SUPER SIECO!

Tre punti d’oro contro Prata di Pordenone

Ortona, 11 febbraio 2024. Ma che Sieco! Ortona batte la quinta forza del campionato e mette in tasca tre punti molto importanti per il rush-finale di questo Campionato Nazionale di Serie A2. Una prestazione agli antipodi rispetto a quella di domenica scorsa contro Ravenna dove tutto il collettivo è riuscito ad esprimersi ad alti livelli.

Dalle prime battute dell’incontro sembrava di assistere al solito copione con la Sieco che macina gioco e gli avversari che invece fanno punti. Poi nel finale, il colpo di scena. Prata ha ben quattro punti set ma Lapkov e Patriarca li annullano praticamente in solitaria. Ortona piazza un parziale di cinque a zero e si prende il primo set ai vantaggi. La rimonta galvanizza gli abruzzesi e taglia di netto le gambe agli avversari che perdono lucidità e lasciano ai padroni di casa anche il secondo set. A posteriori si rivela giusta la scelta di coach Boninfante che al rientro per il terzo set, stravolge la rosa in campo.

Le forze fresche, però, compiono egregiamente il loro lavoro. Il servizio si fa più ficcante e la Sieco accusa il colpo. Insidioso anche il muro di Prata che stoppa più volte Lapkov infilandone anche tre di quelli che si possono classificare come “Monster Block”. L’opposto di Ortona, però non si abbatte, anzi abbatte. Archiviato il terzo set, nel quale Ortona non è pervenuta, il quarto set è tornato ad essere quella girandola di emozioni del primo parziale. Al pronti via, è Prata a far male e a scavare un discreto solco tra sé i padroni di casa.  Ancora una volta sono Patriarca e Lapkov a suonare la carica e la squadra risponde in coro. Prata torna a sentire la tensione, aumentano gli errori individuali e Ortona ringrazia e si aggiudica tre punti che fanno bene alla classifica, ma soprattutto al morale.

IN BREVE

Parte meglio Prata nel primo set, che fa valere una difesa ed un muro di alto livello. Sul 4-8 Coach Lanci chiama subito tempo per cercare di riordinare le idee. Prata però continua la marcia gestendo bene il vantaggio. Ortona comincia a carburare e tiene il passo degli avversari.  Scatto della Sieco sul finale di set che torna a farsi vedere negli specchietti retrovisori del Prata 19-21. Entusiasmante rimonta impavida  che sul finale di set trova un buon servizio di Lapkov che combinato ad uno scatenato Patriarca a muro vale una clamorosa vittoria di primo set.

Continua la lotta anche nel secondo set. La Sieco trova un punto break e infiamma il palazzetto. La Sieco continua a giocare bene. Lapkov is on fire e regala un generoso vantaggio ai suoi. Ortona ha cinque punti da gestire sul 15-10. La Tinet sente la pressione e due attacchi finiscono fuori. Gli impavidi aumentano il vantaggio sul 21-14. La Sieco può gestire un ampio vantaggio per conquistare il secondo set ed il primo punto in palio.

Equilibrato avvio di terzo set con Coach Boninfante che prova una girandola di cambi per ribaltare la situazione. Ortona però continua a battere meglio. È il turno di Prata ad alzare la voce dai nove metri, Baldazzi pianta due ace nel campo di Ortona e porta avanti i suoi 7-8. Prata tiene duro e resta e dapprima resta attaccata agli Impavidi e poi trova il guizzo che vale lo 0-5 scavando un discreto solco. La Sieco è disconnessa e ora Prata è padrona del gioco. Gli ospiti viaggiano spediti verso la vittoria di un parziale che riaprirebbe i giochi. Prata continua spedita la sua marcia, Ortona si siede a guardare la Tinet conquistare il terzo parziale.

Quarto Set che si avvia sulla falsariga del precedente. Prata serve forte e Ortona va in difficoltà. Il muro degli ospiti sporca ogni attacco e facilita la ricostruzione. La Sieco però non molla e riduce lo svantaggio fino al 9-10. Il parziale è equilibratissimo quando si arriva sul 15-15. Il parziale diventa un’altalena e alla fine, è la Sieco a mantenere i nervi saldi per conquistare dapprima un importantissimo punto break e poi l’allungo finale.

PRIMO SET

Per la terza gara consecutiva Coach Nunzio Lanci dovrà fare a meno dell’esperto Leonel Marshall e così, la Sieco si schiera con Dimitrov palleggiatore e Lapkov opposto. Centrali sono Fabi e Patriarca con schiacciatori Capitan Bertoli e Del Vecchio. Libero Benedicenti.

Ospiti che rispondono con Alberini al palleggio, Lucconi in diagonale, Petras e Terpin in banda, Katalan e Scopelliti al centro, De Angelis nel ruolo di libero.

Il primo servizio è per gli ospiti con Petras. Prata ricostruisce e fa il primo punto 0-1. Katalan ferma Lapkov 0-2. Lapkov conquista il servizio 1-2. Prima un muro di Fabi, poi Lapkov portano la Sieco al pareggio 4-4. Fuori l’attacco di Del Vecchio 4-6. Lucconi trova un buon muro 4-8. Sulla rete il servizio di Fabi 5-9. Patriarca a muro 6-10. Lucconi tira forte 8-13. Mani-Fuori a favore di Lapkov 12-15. Del Vecchio 14-17. Muro di Bertoli 16-19. Tap-In vincente di Terpin 16-21. Primo tempo di Fabi 17-21. Lapkov rosicchia un punto 18-21. Ace di Bertoli 19-21. Scopelliti stoppa Lapkov 20-24. Pallonetto di Patriarca 21-24. Ace di Lapkov 22-24. Ancora Lapkov mette in difficoltà la ricezione di Prata e Patriarca fa Tap-In 23-24. Muro di Patriarca 24-24. Muro di Del Vecchio 25-24. Lapkov ci prova ma il servizio va fuori 25-25. Fuori anche il servizio di Baldazzi 26-25.

SECONDO SET

Bertoli in pipe 2-1. Potente il servizio di Lapkov, ma la palla è fuori di poco 4-4. Fuori l’attacco di Terpin 6-4. Bertoli cerca e trova le mani esterne del muro 7-5. Dimitrov serve bene ed è semplice per Lapkov il tap-in 9-6. Primo tempo finalizzato da Fabi 10-7. Lapkov ne tira una delle sue e il muro fa schizzare fuori la palla 12-7. Del Vecchio gira il colpo e va in parallela per il 14-8. Patriarca attacca fuori, 15-12. Parallela micidiale di Lapkov 16-13. Bertoli a Segno 17-13. Terpin attacca lungo 18-13. Fuori anche l’attacco di Baldazzi 19-13. Bertoli segna il 20-14 e costringe gli ospiti a chiamare tempo. Invasione di Petras 21-14. Ace di Dimitrov 22-14. Out il servizio di Scopelliti 23-15. Out anche il servizio di Alberini 24-17. Fabi manda ancora in confusione la ricezione degli ospiti e stavolta ci pensa Del Vecchio al Tap-In vincente 25-17.

TERZO SET

È il turno della Tinet di servire. Lo fa con Truocchio. Bertoli però subisce muro 0-1. Muro di Fabi 2-1. Potente la parallela di Lapkov 3-2. Scopelliti tira forte, Ortona non riesce a ricevere 3-3. Katalan ammette un evidente tocco a muro e risparmia lavoro al video-check 7-5. Baldazzi doppio ace 7-8. Spettacolare azione di gioco con Prata che prova e riprova a fermare gli attacchi di Ortona. La Sieco però è attenta in copertura e al terzo tentativo va a segno con Bertoli 9-8. Patriarca sbaglia il servizio 10-9. Sfortunato tocco di Del Vecchio con la palla che gli rimbalza in testa da un muro 10-10. Ace di Petras 10-11. Katalan sbaglia invece il suo turno 12-12. Terpin 12-14. Ancora un servizio vincente di Prata 12-17. Del Vecchio riesce a strappare Alberini dalla linea dei nove metri 13-17. Muro di Scopelliti 13-19. È Alberini a conquistare il set grazie al muro 16-25.

QUARTO SET

Al servizio c’è Dimitrov per la Sieco. La palla è fuori 0-1. Lapkov murato 0-2. Ancora un muro di Alberini 0-3. Fuori il servizio di Bertoli 1-4. Lapkov aggiusta una palla difficilissima 3-5. Patriarca ferma Terpin a muro 5-7. Bertoli buca il muro 6-8. Invasione aerea fischiata a Prata 8-10. Lapkov a muro 9-10. Fuori l’attacco di Terpin 11-11. Quattro tocchi per Prata 12-11. Fuori il servizio di Katalan 13-12. Del Vecchio trova un buon piano di rimbalzo con il muro e la palla va fuori 14-13. La Sieco ricostruisce e finalizza con Bertoli 15-13. Il muro respinge la palla spinta di Bertoli 15-15.  Scopelliti ferma Lapkov a muro e lo irride con una mano all’orecchio. L’arbitro lascia correre 15-16. Bertoli con la diagonale del 16-16. Baldazzi out dai nove metri 19-18. Sulla linea la diagonale di Terpin 20-20. Bomba di Patriarca 21-20. Ancora Patriarca 23-22.  Furi la Pipe di Terpin 24-22. Muro di Lapkov e tre punti alla Sieco.

Coach Nunzio Lanci: «Tanto merito a Lapkov che nel primo set ha trovato una serie importante al servizio. Poi siamo cresciuti molto nel secondo set. Sapevamo che il servizio era un’arma importante della Tinet e nel terzo set questo fondamentale si è fatto vedere. Siamo stati bravi a contenerli nell’ultimo set che è valso la vittoria. Sono tre punti importantissimi ma il cammino è lungo. Di certo oggi abbiamo dimostrato quanto valiamo se giochiamo come sappiamo. Spero che questa prestazione serva a dare a tutti la carica e l’entusiasmo di proseguire il campionato su questi binari»

SIECO SERVICE IMPAVIDA ORTONA – TINET PRATA DI PORDENONE 3-1 (27-25 / 25-17 / 16-25 / 25-22)

Durata Set:  33’ / 29’ / 26’ / 32’

Durata Totale: 2h

Arbitri: Cruccolini Beatrice (Perugia) e Salvati Serena (Roma)

Sieco Service Ortona: Fabi 9, Broccatelli (L) % –% perfetta n.e., Bertoli 12, Benedicenti (L) 80% – 55% perfetta, Del Vecchio 9, Marshall, Patriarca 10, Cantagalli, Falcone n.e., Tognoni n.e., Donatelli n.e., Lapkov 19, Dimitrov 2, Lanci E. n.e. Coach: Lanci N. Vice: Di Pietro L.

Aces: 3  – Errori Al Servizio: 16 – Muri Punto: 10 – Ricezione Positiva:  58% – Attacco:   46%

TINET Prata di Pordenone: Baldazzi 7, Katalan 12, Alberini 4, Aiello (L) n.e., Lucconi 6, Scopelliti 7, De Angelis (L)  83% – 50% perfetta, Pegoraro n.e., Bellanova 1, Terpin 24, Petras 6, Iannacone, Truocchio 2. Coach: Boninfante D. Vice: Papi S.

Aces: 6  – Errori Al Servizio: 19 – Muri Punto:  15 – Ricezione Positiva: 56% – Attacco:  46%




QUELLE NUOVE ENERGIE CHE SERVONO AL SUD

di Michele Rutigliano

Politicainiseme.com, 11 febbraio 2024. Da un po’ di anni a questa parte, ogni volta che la Svimez pubblica il Rapporto annuale sul Mezzogiorno, veniamo puntualmente assaliti dallo sconforto.

Com’è possibile che i giovani, soprattutto laureati e diplomati, vogliono andarsene dal Sud per andare a lavorare al Nord, in Europa, o addirittura in America o in Australia?

Perché, nonostante i miliardi della spesa pubblica, dei fondi comunitari e ora del Pnrr, le città meridionali continuano a spopolarsi e a invecchiare?

E perché i giovani che restano non vogliono metter su famiglia e le coppie non vogliono fare figli?

 Potremmo continuare, così, per ore e ore. Con questa frustrante giaculatoria dei perché e dei percome, senza arrivare ad uno straccio di conclusione. Che non siano poi le solite, farcite di  allarmismi, di grida di dolore o di fosche previsioni per il futuro. Mettiamo da parte, per favore, le continue recriminazioni sull’impotenza o sull’insipienza della politica.

La verità è che non possiamo dare la croce addosso sempre e solo alla politica. Con la politica si può cambiare molto. Ma non possiamo chiederle di risolvere tutto. Nella Storia ci sono tanti altri fattori, diversi dalla politica, che hanno trasformato mentalità, simboli e costumi. Ed è per questo, se vogliamo essere intellettualmente onesti, che non possiamo passare sotto silenzio le responsabilità degli imprenditori, dei sindacati e di tutti quegli attori che a vario titolo rappresentano la cosiddetta società civile.

In poche  parole, se il treno si è fermato e non riparte più, non è che possiamo incolpare gli sventurati passeggeri. I quali, a conti fatti, sono gli unici  a pagare per i ritardi e gli errori delle alte sfere. Per fortuna, anche al Sud la realtà è in costante mutamento. Sta evaporando,  e finalmente, quella mentalità che pretende tutto e subito dallo Stato. Senza nessuna assunzione di responsabilità da parte di chi, in quanto attore, contribuisce alla vita del foro pubblico. Per fortuna, dicevo, sta emergendo anche al Sud un senso civico e  una coscienza critica che guarda in tutte le direzioni. Lo sforzo comune, allora, deve essere indirizzato a contrastare il declino del Mezzogiorno.  Un declino che coinvolge non solo i piccoli comuni ma gran parte delle zone rurali e delle sue aree interne.

