soprattutto nel periodo rinascimentale (fava nera per l’assenso e bianca per il dissenso) e che
trova la sua massima espressione nell’istituto della “Balia delle 6 fave”, mediante la quale la Signoria di Firenze aveva facoltà di prendere alcune decisioni con l’approvazione dei soli due terzi del Collegio, cioè 6 voti e dunque 6 fave. Inoltre alcuni documenti del XVIII secolo ci parlano dell’usanza, soprattutto da parte dei parroci dei piccoli paesi, di servirsi per il conteggio dei giorni e dei mesi di una zucca essiccata e riempita di tante fave quanti erano i giorni dell’anno e non di normali almanacchi o lunari, da essi considerati “opera del diavolo”, circostanza questa che era all’origine di clamorosi errori di calcolo e di cui parleremo in uno dei prossimi numeri della “Rivista Abruzzese”.

Ritornando ora alla sacralità delle fave nell’agiografia popolare abruzzese, va detto che seppure non esaustivi, le testimonianze ed i documenti analizzati ci permettono di affermare, nel concludere il nostro singolare argomento, che l’umile fava ha saputo riscattare la negatività cui il mondo classico l’aveva condannata, sottraendo alla morte per fame – per essere il primo legume stagionale – non pochi diseredati durante le carestie o quel terribile e ciclico periodo noto tristemente come costa di maggio. In tal modo la fava perde la sua naturale qualità di semplice legume per diventare, anche a livello sovrastrutturale, un dono della Provvidenza elargito agli uomini e benedetto da Santi e Madonne.


[1] B. russel, Storia della filosofia occidentale, vol. I, p. 60, Bologna 1971. Scrive la Chirassi che “il luogo di origine della coltivazione delle fave sembra essere stato il Nord Africa o la zona caspica…, nella varietà nota come vicia faba. Cfr. Ida
chirassi, Elementi di culture precereali nei miti e riti greci,p. 39, Roma 1968.

[2] R. beitl, Handwörterbuch der deutschen Volkskunde, s.v., Bohne, Stoccarda, 1974

[3] R. beitl., ivi.

[4] G. lydo, De Mensibus, IV. 41, a cura di F. Semi, Venezia 1965.

[5] I. CHIRASSI, ivi, p. 42.

[6] plutarco, Moralia, 635.

[7] G. LYDO, ivi.

[8] Cfr. G. mincione, Un antico rito magico nei Fasti di Ovidio. in “Ricerche e studi su Ovidio”, p. 75 sgg., Penne 1983.

[9] “Februm Sabini purgamentum et id in sacris nostris verbum”. Cfr. T. varrone, De lingua latina, a cura di F. Semi, VI, 13, Venezia 1965.

[10] A. pastorino, La religione romana, p. 86, Torino 1973.

[11] R. bloch, La religione romana, in “Storia delle Religioni”, a cura di Henri – Charles Pulch, vol. III, p. 187, Bari 1976.

[12] Fasti, II, vv. 553-554; traduzione a cura di F. Bernini, Bologna 1968.

[13] Fasti, V. vv. 491-92. Trad. a cura di F. Bernini, Bologna 1968. Secondo Plinio i numeri dispari “sono in tutto e per tutto più efficaci”. Cfr. Storia Naturale, XXVIII, 23, vol. IV, Ediz. Einaudi, Torino 1986.

[14] G. mincione, op. cit., p. 85.

[15] R. beitl, op. cit., s. v. Schvarz.

[16] I. chirassi, op. cit., p. 43.

[17] G. mincione, ivi,p. 93.

[18] plinio, Storia Naturale, XVIII, 53.

[19] I. chirassi, op. cit., p. 53.

[20] G. mincione, ivi. p. 83.

[21] I. chirassi, op. cit., p. 43 sgg.

[22] Storia Naturale, XVIII, 118.

[23] cicerone, De divinatione, II, 58, 119.

[24] M. montanari, Alimentazione e cultura nel medio evo, p. 83, Bari 1988.

[25] M. montanari, ivi, p. 83.

[26] Cfr. G. penco, Le “Consuetudines Fructuarienses” in “Monasteri in Alta Italia dopo le invasioni saracene e magiare (sec. X-XII)”, p. 139 sgg., Torino 1966.

[27] M. montanari, ivi, p. 83.

[28] M. MONTANARI, ivi, p. 85.

[29] Cfr. M. duby, Le origini dell’economia europea. Guerrieri e contadini nel Medioevo, p. 23 sgg., Bari 1975.

[30] N. machiavelli, Lettere, p. 212, Milano 1961.

[31] Sig. Paolo Del Casale, commerciante di Vasto, che in tale sede ringrazio vivamente. Tale aneddoto ci ricorda un altro episodio. Al porto di Vasto, Fra’ Serafino Razzi poté osservare che in un grande battello commerciale un gruppo di mozzi “sedendo a una bassa tavola, con silenzio mangiarono biscotto con fave col guscio in più piatti… e come la maggior parte di loro haveano i mestolini di legno per meglio raccorre dette fave…”. Cfr. S. razzi, Viaggi in Abruzzo, p. 241, L’Aquila 1968, a cura di B. Carderi.

[32] Cfr. G. DI Menna-S. Sulpizio, Le feste contadine. Eredità storica e continuità a Bucchianico, p. 68 sgg., Francavilla al Mare 1988.

[33] P. camporesi, Il Paese della fame, p. 192, Bologna 1985.

[34] P. camporesi, ivi, p. 192.

[35] G. parabosco, I diporti, V, 20, Venezia 1550; ristampa anastatica Venezia 1982.

[36] N. palma, Storia ecclesiastica e civile della Regione più settentrionale del Regno di Napoli ecc., oggi Città di Teramo e Diocesi aprutina, vol. III, p. 221, Teramo 1833. Nell’area peligna la coltivazione del granturco risale addirittura al primo decennio dell’800. Panfilo Serafini scriveva infatti nella nota Monografia di Sulmona apparsa nel 1853 ne “II Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato”, che “il grano turco si coltiva da un 40 anni a questa parte”. Cfr. anche G. coppola, Il mais in Lombardia, p. 146, Bologna 1979.

[37] E. sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, p. 231, Bari 1989.

[38] Va notato tuttavia che il giurista Pasquale Liberatore fin dal 1806 auspicava per la prov. di Chieti la coltivazione “de’ tartufi americani, detti volgarmente patate”, invece del granturco, che nel chietino, secondo l’A., aveva sostituito altri cereali da “70 anni”. A conti fatti, dunque, dagli anni 1736-1737. Si tratta senz’altro di una notizia sorprendente che non siamo stati in grado di verificare ed in forte contrasto con quanto affermato dal Palma e dal Serafini (cfr. nota 12). Cfr. P. liberatore, Pensieri civili, economici, sul miglioramento della Provincia di Chieti, ecc., vol I. p. 18, Napoli 1806.

[39] A. de nino, Usi abruzzesi, vol. I, p. 118. Firenze 1879.

[40] Stampato a Napoli nel 1820, con una cartina degli Abruzzi.

[41] E. sereni, ivi, p 230 sgg.

[42] Le vigne coltivate anche a fave rispondevano alla necessità di arricchire il terreno di azoto, contenuto nel legume.

[43] I. Di pietro, Memorie Istoriche della Città di Solmona, p. 347, Napoli 1804.

[44] F. longano, Viaggio per lo Contado del Molise, Napoli 1788, p. 60 della ristampa a cura di R. Lalli, Isernia 1980.

[45] W. cianciusi, Collelongo. Abruzzo Ulteriore II, p. 151, Teramo 1972, Per una diversa interpretazione dell’espressione costa di maggio, da ricollegarsi alle “giornate più lunghe” ed alla “maggior fatica annuale” cui era sottoposto all’inizio di maggio il mondo rurale per i lavori sui campi, cfr. E. giancristofaro, Totemajje. Viaggio nella
cultura popolare abruzzese,
p. 222. Lanciano 1978.

[46] G. fiordigigli, Dal Gran Sasso alla Maiella, p. 47, Teramo 1989.