Ed ecco allora  prospettarsi  soluzioni diverse. Penso ai benefici che possono arrecare al Mezzogiorno il Terzo settore, l’economia sociale di mercato,  l’economia solidale. E in genere tutto quel sistema economico che gira intorno all’ impresa e all’economia fondata sul cooperativismo e non solo sulla competizione e sul profitto. Attenzione, però! Non sto parlando di un’economia terzomondista o sudamericana. No. Sono due cose diverse. Sto parlando di quel modello economico e produttivo che ha avuto successo in Emilia-Romagna, in Toscana, Lombardia, Veneto, Liguria. In quelle stesse  Regioni  dove il reddito, l’occupazione e il benessere e quindi, più in generale la qualità della vita, vanno al galoppo. Mentre in molti territori meridionali, (non in tutti per fortuna), si procede ancora….  con la camminata veloce.

Vogliamo fare qualche esempio di territorio del Sud dove il Terzo settore potrebbe dare una spinta forte al rilancio dell’economia? Prendiamo la Basilicata. Una Regione che, insieme alla Calabria, oscilla quasi sempre tra il penultimo o, addirittura, l’ultimo posto nelle classifiche nazionali.  Diciamo subito che il terzo settore è presente in Basilicata nei settori dell’assistenza, dell’educazione, della cultura, dell’ambiente, della salute e della solidarietà.  Secondo  gli ultimi dati ufficiali dell’Istat, quelli del 2019,  il terzo settore occupa nella Regione circa 14 mila persone, pari al 4,4 % dell’occupazione totale, con una quota superiore alla media del Mezzogiorno( 3,9 %) e inferiore a quella nazionale (5,1 %). Contribuisce, inoltre, al 3,6 % del valore aggiunto regionale, con una quota in linea con la media del Mezzogiorno e inferiore a quella nazionale (4,4 %).

Anche le cooperative sociali svolgono un ruolo importante. Operano prevalentemente nei servizi sociosanitari, educativi e culturali.  E si caratterizzano per una forte integrazione con il sistema pubblico, da cui dipendono in larga misura per il finanziamento e l’affidamento dei servizi.  Mentre le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale sono molto attive nei settori dello sport, del tempo libero, della cultura e dell’ambiente.

Ci sono prospettive di sviluppo di questo settore in Basilicata?

Certamente. Tra le diverse opportunità ci sono i fondi e le misure previste dal Pnrr che destina 50 milioni di euro per il 2023 a interventi sociali per contrastare la povertà educativa in tutto il Mezzogiorno. Sempre il Pnrr prevede azioni per rafforzare la digitalizzazione, l’innovazione, la sostenibilità e l’inclusione sociale, ambiti nei quali il terzo settore può svolgere un ruolo di protagonista.  Per realizzare quest’obiettivo, però, è necessario che sia sostenuto da politiche pubbliche efficaci e da una maggiore disponibilità di risorse finanziarie. E non dimentichiamo infine quali sono le principali sfide che il Mezzogiorno, e in particolare la Basilicata, dovrà affrontare nel prossimo futuro, per raggiungere uno livello di sviluppo che possa avvicinarsi sempre più a quello delle regioni del Nord.

E allora, la prima sfida per la Basilicata sarà la diversificazione della sua economia. Per creare nuove opportunità di lavoro e stimolare la crescita economica. In secondo luogo, la Regione dovrà attrarre più investimenti industriali per creare posti di lavoro e stimolare l’economia locale. Infine, la nota più dolente di tutte: la mancanza di infrastrutture, in particolare nel settore dei trasporti. Una mancanza che limita la sua capacità  di attrarre investimenti e sviluppare il suo commercio.

Per quanto riguarda, infine, la questione sociale, la Basilicata dovrà concentrare i suoi sforzi nel contrasto all’emigrazione. Dovrà trovare modi e mezzi per trattenere i suoi giovani e porre un argine all’invecchiamento della popolazione, a fronte di un pauroso calo delle nascite. È del tutto evidente allora che, con questi scenari all’orizzonte, il Sud e la Basilicata, avranno sempre più bisogno di nuove energie. Così come la Regione, che tra pochi mesi andrà alle urne, avrà bisogno di una nuova classe dirigente. Per affrontare insieme un altro ciclo della sua storia, possibilmente più dinamico e dignitoso di quello, un po’ deludente, del suo recente passato.




NOI E I DIVERSI: toccare per amare, per prendere cura e per comunicare

Un’autentica pedagogia ci aiuterebbe a collegare continuamente gesti, parole e pensieri, emozioni. Troveremmo così come sanare molte lacerazioni interiori. Diventeremmo così un po’ più sereni e autentici.

Gloobalist, 11 Febbraio 2024. Il Vangelo odierno: In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte (Mc 1,40-45 – VI TO/B).

“Tese la mano, lo toccò“. Non c’è niente di scontato in questo gesto di Gesù. Tradizioni, prescrizioni, pregiudizi bloccavano – e bloccano – anche i più pii nell’andare incontro a un lebbroso. Ma non vale solo per i lebbrosi. Vale per tutti quelli che sono diversi, lontani, stranieri, nel disagio fisico o spirituale. Toccare per essere vicino. Toccare per comunicare. Toccare per aver cura. Toccare per amare. E in questi tempi di individualismo e chiusura crescenti dobbiamo interrogarci molto sul loro significato.

Papa Francesco, nella “Fratelli tutti” dice che per realizzare la fraternità abbiamo bisogno «di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana» (n. 43). Ed esprime una critica severa ai «rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno un’apparenza di socievolezza» (n. 43). Una fraternità di carne e di mente, sani!

Di epoca in epoca, di cultura in cultura, di religione in religione farsi prossimo, vicino, sensibilmente vicino è sempre una fatica. Dovremmo fermarci un po’ a meditare quanto in Gesù la salvezza non è mai solo legata a parole o riferimenti interiori, è anche fisica. Ciò aiuta a non spiritualizzare il messaggio evangelico e, al tempo stesso, ci riporta a considerare quanto Dio opera nella nostra vita, che è sempre realtà corporea, razionale ed emotiva; nessuna dimensione senza l’altra.

Il lebbroso guarito, nel suo corpo-mente-emozioni, non sta nella pelle e disubbidisce. Gesù indica solo un passaggio rituale: presentarsi dal sacerdote e offrire una testimonianza pubblica, comunitaria dell’evento vissuto. “Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto”. Potrebbe d’essere diversamente? Chi ha fatto un’esperienza così piena di incontro può tenerlo per sé? Ciò non vale solo per l’incontro con il Cristo, ma vale per ogni esperienza qualificante o salvifica o piena o coinvolgente, o come dir si voglia.

Il lebbroso fu “toccato” per essere inviato. Le parole vanno accompagnate sempre da i gesti e più profonde sono più hanno bisogno di… tatto! Si dovrebbe pensare continuamente a una educazione dei gesti, a ogni età, in ogni circostanza. Dobbiamo imparare ricollegare parole e gesti, come dice la Arendt, per ritornare a essere autentici, non solo in politica ma in ogni ambiente di vita.

Torniamo a contemplare questa mano di Gesù che si tende per toccare. Pensiamo non solo alla sua spontaneità, ma anche alla fatica dei suoi discepoli nel capirlo e magari imitarlo. Un’autentica pedagogia ci aiuterebbe a collegare continuamente gesti, parole e pensieri, emozioni. Troveremmo così come sanare molte lacerazioni interiori. Diventeremmo così un po’ più sereni e autentici.




DISTRUTTA LA SPIAGGIA DELLA RISERVA BORSACCHIO

Torna il criminale che ha distrutto tutti cartelli informativi e le delimitazioni del Progetto Area del Fratino e Delle dune. Danni per migliaia di euro e reso inospitale l’area a pochi giorni dall’avvio della stagione riproduttiva

Roseto degli Abruzzi, 10 febbraio 2024. Oggi i volontari delle Guide del Borsacchio nel consueto monitoraggio hanno trovato per l’ennesima volta un disastro. Sono stati distrutti i 2 km del progetto area del Fratino e delle Dune, predisposto con delibera 56 del 2\3\20 per salvare le specie protette sul tratto costiero, mitigare effetti dell’erosione e portare segnali informativi ai fruitori della Riserva Borsacchio.

Un progetto che non ha avuto oneri per il comune, pagato, realizzato e mantenuto da anni grazie alle donazioni dei cittadini e con fondi dell’associazione.

Grazie a questo progetto le prime aree di intervento hanno visto un ottimo risultato nel mitigare l’erosione lasciando a frequentatori la porzione più ampia di arenile. Grazie a questo progetto la spiaggia della Riserva è fra le prime in Abruzzo per la Riproduzione del Fratino e sempre grazie a questo impegno ed al monitoraggio costante il nido di tartaruga è stato censito ed individuato il primo giorno di deposizione, per la prima volta in Abruzzo.

Fra la notte di venerdì e la mattina di sabato purtroppo è tornato il criminale che devasta sistematicamente cartelli e delimitazioni. Distrutti decine di pali e cartelli informativi, divelte e rubate centinaia di metri di corda. Un danno di diverse migliaia di euro. Il tutto a ridosso della riapertura della stagione della riproduzione delle specie che parte fra gli ultimi giorni di febbraio ed i primi di marzo.

Ormai riconosciamo le impronte delle scarpe lasciate dal criminale ed abbiamo denunciato decine di volte.

Un vile, un codardo, un criminale che agisce contro la natura e contro il bene comune.

Abbiamo inviato denuncia alle autorità per l’ennesima volta e cercheremo di ripristinare.

Domenica 11 Febbraio alle 15.00 partiremo a sistemare quel che possiamo e invitiamo tutti ad aiutarci venendo in via Makarska alla Rotonda Nord dove sono presenti i Villaggi e Camping. Da lì, entreremo in riserva con carriole , pale e quel che rimedieremo per cercare di . Cercheremo di arrangiarci con quel che abbiamo ma è impensabile ora di acquistare migliaia di euro di pali, cartelli e corde. Stimiamo in 4 anni con oltre 32 atti vandalici denunciati danni per 12.000 euro. Un atto vile che colpisce e mette ancora più in pericolo la natura della Riserva che mai come ora è in pericolo dopo il recente taglio\cancellazione dell’area.

Ogni volta è difficile trovare la forza di ripartire. Ogni volta non sappiamo nemmeno come affrontare tutto. CI sentiamo soli, impotenti. Lanciamo un grido di aiuto agli enti, alle forze dell’ordine , ai cittadini. Fermiamo il criminale o perderemo anche il tratto costiero della Riserva Borsacchio.

Marco Borgatti

Presidente Guide Del Borsacchio -Guardia Ambientale – Direttivo WWF Teramo – Presidente FIAB Roseto




LA RESPONSABILITÀ DELLA POLITICA: RINASCIMENTO O DECADENZA?

di Domenico Galbiati

Politicainsieme.com, 10 febbraio 2024. Viviamo un nuovo “rinascimento” oppure una stagione di decadenza? È difficile dirlo per noi che questo tempo enigmatico, in cui si associano segni contrastanti, lo viviamo e lo vediamo sgranarsi nella cronaca degli eventi quotidiani e, ovviamente, ancora non possiamo distillarne alcun senso compiuto come avverrà solo a suo tempo, in sede storica.

Da un lato, disponiamo di tecnologie che, in fondo, hanno un tratto in comune, come se una mano misteriosa le orientasse a quel fine: rendono più fitti e più intensi, più diretti, ravvicinati ed immediati, più partecipati, più coinvolgenti ed a largo raggio – potenzialmente sconfinati, quasi annullassimo lo spazio, ma anche il tempo, cavalcando a ritroso secoli di storia e di pensiero – i rapporti ed i raffronti tra uomini e culture, soprattutto le relazioni interpersonali.

Come fossimo invitati ad “intensificare” la nostra umanità, come volessimo metterla alla prova, quasi ci sia bisogno di arricchire la coscienza che abbiamo del nostro essere “umani”, per poter reggere la provocazione delle trasformazioni che intravediamo all’orizzonte e di cui pure già sperimentiamo i primi passi. Dall’altro, abbiamo smarrito quella fiducia, illuministica eppure ingenua, nella ragione e nel progresso, che alludeva ad una qualche concezione teleologica della storia, intesa come orientata ad un fine, quindi dotata di un senso, destinato via via a svelarsi e, dunque, rassicurante.

Oggi, al contrario, ci sentiamo smarriti, come fossimo sospesi in un limbo, dentro una vicenda umana incamminata verso approdi impredicibili, spalancata su una contraddizione tanto più problematica, quanto più si amplia la forbice tra potenzialità che fin qui non avevamo mai conosciuto ed incapacità a definire un orizzonte di valori e di traguardi entro cui dirigerle. In un certo senso, si potrebbe dire – ammesso che l’ analogia regga – vale, anche sul piano macroscopico dell’ accadere storico, quel “principio di indeterminazione” che vale nella fisica delle particelle. In altri termini, è la modalità con cui misuriamo il fenomeno osservato a definirne l’ effettiva natura.

Trasferita sul piano sociale, una tale considerazione vorrebbe dire che è in nostro potere – dipende da noi, dallo sguardo con cui accostiamo la realtà, dalla responsabilità che ne assumiamo – decidere, oggi, tra rinascimento e decadenza. Camminiamo su un crinale sottile, verso cui convergono due versanti ed il nostro sguardo, ciò che decide tra l’uno e l’altro, tra regressione e sviluppo, è, in definitiva, la politica. Politica – arte assai più che scienza – che, intesa come capacità di “moderare” la particolarità degli interessi in conflitto per comporli e commisurarli all’interesse generale della comunità, oggi segna il passo. E, in fondo, non c’è da sorprendersi che sia così.

Il “bene comune”, concepito come quell’ opportunità positiva concessa a ciascuno senza detrimento per l’altro, non è facile da costruire, in un mondo competitivo, scosso da troppe tensioni, alla ricerca di nuovi equilibri, intanto che si disfano quelli che, ormai irrimediabilmente, appartengono ad un altro mondo. Senonché, rigenerare la politica, ridarle forma, misura e capacità di sintesi non è questione di poco conto, ma piuttosto un’ opera collettiva di passione civile e di largo coinvolgimento democratico.

Altro che l’”uomo solo al comando”. Le prossime elezioni amministrative, accanto al voto proporzionale delle europee, sono un’occasione preziosa in questa direzione.




CUCINA INCLUSIVA DI CARNEVALE

Un’esperienza unica condotta dai volontari di Erga Omnes per giovani con disturbi del neurosviluppo

Chieti, 10 febbraio 2024. Venerdì 9 febbraio, presso la sede operativa di Erga Omnes, in Via Monte Grappa a Chieti Scalo (ex centro sociale San Martino), si è svolto il Laboratorio di Cucina, una delle attività del Progetto Una Chiave, rivolto a giovani adulti con Disturbi del Neurosviluppo. I volontari e i ragazzi hanno preparato insieme le Chiacchiere di Carnevale.

Nei Disturbi del Neurosviluppo sono inclusi la disabilità intellettiva, i disturbi della comunicazione, il disturbo dello spettro autistico, disturbo da deficit di attenzione e iperattività, il disturbo specifico dell’apprendimento e i disturbi del movimento. Uno degli obiettivi del progetto è quello di creare uno spazio dove i ragazzi si possono relazionare, condividendo obiettivi comuni e incrementare le loro potenzialità e le loro risorse con l’aiuto dei volontari.

É indispensabile far fronte alle difficoltà che i ragazzi possono incontrare e alla solitudine che possono vivere ogni giorno, per tale motivo, Erga Omnes ha pensato di fornire loro un ambiente dove accrescere i loro interessi, le loro passioni e instaurare nuovi legami, favorendo soprattutto una maggiore inclusione sociale. Pertanto, con tale progetto si intende promuovere il benessere e la qualità di vita dei ragazzi con Disturbi del Neurosviluppo e dei loro genitori grazie al sostegno, l’impegno e la passione dei volontari di Erga Omnes, associazione attiva nel territorio dal 2011, in ambito psicologico, sociale e culturale, a supporto delle istituzioni per il bene della cittadinanza, con un occhio di riguardo ai più fragili.




TENZONE BRONZEA 2024

Sulmona capitale dei musici e sbandieratori

Sulmona, 9 febbraio 2024. Torna a Sulmona la Tenzone Bronzea, terza serie dei campionati nazionali di musici e sbandieratori che, il 7 luglio 2024, richiamerà in città circa 500 atleti provenienti da tutta Italia.

Questa mattina, infatti, la Federazione Italiana Sbandieratori ha comunicato ufficialmente le sedi dei campionatati nazionali di musici e sbandieratori per il 2024, e ricevere l’assegnazione per la Tenzone Bronzea è stata Sulmona, con un punteggio di 74.09, precedendo di quasi trenta punti la città di Asti.

Torna, quindi, per la terza volta nel capoluogo peligno un campionato nazionale di musici e sbandieratori, dopo le esperienze del 2011 e del 2022, a dimostrazione non solo di quanto stia crescendo la reputazione e il fascino della città nell’ambito della manifestazione e rievocazioni storiche, ma anche di quanto Sulmona stia entrando sempre più stabilmente nelle città ospitanti di questa tipologia di eventi nazionali. L’evento sarà organizzato dal Borgo San Panfilo, proprio come nel 2011 e nel 2022.

“Siamo estremamente soddisfatti ed onorati – commenta il Capitano del Borgo San Panfilo, Filippo Ficorilli – per l’assegnazione della Tenzone Bronzea 2024. Il Borgo San Panfilo non è nuovo all’organizzazione di questo tipo di eventi, sarà infatti per noi la terza volta, e l’idea che sia stata di nuovo scelta Sulmona, sottolinea l’ottimo lavoro fatto in passato. Ringraziamo la Federazione Italiana Sbandieratori, la Presidente Antonella Palumbo e tutto il Consiglio Direttivo per quest’ulteriore attestazione di fiducia nei nostri confronti.

Un ringraziamento vogliamo rivolgerlo al Comune di Sulmona e alla Giostra Cavalleresca di Sulmona per la collaborazione e per averci concesso il patrocinio. Ed infine, un grazie a tutte le persone che si sono adoperate affinché potessimo vincere il bando di assegnazione.

Adesso inizia il vero lavoro. Non vediamo l’ora di rimboccarci le maniche ed impegnarci al fine di un’ottima riuscita dell’evento. Il nostro obiettivo, come al solito, è quello di lasciare un bel ricordo della manifestazione sia in chi parteciperà che in chi verrà solo ad assistere.

Inoltre, non dimentichiamo, che la Tenzone Bronzea richiamerà in città tantissime persone in un luglio già ricco di eventi collegati alla Giostra Cavalleresca, quindi, senz’altro, può essere considerata una vetrina importante per le bellezze storiche, artistiche, culturali e naturali della città di Sulmona”.




GIORNATA DEL MALATO

Domenica santa messa del vescovo Fusco a S. Francesco di Paola. La vita viene valorizzata e tutelata nella relazione con l’altro

Sulmona, 9 febbraio 2024 – “La vita viene valorizzata e tutelata nella relazione con l’altro”, è quanto dichiara Mons. Michele Fusco, Vescovo di Sulmona-Valva e membro della Commissione Episcopale CEI per la vita, a pochi giorni dalla celebrazione della XXXII Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2024).

“Tutti – ha aggiunto il vescovo Michele – siamo portatori sani di tenerezza, la prima importante forma di medicina e cura per i malati, ai quali desidero far giungere tutta la mia vicinanza e preghiera in questo giorno speciale”.

Mons. Fusco per l’occasione, il prossimo 11 febbraio, alle ore 17:30, celebrerà una S. Messa nella Parrocchia di S. Francesco di Paola a Sulmona per tutti i malati della diocesi. Istituita da S. Giovanni Paolo II per sensibilizzare all’attenzione verso i malati e chi ne ha cura, è proprio per loro che Mons. Fusco ha elevato la sua preghiera, ringraziando in modo speciale gli Operatori sanitari che con grandi sacrifici e amore rendono quotidianamente un servizio nei nostri presidî ospedalierî: perché vivano il loro lavoro come una missione d’amore e di sollecitudine verso il prossimo

“Il Santo Padre Francesco – ha spiegato Mons. Fusco – ci ha invitati, nel suo consueto messaggio, a ricodificare il messaggio Trinitario della nostra fede all’interno della vita, perché «siamo creati per stare insieme… e questo ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria»”.




GRAVI CARENZE AL PTA DI TAGLIACOZZO

Berardinetti (Pd): il personale lavora senza guanti e aghi pungidita

Tagliacozzo, 9 febbraio 2024. “Al Pta di Tagliacozzo mancano guanti, elettrodi e aghi pungidita. Ma nel contempo ci sono pazienti in attesa di un posto letto per l’ospedale di comunità”. A denunciare quanto accade all’Umberto I di Tagliacozzo è Lorenzo Berardinetti, sindaco di Sante Marie, che ha ascoltato la preoccupazione del personale medico sanitario che opera nella struttura sanitaria.

“Il presidio ospedaliero di Tagliacozzo è in una fase agonizzante a causa della carenza delle materie prime per poter lavorare”, ha precisato Berardinetti, “come si può lasciare una struttura sanitaria senza elettrodi per l’Ecg, i guanti monouso, gli aghi pungidito e alcuni farmaci. Addirittura, per diverse settimane il personale ha utilizzato gli ultimi guanti a disposizione XL dovendoli fermare con lo scotch perché erano troppo grandi. Non solo quindi si è deciso di cancellare il codice e di segnare definitivamente la fine dell’Umberto I, ma addirittura si sta lasciando morire giorno dopo giorno senza dotarlo di ciò che serve per operare correttamente”.

Berardinetti, candidato alle prossime elezioni regionali nella lista del Partito democratico a sostegno di Luciano D’Amico presidente, ha precisato che “le richieste per poter ricevere le cure nell’ospedale di comunità sono tantissime, ci sono addirittura le liste d’attesa perché l’assistenza medica – sanitaria è eccellente. Purtroppo, però la professionalità e la disponibilità quotidiana di medici e personale sanitario cozza con gli arredi scadenti, i letti a manovella non elevabili in altezza, le sedie a rotelle senza poggiapiedi, cinghie di sostegno e vassoi servitori, i comodini rotti e le barelle fatiscenti.

Possiamo tollerare tutto questo? Possiamo permettere che sulla carta si decida se una struttura deve continuare a esistere o meno? È inconcepibile che realtà come i reparti di riabilitazione o l’ospedale di comunità debbano lavorare ogni giorno con carenze di questo genere. È inaccettabile, ma nessuno dice nulla e intanto il personale deve tirare fuori di tasca propria i soldi per acquistare i guanti e poter lavorare”.




CERVELLO E CUORE: UN’AMICIZIA SPECIALE

Gli alunni della primaria allo spettacolo della ricerca scientifica

Chieti, 9 febbraio 2024. L’Università degli Studi Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara, da sempre in prima linea nel promuovere l’impatto sociale della ricerca, ha creato un percorso scientifico dedicato alla scuola primaria. Iniziato lo scorso anno con i cinque sensi come strumento conoscitivo del mondo, quest’anno prosegue con un evento sul tema Cervello e cuore: un’amicizia speciale.

Programmato per l’intera giornata del 9 febbraio prossimo, ed organizzato dal Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche (DNISC) della d’Annunzio, diretto dal professor Stefano Sensi. coinvolgerà studenti delle classi quinte della Scuola Primaria di Via Cavour (Istituto Comprensivo Pescara 5). Responsabile scientifico e organizzatore dell’evento è la professoressa Valentina Tomassini, delegato alla Terza Missione del DNISC.

Il percorso formativo teorico-esperienziale fornirà esperienze di funzionamento cerebrale in termini di disfunzione e di adattamento con l’apprendimento e con il recupero dopo danno. Poiché il funzionamento cerebrale dipende dall’efficienza dell’apparato cardiovascolare, il percorso formativo includerà la conoscenza dell’attività cardiaca e permetterà l’acquisizione di abilità di base per il suo sostegno, in caso di alterazione.

L’evento prevede: una introduzione teorico-pratica della struttura e del funzionamento cerebrali, in cui gli studenti avranno l’opportunità di conoscere, sezionandolo, il cervello con il supporto del neurochirurgo, Dott. Gianluca Trevisi; esempi di adattamento cerebrale al danno, attraverso l’incontro con gli atleti paraolimpici guidati dal Direttore Tecnico della nazionale italiana Judo paraolimpico FISPIC, Dott. Silvio Tavoletta; introduzione teorico-pratica dell’attività cardiaca con il cardiologo, Dott. Fabrizio Ricci, con giochi a tema cuore e circolazione sanguigna, sfruttando la piattaforma di dissezione virtuale Anatomage; manovre principali per il mantenimento dell’attività durante arresto cardiaco, con una lezione interattiva con i rianimatori della ASL 2 Abruzzo di Chieti, Dott.ssa Roberta Aquilani e Dott. Herbert Troiano, e certificazione finale di Piccolo Soccorritore di BLSD.

“Si tratta di una esperienza multidisciplinare – spiega la professoressa Valentina Tomassini – ed unica perché sviluppata su un percorso che utilizza degli expertise e approcci didattici innovativi di cui la “d’Annunzio” dispone oltre ad attività che accompagnano alla conoscenza del cervello e del cuore. È un approccio – prosegue la professoressa Tomassini – che richiama le caratteristiche di un’attività museale scientifica in cui il dato esperienziale ha valenza didattica complementare rispetto alla didattica frontale. Va sottolineato il supporto di membri della società con la presenza della squadra paraolimpica di judo (FISPIC), con gli atleti Matilde Lauria, atleta nazionale italiana judo paraolimpica, bronzo ai campionati europei judo e bronzo al Grand Prix di Tokyo, e Dong Dong Camanni, atleta nazionale italiana judo paraolimpica, due volte bronzo ai campionati mondiali e due volte bronzo ai campionati europei e col Direttore Tecnico della nazionale italiana Judo paraolimpico FISPIC Silvio Tavoletta. Infine – conclude la professoressa Tomassini – c’è l’intento di promuovere cittadinanza attiva: parte dell’evento sarà dedicata all’insegnamento delle manovre principali per mantenimento dell’attività durante arresto cardiaco (basic life support) a bambini della scuola primaria. Questo costituisce promuove il senso di responsabilità civica, la consapevolezza dell’altro e dei suoi bisogni, attraverso l’apprendimento di abilità di primo soccorso”

Maurizio Adezio




CHE VIAGGIO FA IL VIRUS WEST NILE?

Una ricerca scientifica condotta dall’IZS di Teramo ricostruisce la strada anche a doppio senso di marcia del virus che può infettare l’uomo attraverso la puntura di comuni zanzare

Teramo, 8 febbraio 2024. Nonostante sia stato isolato quasi 90 anni fa – in Uganda nel 1937 – e sia uno dei virus più diffusi al mondo, solo negli ultimi anni il West Nile Virus (WNV) è entrato nel vocabolario comune, destando interesse presso l’opinione pubblica e una crescente preoccupazione da parte delle autorità sanitarie.