[47] Cfr. A. de NINO, Usi Abruzzesi, vol. 1, op. cit., p. 171. E. giancri.stofaro, La Pagliaretta di Atessa, in “Rivista Abruzzese”, n. 4, 1989, p. 289 sgg.

[48] G. Di menna, Le abitudini alimentari alla fine del ‘500, in AA, VV., “Cucina d’Abruzzo. Appunti per una storia della cultura alimentare”, p. 14, Bucchianico 1995, Id., A. de cecco, Cultura alimentare tra Settecento e Ottocento nell’Abruzzo Collinare, p. 19 sgg. Alle carestie si aggiungevano spesso calamità naturali. Nel Teramano, nel maggio del 1547, le piogge continue e violente – scrive l’Antinori – travolsero tutti i mulini e non potendosi macinare, “si patì di pane molti giorni, ed alcuni ebbero necessità di ricorrere a minestre di fave fresche o secche…”, cfr. A. L. antinori, Annali d’Abruzzo, ed. anast., vol. XIX, p. 284, Bologna 1972. T. ashby ricorda che nella festa di San Domenico di Cocullo (1909) poche serpi potettero essere gettate sulla statua poiché nei primi giorni di maggio in paese e nei dintorni c’erano stati 30 cm. di neve.

[49] Cfr. M. javicoli, Tradizioni popolari abruzzesi. Cibi di rito, in “L’Abruzzo”, n. 2. 1929. A Torino di Sangro, ci informa il Priori, nove tipi di legumi e granaglie venivano cotti in un recipiente di coccio chiamato “la pignate de lu prime de magge”. Cfr. D. priori, Folklore abruzzese (Torino di Sangro), p. 101, Lanciano 1964. Questi tipici piatti composti da diversi legumi vengono preparati in Abruzzo anche in occasione della festa di S. Antonio Abate ed assumono la denominazione di granati o cecigranati con funzione apotropaica e propiziatoria.

[50] In molti centri del Cilento. “il primo maggio si cucina nelle famiglie legate alla tradizione la cuccia, costituita da ogni sorta di legumi e granaglie bollite, la quale viene distribuita anche ai poveri per assicurare un buon raccolto… Inoltre, si crede che questo cibo protegga dagli assalti dei moscerini d’estate… A Buonabitacolo la preparazione avviene per strada, davanti a un grosso fuoco, con grano e legumi raccolti in tutte le case e poi distribuita al paese, con la raccomandazione di mangiarne perché difendeva dai noiosi insetti. … A Casalbuono, quando è pronta la cuccia, si radunano i bambini in cerchio e la donna più anziana del vicinato, prima di distribuirla ai presenti, ne lancia qualche mestolo in aria, facendo un segno di croce”. Cfr. A. tortorella, A l’us andicu. Le tradizioni nel vallo di Diano, p. 211, Salerno 1982. L’autore ci informa che “la cuccia” si prepara in molti paesi della Calabria il 6 dicembre per la lesta di San Nicola di Bari.

[51] A. De NINO, Usi e costumi abruzzesi. vol. IV, p. 36 sgg., Firenze 1887. Sulla maledizione dei lupini vedasi anche G. Finamore, Quando Cristo andava per il mondo, in “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, vol. IV, p. 472, Palermo 1885. Queste leggende popolari del Finamore su Cristo, Apostoli e Santi sono state di recente ripubblicate a cura di M. C. Nicolai per i tipi dell’Ed. Polla, Cerchio 1992.

[52] Cfr. A. D’ANTONIO, Villalago, Storia, leggenda, usi, costumi, p. 139, Pescara 1976. G. CELIDONIO, Monistero di S. Pietro in lago, p. 6. Casalbordino 1910. Circa il “paesello alpestre” precisa il Celidonio (ivi) che “gli scrittori non lo nominano, ma era Castrovalva. i cui abitanti anche oggi si bollano col nomignolo di persèguitasanti”.

[53] Cfr. A. DE NINO, Tradizioni popolari abruzzesi. Scritti inediti e rari.  a cura di B. Mosca, vol. I, pp. 308-309. L’Aquila 1970.

[54] Sig.ra Cianci Maria, contadina, di anni 50. Di questa sacra leggenda e dell’esistenza di un Santuario dedicato a San Pancrazio siamo venuti a conoscenza dopo la pubblicazione del nostro lavoro dal titolo Il culto di S. Pancrazio a Carapelle, in “Homines de Carapellae. Storia e Archeologia della Baronia di Carapelle”, Bullettino DASP, Studi e Testi, n. 10, p. 125 sgg., L’Aquila 1988.

[55] Ricordiamo soprattutto, di E. GIANCRISTOFARO, Le tavolette devozionali, in “Rivista Abruzzese”, n. 2, 1991, p. 115 sgg., contenente una ricca bibliografia sull’argomento.

[56] Cfr. A. MELCHIORRE, Tradizioni popolari della Marsica, p. 6.5 sgg., Roma 1984.

[57] E. GIANCRISTOFARO, La Panarda in “Rivista Abruzzese”, n. 2, 1993, p. 125. Vedasi al riguardo anche A. DI NOLA, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, p. 187 sgg., ‘Torino 1976; L. palozzi, Storia di Villavallelonga, p. 211 sgg., Roma 1982.

[58] Cfr. E. GIANCRISTOFARO, Ancora  tracce del verde Giorgio in Abruzzo, in “Rivista Abruzzese”, n. 4, 1989, p. 292.




DOMANI SI VOTA

Dopo la Sardegna tocca all’Abruzzo. Si vota domani dalle 7 alle 23. Due sono i candidati: Marco Marsilio e Luciano D’Amico

Torrevecchia Teatina, 9 marzo 2024. Come si vota?  Munirsi di tessera elettorale e documento di riconoscimento. L’Ufficio elettorale del Comune è sempre aperto per eventuali smarrimenti. Recarsi presso il proprio seggio; vi sarà consegnata una sola scheda, di colore verde, con una matita copiativa.

Non è consentito il voto disgiunto, quindi l’elettore ha tre possibilità di voto:

  1. votare un candidato presidente, e il voto non si estende alle liste a esso collegate
  2. votare una lista, e il voto si estende anche al candidato presidente a essa collegato
  3. votare un candidato presidente e una delle liste collegate

Attenzione: la scheda verrà considerata nulla esprimendo un voto per un candidato presidente e uno per una lista diversa da quelle a lui collegate

L’elettore può esprimere uno o due voti di preferenza per i candidati consigliere di una sola lista prescelta, scrivendo il cognome o il nome e cognome in caso di omonimia.

Se si esprimono due voti di preferenza, è obbligatorio che siano di genere diverso: una donna e un uomo, o viceversa, purché della stessa lista. In caso contrario la seconda preferenza espressa è considerata nulla e resta valida solo la prima.

Espresso il voto, la scheda deve essere ripiegata correttamente e depositata nell’urna, insieme alla matita copiativa.




LE MOLESTIE SUL LAVORO

Sette donne su dieci le subiscono

Politicainsieme.com, 9 marzo 2024. La Fondazione Libellula ha condotto un’indagine (L.E.I. – Lavoro, Equità, Inclusione) su oltre 11 mila donne sulla violenza di genere e le discriminazioni registrate nei luoghi di lavoro in Italia dal quale emerge che circa 7 su 10 si sono dichiarate vittime di molestie.

Il 70% del campione ha dichiarato di aver ascoltato battute sessiste o volgari, e la cosa ha riguardato soprattutto le lavoratrici che non hanno un partner stabile o che lavorano nelle piccole aziende.

Il rapporto prosegue registrando che il 43% delle donne intervistate ha dichiarato di aver dovuto subire avance esplicite indesiderate, che il 27% ha segnalato richieste e comportamenti di natura sessuale non graditi o non sollecitati e il 40% ha subito contatti fisici indesiderati.




IL GRANDE BASKET FEMMINILE PROTAGONISTA

La Final Eight di Coppa Italia serie A2. Si comincia domani con i quarti di finale al PalaMaggetti

Roseto degli Abruzzi, 8 marzo 2024. Il grande basket femminile sbarca a Roseto degli Abruzzi in un fine settimana che sarà caratterizzato da sfide di altissimo livello.

Si è svolta ieri mattina nella Sala Consiliare del Municipio di Roseto degli Abruzzi la conferenza stampa di presentazione della HBS Group Final Eight di Coppa Italia Serie A2, manifestazione che si svolgerà al PalaMaggetti di Roseto degli Abruzzi dall’8 al 10 marzo e che metterà a confronto le otto migliori squadre del Campionato di Serie A2 al termine del girone di andata.

Ad intervenire sono stati il Sindaco Mario Nugnes, l’Assessore allo Sport Annalisa D’Elpidio, il Presidente della Lega Basket Femminile Massimo Protani, il Presidente del Comitato Regionale FIP Abruzzo Francesco Di Girolamo, Antonio Norante in rappresentanza della società organizzatrice Asd Roseto Eventi e Gianni Pallini per lo sponsor HBS Group.

“Ancora una volta sono qui a rimarcare l’orgoglio di guidare una città votata allo sport. Allo stesso tempo, eventi di questa portata rappresentano una grande responsabilità per un territorio che si è fatto trovare di nuovo pronto e speriamo che ospitare le Final Eight di Basket diventi una bella abitudine per Roseto – ha detto il Sindaco Mario Nugnes – Un obiettivo che si riesce a raggiungere solo mettendo assieme le migliori energie rappresentante in questa occasione dall’Amministrazione Comunale, dalla Lega Basket Femminile, dalla Fip Abruzzo, da Asd Roseto Eventi e dallo sponsor HBS Group che ha deciso di investire sul territorio. L’occasione è utile anche per sottolineare l’importanza della Cittadella dello Sport di Roseto, da poco intitolata all’ex Sindaco Giovanni Ragnoli, dove si colloca il PalaMaggetti, che sarà sede della Final Eight e che sarà finalmente ristrutturato grazie agli oltre due milioni di euro ottenuti dai Fondi Fsc a seguito del progetto presentato dalla nostra Amministrazione. A nome di tutta la città voglio ringraziare tutti coloro che hanno lavorato per portare l’ennesimo grande evento sportivo a Roseto e voglio citare anche le Panthers che saranno protagoniste del torneo e che rappresentano una società sana, lungimirante e capace di portare il nome della nostra città anche fuori dai confini regionali”.

“La nostra Amministrazione Comunale crede molto nel turismo sportivo e, fin dal nostro insediamento, abbiamo lavorato per portare in città grandi eventi capaci di attirare un gran numero di appassionati – ha aggiunto l’Assessore Annalisa D’Elpidio – Tra questi, figura, senza dubbio, la Final Eight di Coppa Italia A2 di Basket Femminile che rappresenta uno dei primi grandi eventi del cartellone delle manifestazioni 2024 di Roseto. Il nostro sostegno alle manifestazioni sportive si concretizza anche attraverso la concessione gratuita degli impianti. Invito tutti, appassionati e no, ad assistere alle partite che animeranno il PalaMaggetti in questo fine settimana e sono certa che assisteremo ad un grande spettacolo sportivo”.

Il Presidente della Lega Basket Femminile Massimo Protani: “La Final Eight di Coppa Italia di Serie A2 è da sempre una delle manifestazioni più divertenti e attese della stagione. Io reputo la Serie A2 il fulcro del movimento e negli ultimi anni il tasso tecnico è salito notevolmente, con partite di alto livello, oggi è un campionato che è massima espressione della pallacanestro. A fare da cornice all’aspetto puramente sportivo sarà una splendida città come Roseto, che da sempre vive la pallacanestro con grande passione e in maniera viscerale. Voglio ringraziare il Comune di Roseto degli Abruzzi per l’ospitalità, la Federazione Italiana Pallacanestro per il costante supporto, il Title Sponsor HBS Group e a Roseto Eventi per la preziosa collaborazione”.

Il Presidente del Comitato Regionale FIP Abruzzo Francesco Di Girolamo: “Per me è un motivo di grande soddisfazione ospitare otto società che giocheranno per vincere questa manifestazione molto importante. Sono molto legato al movimento femminile, per me è importantissimo e averlo nella mia regione vuol dire esser veramente contenti. Questa è la quarta edizione della Coppa Italia di Serie A2 che si svolge in Abruzzo, spero sia ancora più importante delle precedenti, in cui eravamo rappresentati ma non siamo riusciti a ottenere risultati. Il binomio col Comune di Roseto è indissolubile, siamo fortemente presenti sul territorio grazie al supporto dell’amministrazione comunale. Voglio ringraziare la Lega Basket Femminile e il suo Presidente Massimo Protani, che hanno voluto che l’evento si svolgesse qui, un ringraziamento anche a Roseto Eventi per l’organizzazione. Infine, voglio ringraziare lo sponsor HBS Group per quello che ha voluto fare per questa manifestazione, cercheremo di dare grosse soddisfazioni e rendere questo evento memorabile”.

L’Amministratore di HBS Group, Title Sponsor della Final Eight, Gianni Pallini: “Un ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile questa manifestazione. Abbiamo subito accolto questa proposta di sponsorizzazione perché ci piaceva esser presenti per un evento come la Coppa Italia di Serie A2, avendo anche personalmente dei trascorsi nel mondo del basket giocato. In HBS crediamo nella sostenibilità presente e futura, riteniamo che lo sport sia sostenibile per la vita perché si lavora di squadra. Siamo contenti di affiancare questa manifestazione e speriamo che vinca il migliore”.

L’intervento per Roseto Eventi di Antonio Norante: “Roseto degli Abruzzi è conosciuta per la pallacanestro, e per il torneo “Lido delle Rose”, uno dei più prestigiosi eventi giovanili in ambito internazionale. Il PalaMaggetti è uno dei maggiori strumenti di marketing territoriale per la città, e potrà diventare il motore di tante iniziative importanti per Roseto. Vorrei sottolineare l’impegno della famiglia Cimorosi per lo sport, che ha permesso di organizzare un evento di questo livello. Ringrazio HBS Group e tutti gli altri sponsor, che hanno dato il loro contributo, e tutte le persone che lavoreranno in questi tre giorni. Ci tengo a menzionare il ruolo fondamentale delle istituzioni sportive, dal Presidente FIP Petrucci al Comitato Regionale, che sono decisive per assegnare questi eventi a Comuni come Roseto degli Abruzzi”.

Tutte le partite verranno trasmesse in chiaro su LBF TV • FLIMA.TV (www.lbftv.it e www.flima.tv).

Di seguito il programma ufficiale delle gare:

Venerdì 8 marzo 2024

Quarti di Finale

QF 1 • W. APU Delser Crich Udine vs Logiman Broni – ore 14:30

QF 2 • Autosped BCC Derthona Basket vs Ecodem Alpo – ore 16:30

QF 3 • Polisportiva A. Galli San Giovanni Valdarno vs Halley Thunder Matelica – ore 18:30

QF 4 • Aran Cucine Panthers Roseto vs Techfind San Salvatore Selargius – ore 20:30

Sabato 9 Marzo 2024

Semifinali

SF 1 • Vincente QF 3 vs Vincente QF 1 – ore 17:00

SF 2 • Vincente QF 4 vs Vincente QF 2 – ore 19:15

Domenica 10 Marzo 2024

Finale

• Vincente SF 2 vs vincente SF 1 – ore 17:00

TICKETING

I biglietti sono disponibili in due modalità:

– Biglietti giornalieri a 10 euro

– Abbonamento (tutti e tre i giorni) a 20 euro

Ingresso gratuito per tutti i minori di 14 anni.

I biglietti saranno disponibili in prevendita c/o l’Hotel Liberty (Lungomare Roma 8, Roseto degli Abruzzi) e nelle giornate dell’evento presso la Biglietteria del PalaMaggetti (Piazza Olimpia, Roseto degli Abruzzi).




OLTRE 20MILA IMPRESE FEMMINILI

Attive nelle province di Chieti e L’Aquila

Chieti, 8 marzo 2024. Nelle province di Chieti e L’Aquila sono attive oltre 20mila imprese femminili. In particolare, nel Chietino le attività sono 12.563 e il peso sul totale delle imprese è pari al 28,3%, dato che colloca il territorio al terzo posto tra le province italiane, mentre nell’Aquilano sono 7.528 (24,7%, 25/ma posizione). Ad analizzare i dati, alla vigilia della Giornata Internazionale della Donna, è Confartigianato Chieti L’Aquila.