Al centro delle dinamiche di diffusione del virus ci sono uccelli e zanzare: gli uccelli infetti vengono punti dalle zanzare che a loro volta si infettano e possono trasmettere nuovamente il virus ad altri uccelli. Le zanzare che si nutrono del sangue anche di esseri umani, cavalli e altri mammiferi, possono trasmettere il virus anche a loro. Tuttavia, esseri umani, equidi e altri mammiferi sono ospiti accidentali “a fondo cieco”, ovvero non sviluppando concentrazioni elevate di virus nel sangue non possono quindi trasmetterlo ad altre zanzare.

Nella maggior parte dei casi l’infezione nell’uomo è asintomatica. I casi sintomatici si presentano per lo più con manifestazioni leggere riconducibili a una comune influenza, mentre le forme più gravi possono coinvolgere il sistema nervoso in particolare negli anziani o in coloro che hanno un sistema immunitario compromesso.

“In qualità di Centro di Referenza Nazionale per le malattie esotiche degli animali e di Laboratorio di Referenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale per la West Nile da anni monitoriamo e studiamo il virus costantemente – esordisce il DG dell’IZS di Teramo Nicola D’Alterio – “La situazione non deve destare allarmismi, tuttavia i dati del 2023, in calo rispetto al 2022, ci dicono che in Italia sono stati confermati 332 casi di infezione da West Nile virus nell’uomo, di cui 190 con coinvolgimento neurologico. Tra i casi confermati sono stati notificati 27 decessi, tutti nelle regioni del nord Italia. Questi numeri ci obbligano a tenera alta la guardia”.

“Come ricercatori il nostro compito è comprendere le modalità di trasmissione dell’infezione in modo da pianificare interventi preventivi” – conclude D’Alterio – “la prevenzione è un’arma fondamentale perché non esiste un vaccino per proteggere l’uomo dal virus: ad esempio bisogna evitare il più possibile le punture di zanzara tramite l’uso di repellenti cutanei, insetticidi ad uso domestico e soggiornare in ambienti riparati da zanzariere”.

Recentemente sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communications sul virus West Nile i risultati di uno studio condotto dall’IZS di Teramo, in collaborazione con l’Università di Trento, la Fondazione Edmund Mach e l’Istituto Pasteur di Dakar in Senegal. Lo studio ha esplorato le modalità di diffusione del WNV, scoprendo percorsi complessi e inaspettati che legano Africa ed Europa. I ricercatori hanno utilizzato tecniche avanzate di analisi genetica e filogeografica ricostruendo così la dinamica evolutiva dei vari ceppi del virus West Nile nel tempo e nello spazio. La combinazione dei due metodi ha permesso di tracciare le rotte di diffusione del virus, fornendo dettagli sulle sue origini e sulla modalità con cui si è diffuso nel corso del tempo. In particolare, la ricerca si è concentrata sui due principali lineage del virus, L1 e L2, che hanno percorsi e storie evolutive diversi.

In proposito la ricercatrice Giulia Mencattelli, prima autrice dello studio, fa notare che è interessante quanto scoperto in relazione al lineage 1: “Esiste un vero e proprio ‘corridoio’ tra Senegal, Marocco e i Paesi europei del Mediterraneo occidentale come Portogallo, Spagna, Francia e Italia, ma secondo le nostre analisi non è un corridoio a senso unico: avvengono anche incursioni che vanno dall’Europa all’Africa”.

Il responsabile del Laboratorio di Sanità Pubblica dell’IZS di Teramo, Giovanni Savini, coordinatore del gruppo di ricerca, specifica riguardo alle diverse dinamiche evolutive dei due lineages: “Dai risultati ottenuti sembra che L1 si diffonda più efficientemente di L2 sebbene infettino le stesse specie di uccelli e utilizzino gli stessi vettori. La diversa suscettibilità degli uccelli all’infezione rappresenta solo uno dei possibili fattori che hanno determinato queste differenze, sappiamo infatti ancora poco del ruolo delle zanzare come vettori e della loro recettività all’infezione. Questi sono tutti aspetti del ciclo vitale del virus ancora poco conosciuti e che intendiamo esplorare”.

Proprio l’integrazione dei dati genetici virali con informazioni relative ai movimenti degli uccelli migratori e alla suscettibilità all’infezione delle varie specie potrà portare a una comprensione più profonda di come il virus si diffonde, con l’obiettivo di prevedere e quindi mitigare l’impatto delle future epidemie, costituendo un modello di studio anche per altri virus emergenti.




LA PROPAGANDA DELL’OCCIDENTE

Riflessioni su interviste ad uno dei più grandi intellettuali viventi: NOAM CHOMSKY

di Massimo Brundisini

Politicainsieme.com, 8 febbraio 2024. Le seguenti riflessioni sono partite dall’essermi imbattuto, avendo un po’ più di tempo per via dell’influenza, in due interviste dello scorso anno a Noam Chomsky, considerato il più importante intellettuale vivente, una vera e propria superstar, da sempre impegnato sul fronte della ricerca della Pace.

Chomsky ha scritto, sempre lo scorso anno, il libro Autorità Illegittima. È anche famoso per essere, da ebreo e da sempre, il più incalzante critico della politica di Israele, e questo particolare forse riesce a smentire e smontare, una volta per tutte, la ricorrente, falsa e deleteria associazione che viene fatta tra la critica alle politiche di Israele e l’accusa di antisemitismo. Questa ultima considerazione forse può essere anche trasferita all’iniziativa dei più di 800 funzionari, di Stati Uniti e vari paesi europei, che hanno diffuso una lettera pubblica di dissenso contro il sostegno fornito dai propri governi a Israele nella sua disumana e spietata guerra a Gaza, considerandolo una forma di complicità palese che potrebbe avere pesanti ricadute.

In proposito, mi chiedevo, certo un po’ ingenuamente, del perché non riconosciamo lo Stato della Palestina. Penso infatti che possa essere un’esperienza comune quella di vedere in qualche Tg le immagini di un dibattito alle Nazioni Unite dove compare il seggio dello State of Palestine. L’Italia non riconosce lo Stato di Palestina, e si limita ad ipocrite e inutili visite di facciata all’assediato Abu Mazen, che governa sì e no il suo Palazzo Presidenziale (parlare di Autorità Palestinese è ancora ipocrisia e una palese presa in giro), nonché a qualche recente timido accenno critico al problema esiziale degli insediamenti abusivi dei coloni (ben 700000 mila gli occupanti illegali).

Contro questi ultimi si è espresso finalmente anche Biden, che ha addirittura emanato delle sanzioni  a carico di alcuni loro esponenti. Nel frattempo, potenti ruspe spianano di notte il campo profughi di Jenin, appunto in Cisgiordania, già sede di massacri, come mostrato nel programma “In mezz’ora” della RAI. Attaccare campi profughi mi ha sempre evocato per analogia, come immagine, quella di sparare sulla Croce Rossa.

Nella prima di queste interviste illuminanti, allora incentrate più sulla guerra in Ucraina l’intervistatore inizia col dire che Chomsky è l’autore più consultato di tutti i tempi, al pari di Shakespeare e addirittura della Bibbia, e poi fa una domanda riguardo le possibili conseguenze della guerra in Ucraina. Chomsky dice subito che in Ucraina l’occidente ha fatto una terribile scommessa, dal momento che tutti sapevano, da trent’anni, che c’era una linea rossa da non superare, assioma valido per tutti i presidenti russi, da Eltsin a Gorbaciov: l’entrata nella Nato di Georgia e Ucraina.

Non si è voluto trattare, anche quando un accordo era stato raggiunto nel marzo 2022 grazie alla Turchia, e fu Boris Johnson in quel caso a far saltare il tavolo. Nella seconda intervista, Chomsky, con calma olimpica e ferma lucidità, non si fa coinvolgere, come vorrebbe il giornalista del Times (con una dizione davvero invidiabile!), nella critica tout court all’intervento russo, ma anzi afferma che ormai il sud del mondo non si fa più ingannare dalla bolla di propaganda dell’Occidente.

Fa al riguardo un raffronto un po’ cinico tra i circa 10000 civili morti in Ucraina e quelli morti nelle guerre di El Salvador, Libano, ma soprattutto Iraq, forse un milione, si disse allora per difendere gli interessi USA …. a 10000 km di distanza: i soliti due pesi e due misure e quindi niente sanzioni. Ricordiamo per inciso che il PIL russo è cresciuto più di quello dei paesi del G7 (3% nel 2023) e lo stesso farà nel 2024, come si evince da uno schema in fondo a questo articolo, dal titolo inquietante, di Maurizio Blondet (CLICCA QUI). Le sanzioni sono un boomerang e la Germania è in recessione.

Racconta poi che a Baghdad non c’erano a testimoniare giornalisti ed ONG, e che per ricordare la tragica distruzione della bellissima città di Falluja, dove tra l’altro fu usato fosforo bianco, la marina statunitense ha varato una nave con quel nome. Ma anche per quel che riguarda l’occidente è giusto che vengano ben definite le posizioni: quella USA, con interessi propri, culminati con l’obbiettivo che Biden si era riproposto fin dall’inizio del conflitto, la distruzione del Nord Stream 2, che è costata alla Germania, governata da un mollusco (leggasi invertebrato), 12 miliardi di euro e l’attuale grave recessione, e quella Europea, sottomessa e succube a quegli interessi, agli antipodi dai nostri, ma sostenuti con fermo piglio masochistico e autolesionistico.

E all’intervistatore, a dire il vero un po’ sbeffeggiato poi nei commenti degli utenti, che gli chiedeva perché una nazione libera non potesse decidere di aderire alla nato (il minuscolo è voluto, n.d.a.), Chomsky risponde chiedendosi a sua volta cosa potrebbe succedere se Cina e Russia installassero sistemi d’arma avanzati in Messico: la sua risposta è precisa, il Messico sarebbe spazzato via. Dice poi che la nato è molto più aggressiva degli antagonisti, ha invaso ad esempio la Jugoslavia e la Libia (dimenticando forse il Tibet), abbandonando la sua statutaria missione difensiva, ma la cosa sembra non interessare a nessuno. Ripete poi che il Sud del mondo, che si sta accodando in forze ai BRICS, se la ride bellamente quando qualcuno parla di guerra ingiustificata, ritenendo cosa evidente a tutti, e difficilmente confutabile, che la guerra ucraina sia in realtà il seguito, ricercato con puntigliosa determinazione, del conflitto freddo USA-URSS, in realtà mai concluso, in questo caso però portato avanti sacrificando vittime e strutture ucraine e soldi anche nostri.

Purtroppo, a parlare ancora di guerra ingiustificata, e qui so di suscitare reazioni e critiche, è il nostro osannato Presidente, ma l’impressione è che sia rimasto quasi solo lui a farlo apertamente, visti anche i retropensieri della nostra Premier alle prese con buontemponi russi (ma anche del nostro Ministro della Difesa): forse qualcuno dovrebbe avvisarlo della cosa. Mattarella si appella, una volta si e l’altro pure, ai valori europei da difendere in Ucraina, e li conosciamo bene e li apprezziamo tutti, ma il bicchiere è solo pieno per metà: ci si dimentica facilmente dei disvalori, nei quali siamo ugualmente campioni, uno fra tutti il neo-colonialismo. Purtroppo, se ne sta accorgendo a sue spese la Francia, in ritirata strategica dalla fascia sub-sahariana, area per troppi decenni depredata a man bassa e vessata dal signoraggio del franco, come ebbe a denunciare con durezza estrema la Meloni quando era di lotta e non ancora di governo. E comunque moltissimi auguri al Piano Mattei, comunque la si pensi.

Interrogato poi sulla contrapposizione con la Cina, Chomsky mette in guardia dalle provocazioni come quella di posizionare dei B-52 con testate nucleari nella base di Guam, a una distanza dalla Cina a portata di quegli aerei. Come disse tempo fa un politico cinese, la Cina ormai confina con gli Stati Uniti, avendo intorno stati che addirittura si vorrebbe fossero integrati nella nato. Anche noi da buoni sudditi, invieremo una nostra nave nella zona, un’arma micidiale, forse con lo scopo recondito di far morire dal ridere i cinesi: stessa cosa (stessa nave?) faremo con gli Houthi, missione di cui ci hanno subdolamente e furbescamente messi a capo, o forse, meglio, ad eventuale “capro” espiatorio. Spezzeremo le reni agli Houthi? È stato aperto un serio dibattito sulle motivazioni che sono dietro gli attacchi alle navi mercantili (guarda caso tranne quelle cinesi e russe)? La benemerita operazione di aiuto ai bimbi palestinesi bisognosi di cure portati in Italia con la nave Vulcano, si scontra purtroppo con il bombardamento nelle stesse ore di un asilo a Rafah, con due bimbe uccise, che vanno ad aggiungersi alle migliaia di bambini già morti. Ci siamo salvati l’anima? Non è possibile fare di più? Con il bombardamento di Rafah, ultima spiaggia per milioni di profughi, sembra che stia prendendo corpo, a detta di molti, il piano in realtà architettato prima del 7 Ottobre e di cui avevo parlato in due precedenti articoli, per l’espulsione dei Palestinesi da Gaza, e, perché no, dalla CisGiordania. Allego i link nel caso qualche eventuale lettore avesse tempo e voglia di dare un’occhiata.

L’impero USA si muove con meccanismi che sono difficilmente arrestabili, anche considerando il peso politico enorme del complesso militare-industriale (e nonostante un debito monstre di 34000 miliardi di dollari), come denunciato coraggiosamente già nel 1960 dal Presidente Eisenhower, ma la nostra bimillenaria esperienza riguardo gli imperi e la loro caduta ci dovrebbe aprire gli occhi: con più di metà del mondo dichiaratamente ostile, ovvero i BRICS con sempre nuovi aderenti, l’impero è costretto a giocare la carta militare, con il rischio per tutti noi che sia la carta finale della nostra civiltà (o inciviltà). Per Roma il colpo definitivo fu sferrato dai barbari: dopo 2000 anni forse siamo ancora in tempo a far sì che questa volta sia l’Umanità più avanzata a disinnescare l’escalation, e magari a farlo potrebbero essere, per contrappasso positivo, proprio gli eredi dell’Impero Romano.