La provincia di Chieti, inoltre, è al primo posto in Italia per peso delle imprese femminili giovanili, in tutto 1.034 aziende, sul totale delle imprese giovanili. Dai dati emerge però che il Chietino si posiziona malissimo, al 105/mo posto, per quanto riguarda il peso delle imprese giovanili femminili sul totale delle imprese femminili. Nell’Aquilano le imprese giovanili femminili sono 772, pari al 10,3% del totale delle imprese femminili (55/ma posizione in Italia).

Le imprese femminili a conduzione straniera, invece, sono 1.153 nel Chietino, pari al 9,2% del totale delle imprese femminili, e 707 nell’Aquilano (9,4%). Le imprese femminili artigiane, infine, sono 1.740 in provincia di Chieti e 1.286 in provincia dell’Aquila. In Abruzzo le imprese femminili sono 38.035, pari al 25,6% del totale delle imprese, dato che colloca la regione al terzo posto in Italia. Oltre a quelle delle province di Chieti e L’Aquila, ve ne sono 9.152 nel Teramano e 8.792 nel Pescarese.

“Questi numeri – afferma la presidente del Movimento Donne Impresa di Confartigianato Chieti L’Aquila, Erika Liberati – confermano il ruolo rilevante svolto dalle imprese guidate da donne, che con passione e determinazione contribuiscono allo sviluppo e al progresso della nostra economia e del nostro territorio. Oltre ai dati provinciali, c’è quello regionale: l’Abruzzo è al primo posto in Italia per incidenza delle imprese femminili nell’artigianato; un’attività su cinque è a guida femminile. Le imprenditrici, però, devono fare i conti con la carenza di politiche a favore dell’occupazione femminile e con un welfare che non aiuta a conciliare il lavoro con la cura della famiglia. Da questo punto di vista serve una svolta. Basta con gli interventi-spot: il futuro del nostro Paese dipende anche da quanto e come investiremo, con misure strutturali e stabili”.




LE RICHIESTE DI FIAB

Elezioni Abruzzo 2024

Pescara, 8 Marzo 2024.  Come già fatto in occasione delle elezioni del 2019, anche quest’anno FIAB, Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta, ha consegnato ai candidati alla presidenza della Regione Abruzzo il proprio documento di “riflessioni e proposte in materia di mobilità ciclistica”.

Lo ha fatto nella persona di Giancarlo Odoardi, Coordinatore FIAB Abruzzo Molise che in questi giorni ha incontrato direttamente i due contendenti, Marco Marsilio e Luciano D’Amico.

La nota, firmata dai presidenti delle Associazioni locali, Francesco Mancini per Pescara, Gabriele Curci per L’Aquila, Gianni Di Francesco per Teramo e Antonio Cellitti per Sulmona, pone in evidenza un decalogo di richieste ad oggi ancora disattese, come anche di adempimenti futuri.

In particolare, il documento si sofferma su due questioni nodali: la istituzione di un assessorato e quindi di un servizio dedicati alla mobilità ciclistica (da non confondere con trasporti e turismo) come anche, e conseguentemente, la redazione del Piano Regionale della Mobilità Ciclistica, in attesa di vedere la luce dal 2013, come previsto da una Legge regionale 8/2013, e poi come anche risollecitato dalla Legge nazionale 2/2018.

Seguono poi altri punti che attengono alle azioni di sostegno alla mobilità ciclistica, dal sostegno formativo agli Enti Locali in materia di Mobility management a quelli strumentali di supporto infrastrutturale (come stalli ma anche il servizio di trasporto delle bici sui treni).

In ultimo si chiede di prendere una ferma posizione circa le presunte e prossime modifiche al codice della strada come quelle annunciate per la limitazione della diffusione delle zone e quindi delle città 30.

Il Piano Regionale diventa anche occasione di sintesi di quanto necessario e opportuno sottoporre al Ministero di riferimento perché questo a sua volta presenti alle Camere, entro il mese di giugno di ogni anno, il rendiconto delle attività svolte, come previsto dall’art. 11 della richiamata L. 2/2018 (Relazione annuale mobilità ciclistica).




A FAVORE DELLO SVILUPPO DEL BURUNDI

L’Associazione DA.PA.DU sempre più attiva nella progettazione

Prosegue l’attività dell’Associazione DA.PA.DU. Abruzzo ODV in Africa grazie alla generosità di privati, che hanno consentito di avviare due nuovi progetti di formazione in Burundi, un piccolo Stato tra i cinque paesi più poveri dell’Africa e tra i dieci paesi più poveri del mondo.

I progetti rientrano in un accordo sottoscritto tra il Ministero della Gioventù e dell’Istruzione burundese e l’Associazione DAPADU.

Il primo progetto concerne un corso di cucito ed è rivolto alle ragazze che hanno abbandonato gli studi per cause connesse all’estrema povertà in cui versano (molte di loro sono ragazze-madri a seguito delle violenze subite), affinché possano apprendere un mestiere ed essere inserite nel mondo del lavoro. Tale progetto è stato finanziato da Nadia e Jan, una coppia di giovani sposi, lei burundese e lui tedesco, che hanno donato la somma di denaro ricevuta al loro matrimonio per l’acquisto di quindici macchine da cucire, già allocate presso il Centro di Formazione costruito dal defunto don Enzo Chiarini (fondatore di DAPADU) a Bugurama, ad una cinquantina di chilometri da Bujumbura.

Il secondo progetto, denominato TUGENDE KW’ISHURE, che in italiano significa Andiamo a Scuola, è rivolto ai bambini più indigenti, di età compresa tra sei e dodici anni, le cui famiglie versano in condizione di estrema povertà tale da non potersi neanche permettere l’acquisto dell’equipaggiamento necessario per frequentare la scuola, consistente nella divisa scolastica, libri, quaderni, penne, ecc. In effetti, pur essendo gratuito l’accesso all’istruzione, è tuttavia obbligatorio che ogni bambino sia munito di tutto l’occorrente, pena l’esclusione dalla scuola.

In Burundi sono molti i bambini, soprattutto le bambine che non frequentano la scuola e vengono destinati ai lavori in agricoltura o badare ai fratellini più piccoli, se non addirittura all’accattonaggio, rimanendo ai margini della società. L’obiettivo è quello di poter reinserire i bambini nel sistema scolastico e portare a termine almeno il primo ciclo di studi. L’avvio del progetto, consistente nell’acquisto e nella distribuzione di libri e altro materiale scolastico è stato finanziato da una generosa famiglia aquilana, che è voluta rimanere nell’anonimato. In occasione della consegna del materiale scolastico, sono state distribuite presso le scuole interessate, le caramelle gentilmente offerte dalla ditta PERFETTI van Melle S.p.A. dello stabilimento di Castellalto (TE), stimolando la gioia e l’entusiasmo della popolazione infantile.

Siamo, infine, in attesa dell’esito del progetto “Una Opportunità Verso l’Autosufficienza Alimentare” candidato con il supporto del COPE a valere sul Bando 2023-2024 per Progetti di Utilità Sociale di Cooperazione Internazionale promosso dalla Fondazione Pescarabruzzo,




AREA DI RISULTA: dalle Associazioni a Radici in Comune

Pescara, 7 marzo 2024. Il potenziale di un bosco urbano da inserire nell’area di risulta a Pescara è enorme. Chi non lo vuole gioca sul nome, facendo credere che sarà il bosco buio e fitto delle favole, oppure gioca con i parcheggi, che dice spariranno, o gioca soltanto sull’ego, una mirabolante sede regionale che ai cittadini proprio non serve. Oppure dicono che non ci saranno i finanziamenti, che tutti sono legati alla sede della Regione. Altri tirano fuori i progetti sbagliati di privatizzazione che per fortuna non sono andati in porto.

Tutte le ragioni vanno bene per millantare della bontà dell’operazione “palazzo della regione”. Tutto, pur di non affrontare in una dialettica partecipata quello di cui ha veramente bisogno Pescara: aria pulita, permeabilità, frescura, vivibilità, attrattività e azioni per creare comunità.

Pescara ha uno dei più alti consumi di suolo, oltre il 51% del suo territorio (dati Ispra 2023), e si continua a consumare: rendere verde e permeabile tutta l’area rappresenterebbe quella pausa vitale alla cementificazione, per l’aria, per l’acqua, per il calore.

A Pescara si muore per il calore: solo nel 2017 c’è stato un aumento dell11% della mortalità per l’isola di calore, mentre la città è sempre più vulnerabile visto l’invecchiamento dei suoi cittadini, il centro di Pescara sta diventando sempre più anziano nel suo spaccato demografico (dati Istat).

La direttiva europea adottata nella Strategia Nazionale Biodiversità 2030 è legge,  e iniziare a piantare alberi ci permetterebbe di seguirla e di dare speranza verso un miglioramento di vivibiltà. Conti alla mano Pescara dovrà trovare spazi per piantare alberi per aree grandi 3 volte quella dell’area di risulta. Si dovrà decementificare il più possibile,  spazi da rubare al cemento attraverso tutta la città. La Direttiva è legge per permettere la sopravvivenza delle città, rispettandola si aumenterà in salute, in aspettativa di vita, e  cominciamo con quei 13 ettari di verde, dove parcheggi saranno flessibili e all’ombra, dove l’anfiteatro sarà verde, dove il mercato sarà vivibile, dove lo sport verrà fatto in una area di protezione dallo smog, a pieni polmoni.

Sono mai stati considerati questi fatti? No, nei discorsi di questa amministrazione nessun approfondimento è stato fatto sul bivio che la città si troverà ad affrontare, addirittura si è trovato modo da aggirare la valutazione di impatto ambientale, pur di non dovere ragionare con i dati.

La salute dei cittadini di Pescara è legata anche a quella area: un polmone verde, una area flessibile per le tante attività di cui ha estremo bisogno la comunità. Flessibilità è parola che guarda al futuro, che dà la direzione della visione da seguire. Altro cemento e traffico procurerà invece rigidità, perdita di possibilità.

Pescara con un parco centrale degno di questo nome diventerebbe un esempio di applicazione di tutte quelle linee guida delle quali si parla tanto, ma per le quali poco si agisce. Il cuore verde diventerebbe cerniera del sistema del Piano del Verde, attrattiva di vivibilità e comunità.

La scelta di costruire un palazzo della Regione nel centro congestionato della città è pertanto una scelta ideologica, senza nessuno approfondimento sui bisogni reali.

Nessuno studio sull’impatto del traffico, sulla CO2 emessa per il lungo cantiere, sull’ipoteca perenne di avere altri 20.000 mq di cemento, sul vincolo di una area di un ettaro che viene ceduta alla Regione.

È dal 1988 che le associazioni chiedono un parco nell’area. Il 29-10-2022 nel  grande evento “Un mare di verde per Pescara” tutti i relatori hanno parlato della necessità assoluta di restituire il parco negato in tanti anni: professori universitari, cittadini, architetti, esperti di ambiente, storici.

 I finanziamenti già disponibili, e non quelli legati al palazzo, a questo devono servire.

Il simbolo di Pescara deve consistere nello scegliere la vivibilità per i cittadini, e non una torre d’avorio per pochi.

È per cercare di ottenere questa vivibilità che siamo diventati Radici in Comune e lavoreremo nella coalizione con Carlo Costantini candidato Sindaco

Simona Barba  – Radici in Comune




PRIMA CONSULTA DELLE DONNE

Al via i lavori

Luco dei Marsi, 7 marzo 2024. Un clima di grande cordialità e forte partecipazione ha accompagnato l’insediamento della prima Consulta delle Donne del Comune di Luco dei Marsi, convocata in assemblea nel pomeriggio di martedì, 5 marzo, nella sala consiliare municipale. Una “prima” assoluta che arriva dopo il lungo stallo causato dalla pandemia, sopraggiunta a breve distanza dalla deliberazione istitutiva dell’Organismo da parte della Giunta guidata dalla sindaca Marivera De Rosa, al tempo al primo mandato, e dalla seguente approvazione, in Consiglio comunale, del relativo Regolamento.

La Consulta, che avrà funzioni consultive e operative, è un organo di partecipazione delle cittadine all’attività amministrativa dell’Ente comunale e nasce con gli obiettivi di promuovere iniziative volte a migliorare la partecipazione delle donne nel contesto socioeconomico e l’affermazione di pari opportunità in ogni ambito; valorizzare la presenza, la cultura e l’attività delle donne nella società e nelle istituzioni; promuovere interventi contro tutte le forme di esclusione e di violenza verso le donne e azioni volte alla salvaguardia della loro salute; valorizzare il ruolo politico delle donne nella società civile e la promozione della crescita socio-culturale del territorio attraverso azioni positive e continuative.

“É un Organismo che abbiamo fortemente voluto quale ideale luogo di confronto e mezzo di reale partecipazione delle donne alla vita sociale, culturale, politica, intesa quale attitudine alla cura della Città che si manifesta in concreto”, ha spiegato in apertura di assemblea la sindaca Marivera De Rosa. “Il mondo femminile, in grado di esprimere e rappresentare risorse straordinarie, è ancora oggi, purtroppo, come ci dicono dati, esperienza e cronache, soggetto a discriminazioni e soprusi di vario genere, ma le attività che la Consulta andrà a proporre saranno ovviamente rivolte a tutti, perché la formazione e il radicamento di una reale cultura del rispetto, della parità, come anche della partecipazione e dell’impegno sociale, non può che passare da un’azione massimamente inclusiva e che coinvolga la generalità, mirata a realizzare una società migliore per tutti”, ha sottolineato la Sindaca.

“Conforta e onora tanta partecipazione, oggi iniziamo questo percorso con il piacere di condividere obiettivi mirati al benessere dell’intera Comunità, con l’auspicio che la Consulta cresca sempre più e si consolidi. Sarà al centro del nostro 8 marzo, con tutti i temi che sono propri della Giornata internazionale della Donna, venerdì prossimo, nella Casa dell’Amicizia, dalle 18.30. Invito tutti a partecipare”, conclude la prima cittadina.

Le Rappresentanti della Consulta delle Donne: Maddalena Angelucci, presidente; Daniela Gargaro, vicepresidente; Edvige Erminia Di Giamberardino, segretaria. Comitato di coordinamento: Marina Buschi; Ilaria Chiarilli; Dora De Renzis; Elide Mosca; Florisia Raglione; Francesca Salvati; Pina Panella; Gisella Massaro, supplente; Silvia Marchi, supplente. Claudia Angelucci; Francesca Baliva; Cecilia Calvacchi; Elisabetta Calvacchi; Romina Colangelo; Ludovica D’Eramo; Iole Esposito; Franca Farina; Carmelina Galdi; Cecilia Ippoliti; Silvia Marchi; Berardina Massaro; Antonella Panella; Elisa Panella; Pina Panella; Olga Paris; Maria Clara Patierno; Michela Pulsinelli; Monica Santellocco; Tiziana Schiavone.

Componente onoraria, per la fattiva partecipazione alle iniziative socioculturali attuate dal Comune, la novantatreenne Anna Petra.




8 MARZO: SCIOPERO GENERALE

USB proclama, anche quest’anno, una giornata di sciopero generale, di tutte le categorie pubbliche e private, in risposta all’appello del Movimento transfemminista Non Una Di Meno.

Pescara, 7 marzo 2024. Come Organizzazione Sindacale abbiamo colto da subito la necessità di strappare una giornata simbolica come quella dell’8 marzo, alla retorica della ricorrenza rituale per ricollocarla nello spazio che le è proprio: la lotta.

Sono tanti i nessi strutturali che compongono la violenza contro le donne e di genere e se, sicuramente, il dato più drammatico è rappresentato dal numero crescente di stupri e femminicidi, non è possibile sottovalutare la violenza culturale, istituzionale ed economica.