Dovrebbe essere doveroso ipotizzare soluzioni alternative allo scontro perenne, dagli esiti imprevedibili, che ci impedisce di avere uno sguardo sereno e positivo sulla vita sul nostro bellissimo Pianeta. Ripropongo quindi, sulle orme del visionario Don Sturzo, la creazione del Partito della Pace e della Felicità, con il programma da me accennato in un precedente articolo. Sono nato ottimista, e di solito dopo questa affermazione, spunta sempre qualcuno che dice che bisogna essere realisti, ma sognare non è proibito e non costa nulla, e allora il mio sogno è la nascita di un Partito della Pace e della Felicità sostenuto da una Federazione cristiana di Centro che possa stravincere le elezioni europee.

Noam Chomsky e la “propaganda” dell’Occidente – di Massimo Brundisini – Politica Insieme




IN MONDOVISIONE SU RAI UNO

Santa Messa dall’abbazia di San Giovanni in Venere il 10 Marzo

Fossacesia, 8 febbraio 2024. Il prossimo 10 marzo, in mondovisione, dall’abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia, con collegamento alle ore 11, su RAI UNO verrà trasmessa la Santa Messa. Ad officiare Mons. Bruno Forte, Arcivescovo della Diocesi Chieti-Vasto. Dopo vari tentativi di ottenere la trasmissione della diretta, padre Marcello Pallotta, priore del convento dei Padri Passionisti,  ha ricevuto la tanto attesa notizia. La richiesta di una diretta della Santa Messa, infatti, era stata avanzata in più occasioni e sarà l’occasione di promozione del cenobio benedettino, uno dei più belli d’Italia, e per i fedeli abruzzesi.

Soddisfazione è stata espressa dall’Amministrazione Comunale di Fossacesia. “Sono molto felice in particolare per la comunità religiosa di San Giovanni in Venere, che da circa settant’anni custodisce con grande impegno e generosità l’abbazia, che è luogo di culto e di arte – afferma il sindaco, Enrico Di Giuseppantonio – Sono felice che a celebrare la Messa sia Mons. Forte, al quale tutti ci sentiamo molto legati. Un grazie a tutti i fedeli, al coro e ai volontari della Chiesa di San Giovanni”.  I Padri Passionisti hanno diffuso un invito a tutti i fedeli ad essere presenti nell’abbazia, il prossimo 10 marzo,  alla celebrazione della Santa Messa.




LA STRAGE TRA I SENZA DIMORA

Politicainsieme.com, 7 febbraio 2024. Nel corso del 2023 sono morte in strada 415 persone senza dimora, 16 in più rispetto al 2022. Questi i dati emersi con la “Strage invisibile”, il report annuale  della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora, fio.PSD,

Il rapporto parla di una “tragedia silenziosa” che attraversa tutto il territorio nazionale e che , dal 2020, appare in costante crescita. Il 2023 ha rappresentato, soprattutto nella stagione invernale, uno dei punti più alti di quella che è diventata una vera piaga sociale.

Per quanto riguarda il profilo delle persone decedute, i dati raccolti consentono di ricostruire un profilo socioanagrafico prevalente che indica che le morti in strada interessano soprattutto uomini (93%), persone
di nazionalità straniera (58%), con un’età media di 47,3 anni.

Rispetto alla nazionalità, emerge una significativa prevalenza di persone straniere provenienti da paesi
extraeuropei (44%), in particolare dal Marocco (8%) e dalla Tunisia (4%). I cittadini stranieri di nazionalità
europea, pari al 14%, provengono principalmente dalla Romania (8%). La quota di italiani deceduti pari
complessivamente al 31% aumenta leggermente rispetto allo scorso anno (28%).

Per quanto riguarda l’età del decesso, notiamo che muoiono cittadini di tutte le fasce età dai 16 anni agli
86 anni. Come dicevamo, l’età media dei decessi si attesta a 47,3 anni, maggiore per gli italiani e pari a 55,7,
minore per gli stranieri pari a 42,6. Un dato questo cruciale, se pensiamo che l’età media di morte della
popolazione italiana è di 81,9 anni, che rende tutta la drammaticità delle conseguenze della vita in strada.

La strage tra i senza dimora – Politica Insieme

Seconda copertina (fiopsd.org)




L’UOMO CREATORE DI SÉ STESSO

Alla ricerca di una nuova definizione di Transumanesimo

di Angela Casilli

Quando parliamo di Transumanesimo dobbiamo aver chiaro che stiamo parlando di un’istanza nata con l’uomo. Non è una novità, perché da sempre l’uomo cede alla tentazione di essere come Dio, cioè di superare la condizione di creatura, per essere artefice del proprio destino. Non è un caso che il Manifesto dei Transumanisti italiani auspichi una vera e propria rivoluzione prometeica, dal nome del titano che portò agli uomini il fuoco, inteso come conoscenza, disobbedendo agli dei.

Al di là del mito, si tratta di una corrente di pensiero che, pur avendo radici storiche e filosofiche che risalgono a molti secoli fa, negli ultimi tempi ha trovato terreno fertile in molti ambienti, perché è una corrente di pensiero che si fa portatrice di un nuovo modo di concepire l’uomo, nella sua essenza e nel suo rapporto con il mondo che lo circonda.

Grazie alle recenti scoperte e conoscenze in campo scientifico, gli ambiti sono molti e vanno dalla psicologia, alla nanotecnologia, alla genetica, fino alla intelligenza artificiale, l’uomo può finalmente essere artefice della propria evoluzione e costruire il proprio sé, per migliorare le proprie condizioni di vita, sconfiggere le malattie ereditarie e quelle incurabili e combattere l’invecchiamento.

Tuttavia, sarebbe un errore definire il movimento transumanista, come un movimento monolitico, perché molteplici sono le correnti di pensiero che si richiamano ad esso pur nelle diversità di approccio e di espressione, arrivando persino a considerare l’immortalità dell’uomo, come possibile mediante l’impianto di dispositivi cibernetici sul corpo umano.

Non mancano però pensatori più pragmatici che, preferiscono rimanere ancorati alle conoscenze scientifiche del momento, anche se riconoscono le enormi potenzialità, ad esempio, dell’intelligenza artificiale per migliorare la vita di tutti. Il 2024 sarà l’anno dell’intelligenza artificiale, che diventerà centrale nella vita di milioni di persone pur con gli inevitabili rischi che ogni novità nel campo della ricerca scientifica comporta.

Il movimento transumanista, c’è da esserne certi, si farà nella sua totalità promotore di una assoluta libertà della ricerca scientifica, che potrà così svilupparsi a velocità impensabile fino a poco tempo fa. Il transumanesimo è un pensiero ben lontano dall’essere solo teorico; è, invece, ben radicato in moltissime istituzioni nazionali e sovranazionali e in ampi strati del mondo accademico, e con ricadute concrete sempre più evidenti.

Il 2024 sarà l’anno di un confronto, di uno scontro cruciale per il nostro futuro. Gli autocrati si sentono sempre più forti e le democrazie appaiono intimidite ma, forse, la realtà non è solo questa. Certamente i tempi sono bui, sono tornate le guerre che non sono mai scomparse del tutto, perché quando le dittature e le autocrazie diventano asservite, i conflitti esplodono. C’è, però, anche un mondo che va nella direzione opposta e in gioco sono le numerose e straordinarie positività che abbiamo di fronte, in primis la scienza con il supporto del transumanesimo.




TRE LETTERE INEDITE di G. Finamore a G. Pansa

[Pubblicato in “Rivista Abruzzese” A. XXVI, N.2, 1973 Lanciano, pp.119-122]

di Franco Cercone

Devo alla cortesia della signora Clara Pittoni-Pansa, figlia dell’illustre Sulmonese, la possibilità di pubblicare tre lettere inedite del Finamore a Giovanni Pansa, tratte da un ricco carteggio con insigni personaggi, quali B. Croce, A. D’Ancona, F. Novati, G. Mazzantinti, G. Cocchiara, R. Corso ed altri, che sarebbe stato sicuramente pubblicato dal Pansa se la morte non lo avesse colpito improvvisamente nel 1929. Infatti, sulla cartella che custodisce tale voluminoso carteggio, G. Pansa aveva scritto di proprio pugno: “Da conservare: contiene lettere di illustri e sommi uomini”.

La prima delle tre lettere del Finamore, è datata Gessopalena, 12-7-1885, località dove 1’illustre folklorista si trovava “per le faccende della stagione”, sbrigate le quali si riprometteva di compiere ulteriori ricerche per la sua “raccolta di canti, già ordinata e quasi pronta per la stampa” [1].

La nuova pubblicazione che G. Pansa promette di inviargli è probabilmente il “Saggio di uno studio sul dialetto abruzzese”, edito da R. Carabba nel 1885, poiché l’unico altro scritto del Pansa relativo allo stesso anno, «Carlo V a Napoli», era già apparso ne “La Domenica Letteraria” [2].

La seconda lettera è datata Lanciano, 6-2-l886 e parla delle difficoltà incontrate con l’editore Clausen di Palermo, il quale, stampando un numero limitatissimo di opere, non permette al Finamore di poter inviare ai suoi amici e collaboratori delle copie in omaggio. Pertanto, spera che G. Pansa non mediti “rappresaglia” e lo prega di “continuare a volergli bene”.

La terza lettera è datata Lanciano, 21-1-1899 ed è forse la più interessante. In essa Finamore ringrazia G. Pansa per l’invio dello scritto “La leggenda macabra in Abruzzo” e si congratula per il successo della “Rassegna abruzzese” (rivista diretta da G. Pansa e P. Piccirilli), che tanto onora l’Abruzzo. Ricorda anche all’amico che sulle «Romantische Forschungen» [3], prosegue la pubblicazione dei “Proverbi abruzzesi” che “non senza fatica” ha raccolto per 30 anni ed aggiunge: “Quanto a me, sono entrato in una fase di quiete che, forse, non avrà termine. Sfiduciato dall’esito delle ultime prove, non sogno nemmeno ad altri tentativi…”.

Fra le “ultime prove” che gli hanno procurato non poca amarezza, deve includersi anche 1’aspra polemica avuta con F. Novati, direttore del “Giornale storico della letteratura italiana” in merito ai rapporti letterari tra l’ alta e la bassa Italia durante il periodo delle origini …”, svoltasi proprio sulle pagine della “Rassegna abruzzese” [4]. Ma, a ben guardare, lo stato di sfiducia che spinge il Finamore a ripiegarsi in se stesso, sembra trascendere i motivi occasionali che l’hanno generato e la “fase di quiete, che, forse, non avrà termine”, nasconde ragioni ben più profonde che investono il futuro della scienza del folklore agli inizi del XX secolo. Se la seconda metà dell’800 è caratterizzata da frenetiche indagini dirette alla raccolta di leggende, costumanze, canti e proverbi, già verso la fine del secolo stesso, sotto la spinta del positivismo sociale, che tende sempre più ad accentuare il concetto romantico della storia come manifestazione progressiva dell’Infinito, si afferma l’ esigenza di studi paralleli e comparati capaci di apportare unità alle molteplici manifestazioni dei fatti sociali, poiché “La cultura o civiltà, presa nell’ ampio senso etnografico del termine, è quel complesso che include insieme conoscenza, credenze, arte, morale,  tradizione, e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall’uomo come membro della società” [5]. Ora, pur distinguendosi “per il rigore del metodo che risponde alle esigenze della critica più severa”[6], manca al Finamore la conoscenza profonda di discipline come l’archeologia, la storia delle religioni[7], la numismatica ecc., senza le quali è impossibile pervenire a una comprensione unitaria dei fatti sociali. Le stesse monete, per esempio, “rappresentano un mezzo per mostrare, come da nessun altro documento è possibile, filiazioni e rapporti di popoli e città, e per darci contezza di leggende e credenze caratteristiche di regioni e razze” [8].  A tal riguardo G. Pansa afferma inequivocabilmente che “la numismatica occupa un posto assai importante nella soluzione dei problemi che oggi si agitano intorno alla origine, alle vicende e alle trasmigrazioni dei popoli antichi” [9].

In questo nuovo clima di valutazione e comparazione, in cui l’etnologo, o, se si preferisce, l’antropologo, si sente cittadino dello spazio e del tempo, “un passo innanzi si fa con G. Pansa. Se lo studioso di Lanciano [Finamore] si ferma di tratto in tratto a rilevare ‘quanto di comune abbia la tradizione del popolo abruzzese con quella di altri popoli della Penisola’, quello di Sulmona [Pansa] va oltre. Inserita la tradizione nel grande quadro delle analoghe tradizioni conosciute in Italia, in Europa e talvolta in Asia e Africa, nel mondo antico e nel mondo contemporaneo, egli passa all’ esame dei dati che determinano la differenza. Mediante questo lavoro, arriva a stabilire, da una parte l’origine o la natura magica o mistica di un uso, di una cerimonia, di una leggenda; e dall’ altra a scoprire o mettere in evidenza i caratteri indigeni o esotici di tali manifestazioni popolari” [10].

Ora questi limiti del Finamore che sono, per limitarci all’Abruzzo, anche propri del De Nino, rivelano a ben riflettere una carenza di scuola che impedisce di “orientarsi nella società a chi non abbia ricevuto dalla scienza degli schemi che lo guidino” [11].