Ed è proprio sulla violenza economica che come sindacato abbiamo maggiormente focalizzato la nostra attenzione e il nostro intervento in questi anni. In quella zona di stretta connessione tra un lavoro produttivo fatto di bassi salari, lavoro intermittente, precario, sfruttato, sottopagato e povero, e un lavoro di cura gratuito che pesa, per oltre il 75%, sulle donne.

In un Paese con il tasso di occupazione femminile tra i più bassi in Europa continuano ad essere migliaia e migliaia le donne (45 mila nel solo 2022) costrette a lasciare il lavoro per dedicarsi al lavoro di cura in assenza di un welfare universale, impedendo così alle donne quell’autonomia economica senza la quale ogni possibilità di fuoriuscita dalla violenza domestica diviene impossibile.

Il governo Meloni, nonostante la retorica della “donna e madre”, ha ulteriormente aggravato le disuguaglianze sociali intervenendo sulle pensioni, abolendo il reddito di cittadinanza, tagliando asili nido e fondi per i centri antiviolenza, chiudendo i consultori o riempiendoli di fanatismo ideologico attraverso gli attivisti “pro vita”.

Ma c’è un altro aspetto che ci riguarda molto da vicino nella nostra attività sindacale ed è il numero crescente di discriminazioni, molestie e ricatti contro le donne e di genere che avvengono quotidianamente nei posti di lavoro, pubblici e privati.

Dai ricatti nell’accesso e per il mantenimento del posto di lavoro al part time involontario; dal disconoscimento delle norme sulla maternità (congedi, allattamento) al ricatto di turnazioni che rendono inconciliabile la funzione genitoriale e di cura, fino alle molestie sessuali vere e proprie che, una volta portate allo scoperto, sfociano in vero e proprio mobbing ai danni di chi denuncia.

È per contrastare tutto ciò che, in un’ottica di genere, USB, in collaborazione con la ONLUS Rete Iside, sta aprendo sportelli in tutta Italia dedicati alle donne e alle persone LGBTQUIA+

Quest’anno lo sciopero generale non può non portare con sé un forte portato di solidarietà per il popolo palestinese vittima di genocidio da parte di Israele; la richiesta di un cessate il fuoco immediato e permanente e la liberazione della Palestina dall’occupazione sionista. E rinnovare la rivendicazione di uno stop all’invio di armi in Ucraina e di un ritiro immediato del nostro paese da ogni teatro di guerra.

USB LAVORO PRIVATO ABRUZZO E MOLISE ADERISCE ALLO SCIOPERO GENARALE PER L’INTERA GIORNATA DELL’8 MARZO SU TUTTI I TURNI LAVORATIVI (COMPRESI QUELLI CHE INIZIANO L’8 E TERMINANO IL 9 MARZO).

USB INVITA I LAVORATORI A PRESENZIARE AL SIT IN CHE SI TERRA’ DAVANTI ALLO STABILIMENTO EX SEVEL DALLE ORE 13,00 ALLE ORE 15,00 A SOSTEGNO DI FRANCESCA, LAVORATRICE E ATTIVISTA DELLO SLAI COBAS, LICENZIATA DA STELLANTIS EUROPE ATESSA.

Coordinamento USB LP Abruzzo e Molise




DI CORSA, VERSO LA PARITÀ DI GENERE!

Appuntamento domani, giovedì 7 marzo, alle ore 15:00, in Camera di commercio, a Pescara, per parlare di disparità di genere

Pescara, 6 marzo 2024. La Camera di commercio Chieti Pescara sceglie la campionessa Ivana di Martino per affrontare il tema della disparità tra uomini e donne. E lo fa il 7 marzo, anziché l’8, con l’obiettivo di rompere un altro stereotipo. Le differenze salariali, l’accesso alle opportunità professionali e l’uguaglianza tra uomini e donne sono temi che vanno affrontati nel quotidiano e non in un giorno solo.

Ivana Di Martino ha una storia lunga alle spalle, fatta di violenza, forza del perdono, resilienza e capacità di risollevarsi e correre. Correre oltre ogni ostacolo ed oltre ogni limite.

Atleta ultramaratoneta, nel 2013 ha portato a termine l’evento 21 volte donna, correndo 21 km ogni giorno per 21 giorni. Nel 2014 ha corso Running for kids partendo con una maratona, percorrendo 462 km totali in 21 giorni. Il 2015 è stato l’anno di ReXist Run, 700 km in 8 giorni, con una corsa media di 90 km al giorno. Nel 2016, ha corso da Milano a Bruxelles in 13 giorni, percorrendo 909 km e, nel 2017, ha stabilito il nuovo record di corsa non-stop correndo i 341 km del giro del Monte Bianco in 83 ore. Laureata in psicologia sociale, da diversi anni si occupa di coaching sportivo e aziendale e, da giugno 2017, è conduttrice con Silvio Lorenzi del programma Personal Best per Radio 24.

Nelle province di Chieti e Pescara, il tasso di mancata partecipazione al lavoro femminile è notevolmente più alto rispetto a quello maschile, con il 25,9% contro l’11,5% a Chieti e il 27,5% contro l’11,1% a Pescara. Inoltre, tra i giovani, il divario di genere nell’occupazione è ancora più marcato, con un tasso di partecipazione al lavoro femminile che arriva solo al 19,1% rispetto al 37,9% dei maschi a Chieti, e al 21,6% rispetto al 32,6% dei maschi a Pescara.

Nonostante questi dati, entrambe le province mostrano un interessante aumento delle imprese femminili nel tessuto produttivo. A fine 2023, nella Camera di commercio di Chieti-Pescara erano registrate 20.923 imprese femminili, il che rappresenta il 56,6% delle imprese femminili abruzzesi e il 26% delle imprese totali delle due province. La provincia di Chieti si distingue come la prima regionale per numero di imprese femminili, seguita da Teramo, Pescara e L’Aquila.

L’Abruzzo presenta una probabilità di sopravvivenza delle imprese femminili superiore alla media nazionale, attestandosi all’80,7%. Nonostante ciò, a cinque anni dalla loro nascita, la probabilità di sopravvivenza delle imprese femminili scende al 72%, indicando una maggiore fragilità rispetto alle imprese non femminili, anche se migliore rispetto alla media nazionale.

Le imprese femminili tendono ad essere più piccole, concentrandosi principalmente nella classe 0-9 addetti, soprattutto nelle province di Chieti e L’Aquila, dove le microimprese rappresentano più del 97% del totale. A causa delle loro dimensioni più ridotte, le imprese femminili mostrano un livello di produttività medio inferiore rispetto alle imprese non femminili, con valori più bassi sia a livello provinciale, regionale che nazionale. Questi dati evidenziano la necessità di supportare e promuovere l’imprenditoria femminile nelle province di Chieti e Pescara, al fine di migliorarne la sopravvivenza e la produttività.

La provincia di Chieti si conferma come un punto di riferimento per l’imprenditoria femminile, posizionandosi al terzo posto in Italia per il tasso di femminilizzazione delle imprese, con il 28,2% nel 2023. Questo dato, seppur in leggero calo rispetto all’anno precedente, evidenzia una forte presenza di donne nel tessuto imprenditoriale della provincia. D’altra parte, Pescara perde posizioni, passando dal 34º al 43º posto con un tasso del 23,4%.

Le ditte individuali costituiscono la forma giuridica più comune per le imprese femminili, rappresentando il 73,5% delle imprese attive nelle province di Chieti e Pescara. Tuttavia, si osserva un aumento delle società di capitali, mentre le società di persone e altre forme giuridiche registrano una diminuzione.

Nelle province di Chieti e Pescara, l’incidenza delle imprese femminili giovanili, ossia guidate da donne under 35, è del 7,1%, inferiore sia alla media regionale (7,2%) sia a quella nazionale (7,9%). Questo suggerisce una presenza relativamente più bassa di imprenditrici giovani rispetto ad altre parti d’Italia. L’analisi dei settori economici rivela che le donne sono attive in una vasta gamma di settori, con una particolare concentrazione nel settore agricolo e nel commercio.