Ben diverso è invece l’ambiente di formazione del Pansa. Il collegio «La Quercia» a Firenze, dove il Sulmonese dal 1883 al 1886 studiò legge [12], era diretto dai Barnabiti, che annoveravano tra le loro file valenti umanisti, storici e numismatici in continuo contatto con insigni studiosi, come l’archeologo romano Giovambattista De Rossi, Bruzza, Bellucci e lo stesso Antinescu.  E’ proprio qui che G. Pansa, mentre si forgia autorevolmente nelle singole discipline, apprende il metodo della unità nel molteplice, per cui «attraverso il suo rigore dialettico e la sua mirabile umanità di cultura, il folklore diventa filologia, archeologia, etnografia: scienza e arte insieme» [13].

Evidentemente a uomini come il De Nino e Finamore studiosi isolati e colti all’improvviso dall’appello del Pitrè e De Gubernatis per la raccolta di tutto ciò che fosse ancora presente nella tradizione del popolo abruzzese, non si poteva chiedere di più. Ma ciò non diminuisce affatto il loro

merito e la loro importanza: senza l’opera di questi due studiosi il ricco patrimonio del folklore regionale sarebbe andato irrimediabilmente perduto.

Sei lettere inedite di G. Pansa a G. Finamore.

[Pubblicato in “Rivista Abruzzese” A.XLV, N 4, 1992 Lanciano, pp. 281-286.]

Molti anni fa ebbi l’occasione di pubblicare sulla “Rivista Abruzzese” (n. 2, 1973) tre lettere inedite di G. Finamore a G. Pansa. In quel periodo avevo riordinato la Biblioteca Pansa (su incarico della figlia dell’illustre sulmonese) e soprattutto il fitto carteggio dello studioso con altri letterati italiani e stranieri. Ignoro dove si trovino oggi le altre missive del Finamore al Pansa, dopo l’acquisto della biblioteca da parte della Provincia di Pescara.

Grazie al “fiuto folkloristico” di M. Concetta Nicolai sono in grado ora di sottoporre all’attenzione dei lettori 6 lettere inedite di G. Pansa a G. Finamore. La Nicolai le ha scovate presso l’Archivio Storico del Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari a Roma e poiché coprono un arco di tempo ragguardevole (1889-1918), esse ci dicono che la corrispondenza intercorsa fra i due studiosi deve essere stata copiosa e non limitata solo alle 20 lettere giacenti un tempo presso la biblioteca Pansa di Sulmona.

Ma v’è di più. La Nicolai infatti ha individuato nel suddetto “Archivio Storico” anche alcune lettere del Köhler al Finamore ed esse saranno pubblicate sulla “Rivista Abruzzese” appena decifrate, data la grafia quasi illeggibile del mitologo tedesco. Viene spontaneo chiedersi come mai le 6 lettere del Pansa al Finamore siano finite al Museo delle Arti e delle Tradizioni Popolari di Roma insieme a quelle del Köhler. I rapporti fra i tre sembrano infatti intrecciarsi, poiché in una lettera lo studioso tedesco ci informa di aver inviato al Finamore la versione italiana di un noto canto popolare albanese, cioè La leggenda di Parentina, di cui marginalmente si era interessato anche il Pansa. Di ciò si parlerà tuttavia in occasione della pubblicazione delle lettere del Köhler al Finamore.

Le 6 lettere che appaiono ora sulla “Rivista Abruzzese” costituiscono un ulteriore contributo diretto a focalizzare la complessa personalità del Pansa, di cui ho curato il volume Miti, leggende e superstizioni. Scritti inediti e rari (apparso in una nota Collana diretta da G. Profeta), il saggio Due

discorsi inediti di G. Pansa (Bullettino DASP, 1979) e soprattutto l’indice cronologico degli scritti apparso con il titolo Giovanni Pansa. Vita ed opere, sul Bullettino DASP (an. 1973), dove per mero errore di registrazione è stato omesso il noto lavoro Saggio di uno studio sul dialetto abruzzese (Lanciano 1885), dedicato “All’egregio amico Prof. Antonio De Nino, cultore dotto e solerte delle patrie memorie”.

Circa il contenuto delle 6 lettere che si riportano nel loro testo integrale, bisogna ammettere che esse non apportano contributi innovativi alla conoscenza dei rapporti intercorsi fra il Pansa ed il Finamore, improntati sempre ad una grande stima ed ammirazione. Si può affermare oggi che in un primo momento il Pansa subisce l’influsso del De Nino, come dimostra la dedica apposta al “Saggio” sul dialetto abruzzese in precedenza citato. Siamo nel 1885 ed il Pansa è appena ventenne. Quattro anni dopo, cioè nel 1889, questo giudizio risulta completamente mutato nella prima delle 6 lettere in questione. Il Pansa scrive infatti al Finamore (29-1- 1889) con malcelata allusione al De Nino: “Non mi private dei vostri bei scritti, perché siete dei pochi, anzi l’unico che qui in Abruzzo, letterariamente parlando, faccia qualcosa di serio e di pensato e che rifugga dalle frivolezze cui sono soliti a cascare altri”. Inutile sottolineare che il giudizio del Pansa, mai mutato in seguito, è apparso agli studiosi alquanto frettoloso e contraddittorio. Ma esaminiamo il contenuto della lettera datata 16 marzo 1892, che contiene un particolare gustoso e consono ai nostri tempi. Il Pansa aspira alla nomina di professore di storia “nei Licei del Regno”.  Il D’Ovidio, amico del Finamore, è colui che dovrà vagliare le pubblicazioni del Pansa, che chiede pertanto all’amico lancianese una raccomandazione dalla quale, comunque, non sortirono effetti. Nelle lettere del gennaio ed aprile 1907 il Pansa esprime dei giudizi su alcune monete che il Finamore gli ha inviato in visione e che risultano sotto il profilo numismatico di nessun valore. Si può immaginare pertanto la delusione del Finamore!

Nel testo delle 6 lettere che qui appresso si riportano interamente [14] appaiono di frequente riferimenti a scritti sia del Pansa che del Finamore. Per un loro riscontro si può consultare sia il mio lavoro in precedenza citato, cioè Giovanni Pansa. Vita ed opere, che la “Bibliografia delle principali opere di Gennaro Finamore”, appendice al volume di scritti inediti del Finamore dal titolo: Kryptadia. Racconti erotici, indovinelli, proverbi e canti popolari abruzzesi, a cura di M. Concetta Nicolai (Chieti 1987).


[1] Si tratta dell’opera Tradizioni popolari abruzzesi. Canti, voll. 2, pubblicata infatti l’anno dopo, 1886, per i tipi di R. Carabba.

[2] Anno V, n. 26, Roma, 1885.

[3] Edita, insieme all’ altra rivista “Quellen und Forschungen” dal R. Ist. Prussiano di Roma.

[4] Anno I, num. 3, pagg. 280 e segg.; anno II, n. 4, pag. 103 e segg.

[5] E. B. Tylor, Primitive Culture, pag. 1, in “Storia della sociologia moderna” di G. Duncan Mitchell, pag. 78, Mondadori 1971.

[6] R. Corso, G. Pansa folklorista, datt. presso la Biblioteca Pansa, Sulmona.

[7] Importante, al riguardo, è il carteggio di G. Pansa con lo storico francese Salomon Reinach, autore fra 1’altro di “Orpheus. Histoire gènèrale des Religions” e di “Cultes, mytes et religions”, opere che G. Pansa cita spesso nei suoi scritti.

[8] F. P. Tinozzi, G. Pansa numismatico, R. Università di Napoli, 1929. Datt. presso la Biblioteca Pansa, Sulmona.

[9] G. Pansa, L’influsso della colonizzazione siculo-illirica nella monetazione pesante dell’Umbria e del Piceno, p. 1, Milano, 1914, L. F Cogliati Editore.

[10] R. Corso, op. cit.

[11] M. Horkheimer-Th. W. Adorno, Soziologische Exkurse, 4. Band, pag.167, Frankfurt am Main, 1956.

[12] Nello stesso collegio aveva frequentato anche Ginnasio e Liceo.

[13] A. Corvi, G. Pansa. L’uomo, datt. Presso la Bibl. Pansa, Sulmona.

[14] [n.d.r.: Il testo delle 6 lettere è riportato integralmente in Appendice su “Rivista Abruzzese”. Qui sono riprodotte, in foto, alcune lettere]




A LEZIONE DI EMPATIA E FELICITÀ

Al MIBE studenti per scoprire la ricchezza della diversità

Sulmona, 06 febbraio 2024. Al Liceo Artistico Musicale Coreutico di Pescara, accantonati per un giorno righe e tavole i ragazzi di quattro classi hanno partecipato al Progetto Sentinelle Civiltà e Felicità realizzato dal suo ideatore cav. Claudio Ferrante. In uno dei licei più inclusivi della provincia che conta tra gli iscritti un buon numero di studenti con disabilità, si è portato questo progetto, voluto anche quest’anno dalla Dirigente Raffaella Cocco.

I ragazzi sono stati condotti da Ferrante dapprima ad una seria riflessione su loro stessi, sul proprio vissuto, sulle proprie fortune emotive, fisiche e relazionali per arrivare poi a parlare di disabilità. È stato affrontato e condiviso, anche con l’intervento dell’avv. Mariangela Cilli, segretaria dell’associazione Carrozzine determinate che patrocina il progetto, il concetto di disabilità contenuto nella convenzione ONU dei diritti delle persone con disabilità, sganciato dallo stigma del pregiudizio e della malattia e considerato come una condizione di vita in un ambiente sfavorevole.

“I ragazzi sono stati davvero attenti e incuriositi dal progetto, ci sono stati momenti di assoluto e quasi magico silenzio nell’aula magna. Non sempre a scuola si è in grado di parlare delle proprie emozioni, della propria vita, di come si affrontano i momenti difficili e di mettersi davvero nei panni dell’altro per capire le situazioni che attraversano le persone che incontriamo nella nostra vita. Questo progetto, in cui credo fortemente tanto da averlo proposto in un estratto anche ai miei insegnanti, sarà per i miei studenti molto utile per la loro formazione e per la crescita personale, li aiuterà nel percorso scolastico e di vita. Ringrazio Claudio Ferrante, grande comunicatore, capace di toccare le giuste corde nel cuore e nella testa dei ragazzi. La passeggiata empatica è poi un laboratorio empatico dall’alto valore pedagogico” queste le parole della Dirigente Cocco.

Nella giornata di oggi  i 100 studenti del MIBE sono seduti sulle carrozzine, fornite grazie alla sensibilità e alla collaborazione con l’ortopedia Artes di Montesilvano,  per provare direttamente le sensazioni di chi affronta il percorso cittadino e  vive la propria vita in carrozzina ventiquattr’ore su 24, consapevoli al termine dell’esperienza di poter anche loro, con il loro comportamento, fare la differenza per l’abbattimento delle barriere che ostacolano la libertà delle persone con disabilità.

Claudio Ferrante, Presidente Associazione Carrozzine Determinate




SCUOLA FUTURA

L’IIS Ovidio a Cagliari. Premiata anche la studentessa del liceo classico Annagiulia Ranalli

Sulmona, 06 febbraio 2024. Anche l’IIS Ovidio a Cagliari per la seconda tappa del progetto Scuola Futura, il Campus itinerante del PNRR Istruzione. Studenti e docenti da tutta Italia si sono dati appuntamento in Sardegna, dal 2 al 5 febbraio, durante la settimana delle STEM, per partecipare a laboratori di formazione incentrati sulla didattica digitale.

Protagonisti della bellissima esperienza, che li ha messi in contatto con ragazze, ragazzi insegnanti e scuole di tutta la Penisola, sono stati sei studenti del liceo classico Ovidio delle classi quarte: Niccolò Desiati, Zeno Franciosa Domenico Giampietro, Rossella Mercurio e Asia Santavenere e Annagiulia Ranalli, accompagnati dal professore Carlo Felli.

Docenti e studenti sono stati coinvolti in laboratori didattici, coordinati dalle scuole polo nazionali per lo sviluppo di modelli innovativi di didattica digitale, per la scuola del domani. Si sono svolte attività didattiche sullo sport, il cibo e le nuove tecnologie digitali alle discipline scientifiche e tecnologiche. Uno dei laboratori più coinvolgenti è stato il laboratorio Stem. L’idea vincitrice porta anche la firma del polo liceale Ovidio: della squadra che ha ottenuto il primo posto fa parte, infatti, anche la studentessa del Liceo Classico sulmonese, Annagiulia Ranalli.

Quella di Cagliari è stata un’altra importantissima partecipazione per l’Istituto d’Istruzione superiore cittadino, tra le prime otto scuole polo nazionali per l’implementazione di metodologie didattiche innovative.

Annalisa Civitareale




POMERIGGI POPOLARI A MONTECITORIO

8 febbraio. Pieni di paure: demografia e femminicidio

di Diego Antonio Nesci

Roma, 6 febbraio 2024. Esiste una connessione fra due fenomeni che, a tutta prima, potrebbero apparire non correlati: la questione demografica e il femminicidio. Indagare su questa correlazione, sarà il focus dell’evento organizzato dall’associazione culturale “Parole Guerriere”, che darà l’avvio al nuovo ciclo di incontri del 2024 con il format “Pomeriggi Popolari a Montecitorio”. Si tratta di un dibattito aperto al pubblico ed organizzato dentro la Camera dei deputati l’8 febbraio 2024, inizio previsto alle 17.15. Si partecipa in presenza e per accreditarsi CLICCA QUI.

L’obiettivo è alimentare l’incontro e il dialogo fra intellettuali, politici e popolo. Perché siamo fermamente convinti che sia questa la relazione fondamentale su cui ogni società si gioca la sua evoluzione.