(Fonte dati: Istituto G. Tagliacarne. In allegato il rapporto completo)




NEL POLVERONE MEDIATICO, MATTARELLA: DIFENDERE LA LIBERTÀ DI STAMPA

Politicainsieme.com, 6 marzo 2024. La politica, nella sostanziale indifferenza del Paese, è ancora una volta alle prese con la storia di un presunto dossieraggio. Non è una novità, anzi. La destra se ne sente colpita, anche se non sono solo suoi esponenti al centro di quella che sembra una ricerca di informazioni che li riguardano. C’è un po’ di tutto, in effetti: anche personaggi del mondo mediatico di oggi, uomini del calcio e di società calcistiche. Quindi, è necessario fare luce.

Il polverone mediato è alto. Tutti i famosi garantisti hanno già concluso tutto il processo. E, ovviamente, si ignorano volutamente le regole tese a far scattare verifiche da parte della Banca d’Italia che è tenuta a segnalare eventuali situazioni strane, così come il fatto che è del tutto normale lo svolgimento di approfondimenti da parte delle Forze dell’ordine che leggono i giornali e gli organi d’informazione.

È intervenuta persino Giorgia Meloni per parlare di gravissime violazioni, anche se per ora ci sono solamente dei fascicoli appena aperti dalla magistratura che ci dirà come stanno davvero le cose. Le opinioni sono molto dicordi. Quelli oggetto di interesse, e i loro amici di partito, si stracciano le vesti. I giornalisti coinvolti sostengono che è un clamore del tutto inutile perché loro sarebbero entrati in possesso solo di documentazione già disponibile negli atti ufficiali di inchieste giudiziarie in corso da tempo.

Il tutto è nato da un esposto presentato dal Ministro Crosetto che, in effetti, addirittura prima di cominciare a mettersi a capo della Difesa preannunciò da veggente l’arrivo dei dossier. La sua denuncia partì non appena venne sollevata la questione di un suo presunto conflitto d’interesse per essere lui stato mandato a fare il ministro senza soluzione di continuità con l’attività svolta proprio in campo di armamenti. Poi seguì una sua intervista al Corriere della sera e pure noi ci chiedemmo perché sembrava egli mettere le mani avanti con la magistratura.

Ci sono vari detti popolari che vengono a mente in questi giorni di accese polemiche tra politici, stampa e magistrati. Tra cui “male non fare, paura non avere” che risale a tempi antichissimi: San Paolo, Cicerone, Manzoni. Poi ce n’è uno cinese: “quando torni a casa batti tua moglie. tu non sai perché, ma lei sì”. E questo sembra quello reciprocamente adottato dai giornalisti contro i politici e da questi contro gli avversari  e i magistrati e i giornalisti.

Giorgia Meloni ha detto che non si tratta di parlare di libertà di stampa. Ma, in realtà, il sottotraccia di tanti interventi di queste ore, e comunque non sono mai mancati nel passato dello stesso tenore potrebbero far pensare che proprio a quello si punta.

E, allora, è stato un bene che Sergio Mattarella, incontrando dei giornalisti, si sia speso dicendo che la “libertà di stampa è fondamentale per la nostra democrazia, come per qualunque democrazia. Che vede nella nostra Costituzione una tutela netta, chiara, indiscutibile, a fronte della quale vi è una assunzione di responsabilità da parte dei giornalisti: la lealtà, l’indipendenza dell’informazione, la libertà di critica, nel rispetto della personalità altrui, il rispetto dei fatti”.

Ecco, la famosa verità di cui tutti parlano consiste per i giornalisti solo nel racconto dei fatti. Nel rispetto della legge, e nell’assunzione della responsabilità di cui ha parlato Sergio Mattarella, essi fanno bene a pubblicare tutto ciò di cui vengono in possesso. Chi non ha paura, perché male non ha fatto, gliene è grato perché niente e nessuno può preferire la censura alla conoscenza. Se violazioni ci sono state, saranno valutate. Ma questo vale per i politici che, di solito, godono per i dossier in circolazione quando riguardano gli altri e strillano per quelli che li chiama in causa. Mentre si fa di tutto per non entrare nel merito di eventuali rivelazioni imbarazzanti…




AL PRESIDENTE DE il Centro Spa

Dr. Pierluigi Balietti

Ai colleghi

Al direttore Piero Anchino

Pescara, lì 5 marzo

L’assemblea dei giornalisti del quotidiano il Centro, riunita nella sede di Pescara e in collegamento con la redazione dell’Aquila, ha preso atto del silenzio della dirigenza aziendale alle richieste e alle sollecitazioni contenute nel documento del Cdr del 26 febbraio scorso. Un silenzio che alimenta il clima di disagio che si vive da settimane. L’assemblea si vede costretta a proclamare una seconda giornata di sciopero, con effetto immediato, per oggi, martedì 5 marzo. Il giornale non sarà in edicola domani 6 marzo e il sito non verrà aggiornato. Di questo ce ne scusiamo con i lettori e con gli edicolanti da sempre al nostro fianco.

L’assemblea torna a ribadire l’immediata necessità di rimpiazzare o rinnovare i contratti a termine (scaduti a fine gennaio) di due colleghi. I mancati rinnovi, frutto di una scomposta reazione aziendale in un momento di forte tensione sindacale, stanno comportando uno sforzo senza precedenti (nell’imminenza di un importante appuntamento elettorale per l’Abruzzo), in una redazione già fortemente rimaneggiata negli anni, e rischiano di provocare un impoverimento del prodotto. Oltre a ribadire la sfiducia al direttore,  votata un mese fa,l’assemblea torna ad auspicare un immediato confronto con i due azionisti di riferimento del Centro spa che in questi anni, al pari della redazione, si sono fatti carico di enormi sacrifici per garantire la tenuta del principale giornale abruzzese. È indispensabile la ripresa di un confronto franco ma sereno, anche per affrontare le sfide future, a partire dal rilancio del web e per lo sviluppo della multimedialità dell’informazione. La stessa redazione deve però poter essere messa nelle adeguate condizioni per affrontare queste sfide.

L’assemblea dei giornalisti del quotidiano il Centro all’unanimità dei presenti




QUANTI MULTIDIMENSIONALI

Per l’Internet del futuro

L’Aquila, 5 marzo 2024. Presso l’Università degli studi dell’Aquila è stata condotta la prima dimostrazione di comunicazione quantistica con stati multidimensionali su speciali fibre ottiche di ultima generazione, note come fibre multicore. Il risultato – frutto della collaborazione tra l’Università dell’Aquila, l’Università di Firenze, l’Università tecnica della Danimarca, l’Istituto nazionale di ottica del Cnr e l’azienda italiana QTI – Quantum Telecommunications Italy – è stato ottenuto nel laboratorio di ottica e fotonica di Incipict, infrastruttura aquilana che costituisce l’unico asset mondiale di fibre di questo genere in ambiente urbano. Lo studio è pubblicato su Nature Communications.

Il laboratorio di ottica e fotonica INCIPICT, ospitato dall’Università dell’Aquila nel centro storico della città, a Palazzo Camponeschi, sede del rettorato, è stato il teatro di una scoperta compiuta da un gruppo di ricercatori di varie università italiane e straniere, destinata ad avere ricadute molto importanti nell’ambito delle sperimentazioni che si stanno facendo a livello internazionale per migliorare la sicurezza dell’internet quantistico.

L’Internet quantistico è una prospettiva rivoluzionaria nell’ambito delle telecomunicazioni: sfruttando la leggi della meccanica quantistica, garantisce la totale sicurezza ed efficienza nello scambio di informazioni. Tuttavia, le sfide tecniche e di scalabilità rendono l’implementazione su larga scala ancora un obiettivo da raggiungere.

Grazie al protocollo di Quantum Key Distribution (QKD), l’Internet quantistico garantisce la totale sicurezza nella trasmissione di dati, ed è visto con estremo interesse da un numero sempre maggiore di aziende. Per potersi affermare, però, deve migliorare la velocità di generazione delle chiavi crittografiche, attualmente inferiore rispetto a quella offerta dai sistemi di telecomunicazione tradizionali, soprattutto in fibra ottica.