Il panel degli esperti sarà formato da: Stefano Zamagni (economista), Maria Rita Parsi (psicoterapeuta), Chiara Gamberale (scrittrice). Seguirà poi un “tavolo politico” che, a partire dalle diverse sensibilità di provenienza, si confronterà sulla base degli interventi degli esperti che parleranno “dal podio” dell’Aula. A dibattere, sulle ricadute nella società del tema della demografia e del femminicidio, saranno: On. Fabio Rampelli (Vicepresidente Camera dei deputati), On. Anna Ascani (Vicepresidente Camera dei deputati), On. Giuseppe Fioroni (ex ministro Pubblica Istruzione).

Viviamo in un’epoca di profonde sofferenze interiori e di una tragica ricerca dell’identità. La nostra esposizione ad una fragilità inedita accende in noi molteplici paure che bloccano o rendono molto complicate le relazioni. Il tasso negativo di natalità del Paese appare la cartina di tornasole di queste dinamiche. Inoltre, le conseguenze politiche, sociali ed economiche del fenomeno sono immense e troppo spesso sottovalutate. Il femminicidio, poi, pur manifestandosi come fenomeno culturale limite e patologico, ci restituisce la cifra di un problema profondissimo di educazione emotiva, spirituale e civica. Sembra che l’equilibrio fra il maschile e il femminile dentro ognuno di noi, sia messo a dura prova in questo tempo di transizioni epocali in cui siamo immersi.

Questi dibattiti, all’interno di Montecitorio ed aperti alla partecipazione popolare, vogliono dare un contributo al dibattito pubblico e democratico. La politica è la più grande fra le scienze e fra le arti; è anche un aspetto fondamentale della dimensione spirituale umana e culturale di un Paese. Dovrebbe essere un impegno comune quello di contrastare la radicale spoliticizzazione dei cittadini che, privati ormai di valide prospettive interpretative per vivere pienamente il proprio tempo, si sentono sempre meno rappresentati e coinvolti dalla politica e sempre più sfiduciati. Il coraggio di immischiarsi in politica, invece, equivale ad aprirsi all’avventura di innescare processi e non cedere alla rassegnazione di sopravvivere senza partecipare o peggio ancora accontentandosi di occupare degli spazi.

“Pomeriggi popolari a Montecitorio” – 8 febbraio. Pieni di paure: demografia e femminicidio – Politica Insieme




ELEZIONI ABRUZZO 2024

Il 14 febbraio incontro/confronto tra i due candidati alla Presidenza della Regione, Marsilio e D’Amico

Lanciano, 6 febbraio 2024. Incontro/confronto  mercoledì  14 febbraio a  Lanciano, tra il presidente uscente della  Regione Abruzzo  e   il candidato  per  la  seconda  volta, alla  presidenza della Regione per  il centrodestra, Marco Marsilio, e il candidato alla Presidenza della  Regione  per il  centrosinistra,  per  Patto  per  L’Abruzzo  Luciano D’Amico.

Il  dibattito, organizzato  da  Ascom Abruzzo, presieduto da  Angelo  Allegrino, si  svolgerà dalle  ore  17  al  Teatro comunale Fedele  Fenaroli. L’ingresso  per  I cittadini  e  libero. “Siamo  orgogliosi – commenta  Allegrino – di  essere  riusciti ad organizzare quest’evento che  pone al  centro  il  futuro   dell’Abruzzo.




IL 32° PREMIO NAZIONALE BORSELLINO

Il vicecapo della Polizia, il prefetto Vittorio Rizzi: “Seminiamo legalità, i nostri ragazzi sono il futuro”

Teramo, 5 febbraio 2024. Riparte dalla città che lo ha tenuto a battesimo il Premio nazionale Paolo Borsellino, giunto al 32esimo anno di impegno sociale e civile ed organizzato dall’Associazione Società Civile (prima associazione della provincia di Teramo, insieme al Wwf, ad essere riconosciuta meritevole d’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo Settore – vedasi scheda allegata).

Ad illustrare il fitto programma di incontri, spettacoli, iniziative pubbliche e momenti di riflessione, è stato il Prefetto Vittorio Rizzi, vicedirettore generale vicario della Pubblica sicurezza (vicecapo vicario della Polizia di Stato), accolto dalle massime autorità civili locali e regionali, autorità militari e religiose oltre ai rappresentanti del mondo della Scuola, all’interno della corte interna della

Biblioteca Delfico a Teramo.

Al suo fianco, il vicario del Prefetto di Teramo, il dottor Alberto Di Gaetano, il questore Carmine Soriente, il procuratore del tribunale dei minorenni dell’Aquila, David Mancini e l’assessore regionale alle Politiche Sociali e alla Pubblica Istruzione Pietro Quaresimale.

“Abbiamo ancora tanta strada da fare per raggiungere livelli sempre più alti di legalità, ma non bisogna stancarsi di parlare ai nostri ragazzi, a chi deve gestire le insidie di un mondo virtuale con

strumenti concreti che devono richiamare i valori dell’impegno civile”, ha dichiarato Rizzi rivolgendosi ad una rappresentanza di studenti in sala e che lo ha accolto con uno striscione.

Il Premio Borsellino, dopo il ciclo di incontri appena conclusi sulla Giornata della Memoria, porterà

a Teramo il pullman della Polizia Stradale davanti alle Scuole teramane domani, 6 febbraio, mercoledì 7 febbraio e giovedì 8 febbraio nell’ambito del progetto regionale “Abruzzo contro il bullismo” e all’interno della campagna di sensibilizzazione per la legalità (si allega il programma dettagliato delle tre giornate) La cerimonia conclusiva del Premio si svolgerà a fine ottobre, dopo mesi di eventi, spettacoli e incontri incentrati, oltre che sul tema della Shoah e del Bullismo, su Memoria, Ambiente e commemorazione dei caduti delle stragi di Capaci e via D’Amelio




IL PIANO MATTEI…

… buone intenzioni con le gambe corte o propaganda?

di Maurizio Cotta

Politicainsieme.com, 5 febbraio 2024. Ci sono ottime ragioni per mettere a fuoco l’Africa e i suoi problemi. Molti paesi europei (tra i quali anche l’Italia) hanno gravi responsabilità per il periodo coloniale, le condizioni di vita e il rispetto dei diritti umani fondamentali sono gravemente deteriorati in vaste aree del continente, dall’Africa arriva una parte molto rilevante dell’immigrazione irregolare, ma anche molte risorse naturali indispensabili che attirano le attenzioni predatorie delle grandi potenze, e via discorrendo.

In prima battuta la decisione del governo di mettere con il “Piano Mattei” l’Africa ai primi posti della sua agenda è certo da condividere. Ma subito dopo ci si deve chiedere se si tratta di una iniziativa che ha la adeguata serietà che il tema richiede o se si tratta di una bandierina da sventolare. Lasciamo al futuro la risposta, ma rileviamo sin da ora alcuni problemi. Le risorse introdotte (si parla di 5 miliardi, dirottati da altri fondi) appaiono piuttosto esigue. In secondo luogo, ha senso che un piano con simili ambizioni sia una iniziativa nazionale? o non sarebbe meglio farne uno strumento per stimolare una più vigorosa azione di tutta l’Unione Europea e in questo caso il coordinamento con altri paesi (in primis la Francia la cui presenza in Africa non può essere dimenticata) dovrebbe far premio sul protagonismo nazionale?




ZAFFERANO. L’ORO D’ABRUZZO

[Articolo apparso su Il Gambero Rosso (n. 39, 1990 Roma). Pubblicato anche in Franco Cercone: Articoli. Contributi. Spunti. Edizioni Nuova Gutemberg, Lanciano 2021]

Un piccolo fiore violaceo, con al centro tre lunghi fili di color rosso fuoco: il suo nome è croco o zafferano [dall’arabo za’fa-ranj]. La leggenda, tramandata da Ovidio nel­le metamorfosi [IV, 283], narra come il giovane Croco, innamorato della ninfa Smilace, ven­ne trasformato in fiore di zafferano. In realtà questa pianta, originaria dell’Asia centrale, attecchì in molti paesi dell’area Mediterra­nea, e trovò il suo habitat ideale in Italia, in particolare lungo gli altipiani dell’Abruzzo, a Navelli e nella Conca di Sulmona.

E, a detta degli esperti, lo zafferano abruzze­se è il migliore del mondo, di gran lunga supe­riore a quelli prodotti nella penisola iberica o in Turchia, che attualmente   monopolizzano   il mercato mondiale per via del prezzo più competitivo.  Oggi   l’offerta   di zafferano sui mercati mondiali è assorbita pressoché totalmente dal settore gastronomico, ma fino alle soglie dell’età contem­poranea gli impieghi di questa spezia erano ben più vari. Oltre che nell’arte culinaria, infat­ti veniva utilizzata nella preparazione dei profumi, nella farmacopea, e soprattutto nella pre­parazione dei colori e nella tintura di stoffe pregiate. E qui conviene introdurre qualche cenno storico sullo zafferano d’Abruzzo, e sul ruolo cardine che ebbe in passato nell’economia della zona.

Epi­centri storici della coltivazione dello zafferano abruzzese sono la Piana di Navelli e la Conca di Sulmona, distanti tra loro 35 chilometri e geograficamente situate lungo una direttrice nota nel Medioevo come “la via degli Abruzzi”, annoverata tra i gran­di itinerari commerciali, cultu­rali e militari dell’Italia trecente­sca. La via degli Abruzzi, che congiungeva Firenze con Napo­li    attraverso l’Umbria, Rieti, L’Aquila, Sulmona, l’Altopiano delle Cinque Miglia, Castel di Sangro, Venafro e Caserta, era nota in epoca medievale anche come la via della lana, delle stoffe, della seta e soprattutto dello zafferano, assai richiesto sulle piazze europee.  

Di tali scambi commerciali si coglie ampia eco negli Statuti Civitatis Aquilae [sec. XIV], negli Statuti della Bargliva di Sulmona e in numerosi istrumenti della prima metà del XIV secolo conservati negli Archivi di Stato de L’Aquila e di Sul­mona. Il documento più antico relativo al commercio dello zafferano è un diploma di re Ro­berto (D’Angiò), datato marzo 1317, che attesta la condi­zione di privilegio fiscale della quale godevano i mercanti aquilani.

Nel 1343 un diploma emanato dalla regina Gio­vanna I D’Angiò decretò il raddoppio del prezzo all’ingrosso di seta cruda e zafferano, con tutta probabilità in relazione all’aumento della doman­da sui mercati europei.  Si può dare un’idea dell’importanza e del volume degli scambi commerciali che ruotavano attorno alla prezio­sa spezia citando un documento del 17 settembre 1395, conservato presso l’Archivio di Stato di Sulmona. È la prova testimoniale che tal Onofrio di Carnizio, mercante sulmonese, aveva consegnato a ser Jacobello di Giorgio, mercante veneziano, “due fardelli di croco del peso di 200 libbre”, cioè l’equivalente di circa 70 chilogrammi di prodotto: una quantità enorme, se si considera che il raccolto totale per il 1989 nella Piana di Navelli è stato di 80 chilogrammi.

Lo zafferano veniva acquistato per lo più da mercanti veneziani, inviato verso i porti abruzzesi dell’Adriatico e spedito via mare nel­la città di San Marco, principale piazza europea di smistamento del prodotto. Da Venezia, la spezia prendeva in gran parte la via delle Fian­dre, dove era particolarmente richiesta per i suoi impieghi nella tintura della seta e nella pit­tura a tempera, tecnica questa che esigeva co­lori minerali e vegetali, a differenza di quella “a fresco”, per la quale occorrevano colori a base di calce.

Parte dello zafferano finiva ovviamen­te nelle cucine della ricca borghesia europea e delle case regnanti: gli antichi trattati ci tra­mandano molte ricette che ne prevedono l’im­piego. Al contrario, non è ipotizzarle il suo uso nell’alimentazione di sussistenza dei contadini produttori, i quali lo adoperavano per colorare la pasta solo in occasione di determinate ricor­renze. La spezia costituiva una delle poche ri­sorse per entrare in possesso di denaro liquido, indispensabile all’acquisto di sementi e attrezzi agricoli o di altri beni di consumo.

Non a caso nella cucina popolare, soprattutto meridionale, è stato tramandato un solo piatto con largo uso di zafferano, cioè la scapéce [pezzi di pesce razza macerati in botte di legno con aceto e odori vari]. Una curiosità: ancora nel XIX secolo, come leggiamo nel IV volume degli Usi e Costumi Abruzzesi di A. De Nino, “l’applicazione in loco di zafferano in fili” era considerata un efficace analgesico per i dolori mestruali. Nel corso dei secoli la destinazione e gli usi del croco non hanno subito mutamenti sostanziali.

È intorno alla seconda metà del­l’Ottocento, con l’avvento dei colori sintetici, che la situazione cambia radicalmente: dei tra­dizionali impieghi di questa preziosa spezia permane prevalentemente quello gastronomi­co. La domanda sul mercato viene cosi in gran parte a cadere, mentre aumenta la concorren­za di prodotti analoghi, dal basso costo ma dalla qualità decisamente inferiore. Inevitabile conseguenza è stata la decadenza – se non ad­dirittura l’abbandono, come è avvenuto nella Conca di Sulmona – di coltivazioni un tempo fiorentissime. Fortunatamente, in questi ultimi anni si sta assistendo ad una “rinascita” dello zafferano d’Abruzzo: a Sulmona, in particolare, la coltivazione della spezia è ripresa su iniziati­va di alcuni giovani agronomi, decisi a recupe­rare quella che era stata una delle principali ri­sorse del territorio.