In questo quadro si colloca la scoperta dal gruppo composto da studiosi dell’Università di Firenze, dell’Università dell’Aquila, dell’Istituto nazionale di ottica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ino), dell’Università tecnica della Danimarca (DTU) e dell’azienda italiana QTI – Quantum Telecommunications Italy, oggetto di una pubblicazione sulla  rivista Nature Communications, dal titolo Practical high-dimensional quantum key distribution protocol over deployed multicore fiber.

Il gruppo, operante nel laboratorio di ottica e fotonica INCIPICT presso l’Università dell’Aquila, ha messo a punto un metodo di comunicazione quantistica in grado di raddoppiare la velocità di generazione di chiavi crittografiche. La dimostrazione è stata resa possibile da stati multidimensionali presenti su speciali fibre ottiche di ultima generazione, note come fibre multicore, installate all’Aquila.

L’esperimento è stato realizzato grazie alla speciale infrastruttura realizzata a L’Aquila nell’ambito del progetto INCIPICT durante i lavori di ricostruzione successivi al terremoto del 2009.

La ricostruzione ha trasformato la città in una piattaforma aperta alla sperimentazione di nuove tecnologie, e in questo contesto è stato possibile istallare per la prima volta al mondo speciali fibre ottiche di ultima generazione, note come fibre multicore, realizzando una infrastruttura unica nel suo genere.

“Una fibra ottica multicore può ospitare più nuclei ottici con caratteristiche estremamente simili all’interno dello stesso mantello, il che riduce l’effetto delle perturbazioni esterne rispetto al caso in cui si utilizzino altrettante fibre ottiche tradizionali. Questo la rende il candidato ideale per la trasmissione di stati quantistici multidimensionali” dichiara il professor Cristian Antonelli, docente di Campi elettromagnetici al dipartimento di Scienze Fisiche e Chimiche dell’Università dell’Aquila.

La ricerca mostra come questo nuovo metodo di generazione delle chiavi basato su stati quantistici multidimensionali – combinato ad una infrastruttura unica al mondo come quella aquilana – abbia consentito di migliorare la velocità di generazione di chiavi. Il tasso finale di trasmissione di chiave sicura è di 51.5 kbps su un canale di 52 km di lunghezza; un valore due volte maggiore rispetto a quello che si può ottenere nella stessa infrastruttura con un sistema tradizionale basato su qubit.

“La possibilità di incrementare il tasso di generazione di chiavi crittografiche ci permetterà di allargare la platea di utenti commerciali in grado di fruire di questa tecnologia” illustra Tommaso Occhipinti, CEO di QTI, la prima azienda italiana di Quantum Key Distribution e partecipata da Telsy S.p.A, centro di competenza per la crittografia e la cybersicurezza del Gruppo TIM.

“Attualmente – spiega Davide Bacco, docente di Fisica della materia dell’Università di Firenze – i sistemi commerciali di QKD hanno una velocità di generazione di chiavi dell’ordine di poche migliaia di bit al secondo. Questo limita non solo l’utilizzo da parte degli utenti, ma anche la nascita di nuove possibili applicazioni legate a questa tecnologia. Potremmo paragonarli ai vecchi modem 56k, dove la navigazione internet era lenta e a volte snervante”.

“Le attuali implementazioni della QKD, sia in ambito di ricerca che industriale, utilizzano come mezzo di informazione i qubit, il corrispettivo quantistico dei bit classici, che nonostante le proprietà quantistiche possono essere mappati solo in due valori: il bit 0 o il bit 1. Al contrario – prosegue Bacco – gli stati quantistici multidimensionali possono assumere valori in un intervallo molto più ampio, così da poter aumentare l’efficienza di creazione delle chiavi”.

“È come passare da una visualizzazione in bianco e nero ad una a colori”, afferma Alessandro Zavatta, primo ricercatore del Cnr-Ino. “La generazione, trasmissione e misura di questi stati multidimensionali non è ancora del tutto definita e presenta ancora delle sfide tecnologiche da risolvere”.




LE LUCI DELLA TORRE EIFFEL E IL BUIO DELL’EUROPA

La Francia ha deciso di rendere costituzionale il diritto all’aborto

Politicainsieme.com, 5 marzo 2024. La Francia, “figlia prediletta della Chiesa”, come amava definirsi in altri tempi, ha, dunque, deciso, a larghissima maggioranza dei suoi parlamentari, e pare assecondando un’ altrettanto ampio sentimento popolare, di rendere “costituzionale” il diritto all’aborto. Lo ha fatto senza il pudore che, in ogni caso, richiederebbe una determinazione che tocca così da vicino il significato profondo della vita, le ragioni più intime del nostro dirci umani. Non ha rinunciato, ossessionata dal fantasma della “grandeur”, a cogliere anche questa occasione per dare sfoggio a quel tanto di “sciovinismo” che non manca mai in fondo al cuore dei cugini d’oltralpe.

Su queste pagine abbiamo già anticipato, ieri l’altro, il nostro giudizio e, per ora, nel merito non vogliamo aggiungere altro. Se non registrare che le luci sfolgoranti accese sulla Torre Eiffel, la “festa” accuratamente preparata per l’ occasione, feriscono l’Europa, soprattutto a pochi mesi da una consultazione elettorale che coinvolge tutti i popoli del vecchio continente. Del resto, l’ insaziabile protagonismo di Macron va di pari passo con un europeismo incerto, che, in ultima analisi, immagina l’Europa come proiezione del primato e del protagonismo francese.

Resta fermo un punto: garantire il diritto all’ aborto nella legge fondamentale dello Stato significa mettere in campo una scelta di ordine culturale ed antropologico che, di fatto, contraddice quel comune sentimento del valore umano che, pur nella varietà delle fedi e delle culture, rappresenta un inalienabile tratto distintivo, senza il quale l’Europa smarrirebbe sé stessa.




LE OPERE DI RIPULITURA

Volontari all’opera presso l parco del Castello e chiesa di Santa Maria al Presepe

L’Aquila, 5 marzo 2024. Anche quest’anno, in occasione delle festività pasquali, l’Amministrazione separata degli usi civici di Paganica e San Gregorio (Asbuc), si è rimboccata le maniche per la campagna di ripulitura e manutenzione degli spazi verdi e pubblici del paese. 

Primo step il 24 e 25 febbraio, con il parco del Castello e chiesa di Santa Maria al Presepe, che dal terremoto del 2009 è stata abbandonata a sé stessa, a tal punto che la vegetazione era arrivata ad invadere la strada, impedendo il traffico a camion e betoniere impegnate nella ricostruzione del rione Colle di Paganica.

Commenta il presidente Asbuc, Fernando Galletti: “Vogliamo innanzitutto ringraziare tutte le associazioni e i numerosi volontari che sono intervenuti in questi due giorni di iniziativa ecologica. Nonostante la nutrita partecipazione, ci teniamo a precisare che è stata bonificata solo la metà dell’area. E per quanto riguarda la rimozione delle sterpaglie lasciate lungo il muro della salita di via delle Prigioni, abbiamo fatto richiesta all’Ufficio Ambiente del Comune di L’Aquila, nella persona dell’assessore Fabrizio Taranta, per ricevere un mezzo meccanico, il cosiddetto ragno, per completare l’opera di smaltimento”.

Aggiunge Galletti: “nonostante il successo della suddetta iniziativa, ricordiamo a tutti che c’è sempre molto da fare per la cura del nostro paese, a partire dalla pulizia dell’alveo del fiume Raiale, su cui interveniamo almeno due volte l’anno, in occasione di Pasqua e del Ferragosto, dalla manutenzione del sentiero della Madonna d’Appari, per arrivare alla pulizia, quasi quotidiana, della Villa civica, e alla cura dell’area di sosta in località Puntignone e dell’area verde in prossimità della fonte del rione di S. Antonio”.

Infine, l’ammonimento: “certo delle capacità della nostra comunità e convinto che abbiamo potenzialità da vendere e che fanno invidia a tutti, ringrazio nuovamente tutti i partecipanti, e non vado oltre, altrimenti qualcuno penserà che approfittiamo dei ringraziamenti per fare campagna elettorale, ma ricordo a tutti che la mia campagna elettorale è iniziata 20 anni fa ed è sotto gli occhi di tutti”.