Vale la pena a questopunto accennare, sia pure in sintesi, al ciclo di produzione di questa straordinaria pianta dai fioriviolacei. Il Crocus satìvus richiede innanzi tutto un particolare ter­reno, di originealluvionale, drenato e dunque filtrante, perché i bulbi, estremamente sensibili al ristagno idrico, tenderebbero altrimenti a marcire. I limiti altimetrici per l’impianto delle coltivazioni oscillano tra i 350 e gli 800 metri, sicché il rispetto di queste condizioni assicura quella che oggi viene definita una produzione DOC, riconoscimento per il quale i produttori abruzzesi si stanno battendo da tempo. I bulbi vengono annualmente spiantati, selezionati e messi a dimora nella prima decade di settem­bre, in filari semplici oppure a file binate o ter­nate. Dopo appena un mese comincia la fiori­tura. Da ogni bulbo sbocciano più fiori di colore violaceo, i quali in condizioni climatiche otti­mali possono raggiungere il numero di undici. La raccolta comincia all’incirca alla metà di ot­tobre per terminare entro la prima decade di novembre. La tecnica atavica consiste nel separare delicatamente dal resto del fiore gli stig­mi, carichi della preziosa polvere gialla, e farli essiccare con vari metodi vicino a una fonte di calore. Quest’anno, nella piana di Navelli sono stati raccolti circa 80 chilogrammi di prodotto finito, mentre le risorte piantagioni sulmonesi ne hanno resi appena due chilogrammi, desti­nati ad aumentare nel corso dei prossimi anni. Un mondo di molteplici interessi sta quindi nuovamente ruotando intorno all’ oro giallo d’Abruzzo.

Franco Cercone




ELEZIONI EUROPEE: UNA OCCASIONE IMPORTANTE DA NON SPRECARE

di Maurizio Cotta

Politicainsieme.com, 4 febbraio 2024. Tra il 6 e il 9 giugno i cittadini europei (cioè tutti coloro che hanno la cittadinanza di uno dei 27 stati membri dell’Unione Europea e per effetto di questo anche quella europea) potranno votare per l’elezione del Parlamento Europeo (PE). In Italia si voterà il 9 giugno.

La campagna elettorale non è ancora ufficialmente aperta ma è già di fatto in pieno svolgimento e vediamo sotto i nostri occhi le prime mosse dei vari partiti. Per ora in Italia sembra che la questione principale sia se Meloni si

presenterà in tutte le circoscrizioni (per poi ovviamente rinunciare al seggio al PE!), se questo avrà effetti negativi sugli altri partiti della sua coalizione di governo e come andrà la competizione tra PD e M5Stelle. Ma non succede solo in Italia: se guardiamo oltralpe, vediamo che la prospettiva di un risultato poco buono a giugno ha portato il Presidente Macron a indurre le dimissioni del Primo Ministro in carica e a sostituirlo con il giovane Gabriel Attal (anche se le elezioni europee non avranno nessun effetto diretto sul parlamento francese da cui dipende la fiducia al governo).

Gli effetti nazionali dell’elezione europea sembrano dunque prevalere! Per carità, tutto lecito … ma non c’è forse prima di tutto qualcosa di più importante e non strettamente nazionale nelle elezioni europee? Sebbene possa sembrare ovvio, ricordiamoci (e se possibile ricordiamolo ai nostri politici) che queste elezioni sono elezioni europee per un Parlamento europeo!

Partiamo da questo e, lasciando per il momento la cronaca politica nazionale, soffermiamoci invece sul significato di un evento che ha molti aspetti peculiari ai quali si presta troppo poca attenzione. Il primo aspetto da sottolineare è che si tratta di un grande evento democratico, grande proprio nel senso della misura: dopo quello indiano, l’elettorato europeo è il secondo elettorato democratico più grande nel mondo.

I votanti nel 2019 sono stati 198 milioni (su 392 milioni di aventi diritto), a fronte dei 614 milioni in India, dei 158 milioni in USA e in Indonesia (ovviamente escludiamo dal novero l’elettorato cinese che opera in ambiente totalitario e quindi è tutt’altra cosa). E aggiungiamo che questo evento democratico si svolge ormai regolarmente e senza contestazioni ogni cinque anni dal 1979 quando solo nove paesi facevano parte dell’Unione. Si dirà che è un elettorato composito, che mette insieme componenti nazionali, linguistiche, culturali, religiose molto diversificate e che spesso faticano ad intendersi; è certamente vero e tuttavia merita proprio sottolineare il fatto che queste realtà convivono insieme ormai da anni in un quadro giuridico, politico ed economico comune e crescentemente integrato e lo hanno largamente accettato come un “terreno di gioco” condiviso. D’altra parte anche in vari stati nazionali, in Europa e altrove, convivono componenti etniche diversificate e a volte non del tutto pacificate tra loro (basti pensare al Belgio o alla Spagna). Ma soprattutto, se ci guardiamo intorno, anche limitandoci alle regioni confinanti con l’Unione (l’Africa del Nord e il Medio Oriente, oppure gli stati successori dell’ex Unione Sovietica), vediamo che popoli (in qualche caso anche più simili tra loro per religione, lingua e cultura) non convergono in processi elettorali comuni ma sono addirittura impegnati in aspre contese o guerre (per non parlare del fatto che le loro elezioni nazionali sono per lo più eventi non democratici).

Possiamo certo evidenziare i difetti delle elezioni europee (e lo faremo), ma…teniamocele intanto ben strette e usiamole al meglio! Le consultazioni europee che portano tante realtà nazionali diverse a concorrere insieme ad un comune obiettivo – l’elezione di un parlamento nel quale saranno tutte rappresentate – costituiscono di per sé un fattore di grande importanza per la riduzione delle distanze tra i paesi, per mostrare come sia possibile lavorare insieme e quindi costruire e tenere in vita uno spazio di pace in gran parte dell’Europa.

Il secondo punto sul quale soffermarsi è la posta in gioco di queste elezioni. Le elezioni europee, che riproducono il modello istituzionale prevalente nei paesi dell’Unione, sono elezioni parlamentari e non presidenziali; è quindi sul parlamento europeo e il suo ruolo nell’Unione che occorre soffermarsi. Contrariamente a quello che spesso si dice questa istituzione, dopo la sua evoluzione negli ultimi anni, non sfigura affatto nei confronti di gran parte dei suoi omologhi nazionali se pensiamo alle funzioni tipiche di questi – dare legittimità democratica all’esecutivo e controllarlo, partecipare all’attività legislativa, essere un foro fondamentale del dibattito politico.

Quanto al primo punto guardiamo al rapporto tra Parlamento Europeo e Commissione, lasciando per ora da parte il fatto che il governo dell’Unione è una realtà composita nella quale convergono appunto la Commissione, ma anche il Consiglio Europeo (composto dai capi di stato e di governo dei paesi membri) e il Consiglio dell’Unione (composto dei ministri nazionali dei vari dicasteri). In questo campo il modello parlamentare classico (per esempio quello oggi in vigore in Germania o in Italia) è pienamente rispettato. Infatti, dopo la designazione del presidente della Commissione ad opera del Consiglio Europeo (che funziona quindi come una sorta di capo dello stato collettivo e

deve tener conto dei risultati elettorali), l’incaricato si presenta al parlamento per un voto di approvazione, vengono quindi nominati i commissari (poi scrutinati dal PE) e infine tutta la Commissione si sottopone ad un voto di fiducia del PE.

D’altra parte il PE può successivamente esprimere un voto di censura nei confronti della Commissione costringendola a dimettersi. Il Parlamento, nella configurazione partitica che esce dalle elezioni, ha quindi un peso determinante nella definizione dell’orientamento politico di una delle componenti fondamentali del governo europeo. Il pluripartitismo, finora emerso dalle elezioni europee, e la presenza di forze estreme ed euro-critiche sulla sinistra e sulla destra ha favorito il formarsi di larghe coalizioni tra i partiti (Popolari, Liberali e Socialisti) che più convintamente sostengono il processo di integrazione europea.

La partecipazione determinante del PE al processo legislativo comunitario è il secondo elemento caratterizzante di questa istituzione. Dopo il Trattato di Lisbona il PE opera sostanzialmente come una delle due camere di un sistema bicamerale: il PE ha quindi potere di emendamento e di veto su tutta la legislazione ordinaria dell’Unione. Inoltre, partecipa al processo di definizione del bilancio comunitario. Questi processi sono spesso risolti attraverso i cosiddetti “triloghi”, cioè le trattative a tre tra Commissione, Consiglio Europeo e PE. Infine, terzo elemento, il PE è diventato ormai uno dei luoghi principali dove avviene un pubblico e vivace dibattito sulle grandi questioni europee.

Se mettiamo insieme questi elementi (elezioni che consentono la partecipazione democratica del grande bacino dei cittadini europei e accresciuti poteri del PE) e le importanti sfide che l’Europa tutta deve oggi affrontare sul terreno della sicurezza, della competitività mondiale, della transizione ambientale, possiamo ben dire che l’appuntamento del 6-9 giugno offre un’occasione da non sprecare. Una occasione per i politici per presentare ai cittadini le loro idee sull’Europa e per i cittadini per chiedere ai partiti serietà di proposte e non modesti giochetti ad uso politico interno.

Naturalmente ci sono dei problemi. Come molti hanno sottolineato le elezioni europee rimangono in buona misura la somma di 27 elezioni nazionali.

I partiti che si presentano sono partiti nazionali; i candidati sono quasi esclusivamente di provenienza nazionale; i programmi e le campagne elettorali sono fortemente focalizzati su problematiche nazionali. Se pensiamo al nostro caso sembra (almeno per ora) che la questione principale sia l’effetto che potranno avere sugli equilibri della coalizione di governo o su quelli dell’opposizione. La ragione essenziale di questo è che i partiti europei sono ancora entità molto deboli, aggregazioni “leggere” di partiti nazionali che trovano una loro capacità di azione nella istituzione parlamentare piuttosto che nel momento elettorale.

Assomigliano un po’ ai partiti del parlamentarismo ottocentesco di molti paesi europei (Italia compresa). Ma di fronte all’importanza crescente delle sfide che l’Unione Europea deve affrontare unitariamente possiamo prevedere che i partiti europei dovranno presentare sempre più un profilo politico proprio e unitario sulle scelte da offrire agli elettori. E gli elettori possono cominciare a chiedere con forza ai candidati che cosa pensano di fare in Europa.

Maurizio Cotta




LO INSEGNAVA ANCHE GESÙ

Buttare ciò che è quantità e accrescere le qualità

di don Rocco D’Ambrosio

Globalist.it, 4 febbraio 204. Spesso c’è spazio per tante cose nella nostra vita, ma forse poche sono di qualità. Le quantità ci distruggono, solo le qualità ci edificano.

Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo, infatti, sono venuto!».

E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. (Mc 1, 29-39 –  V TO/B).

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Con il Vangelo di domenica e quello di oggi, Marco ci propone una giornata tipo di Gesù, che si svolge a Cafàrnao, di sabato. I cardini di questa giornata sono: insegnare, curare e pregare. Se fossimo dei bambini il primo esercizio da fare sarebbe confrontare la nostra giornata tipo e quella di Gesù. I piccoli – ma non solo loro – farebbero tante domande, forse metterebbero persino in dubbio che sia possibile un paragone. Gesù è Gesù e noi siamo noi: vite, contesti, relazioni e mondi tanto diversi. Eppure, questa giornata tipo ha molto da insegnare, a piccoli e grandi. Anche in giornate in cui siamo chiamati continuamente a rivedere tempi e impegni, considerate le varie limitazioni.

Partirei da una premessa: Gesù fa sostanzialmente tre cose. Noi più di tre, spesso tante, veramente tante. Sono numerose le attività (familiari, professionali, relazionali magari anche ecclesiali, civili, politiche, sociali) che ci assorbono in una nostra giornata tipo. E ci tolgono energie contemporaneamente. Pensieri che passano da un problema all’altro in un battito d’ali; attività che si sovrappongono (digitare al computer, rispondere al telefono, sbrigare faccende pratiche e cosi via. Forse è troppo, ma veramente troppo; specie se si considera che la nostra velocità mentale non è tanto diversa dall’homo sapiens. Direbbero i tecnici che il nostro microprocessore non è tanto più potente del suo. Quindi facciamo troppo, spesso e in poco tempo. Le tre attività di Gesù, nella quantità e qualità, ci aiutano a migliorare la nostra vita? Vediamo un po’.

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Nella quantità. Dovremmo assolutamente selezionare ed eliminare qualcuna delle nostre attività, forse dovremmo seguire una gerarchia di valori e di priorità, altrimenti rischiamo di essere assorbiti e distrutti dalla mole di impegni programmati. E poi c’è il riposo; sacrosanto: spesso dimentichiamo che anche il buon Dio si è riposato dopo la creazione! E noi ci riposiamo? Conosco bene le risposte – perché sono quelle che anch’io esprimo per difendermi: ma non posso dire di no – ho preso impegni – ho delle scadenze – non so dove ridurre… Il criterio per ridurre impegni è: buttare ciò che è “quantità” e accrescere le “qualità”. Forse non fa male ricordarci che la qualità è più importante della quantità. magari riprendendo la riflessione di Bonhoeffer: “Le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda”. Spesso c’è spazio per tante cose nella nostra vita, ma forse poche sono di qualità. Le quantità ci distruggono, solo le qualità ci edificano.

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Nella qualità. Gesù sceglie tre cose di qualità. Le ripeto in un’altra formula: comunicare, aver cura e pregare. Le tre attività le potremmo leggerle anche “economicamente”: servono? accrescono le nostre risorse e quelle altrui? Ci aiutano a investire in qualità più che in quantità? Le potremmo anche leggere in termini di felicità e serenità. Comunicare, aver cura e pregare ci rende più felici e sereni? Ci aiuta a star meglio? Per Gesù è stato così, potrebbe essere anche per noi. Se non l’avessimo già fatto, potremmo provarci: eliminando molto superfluo, il comunicare, l’aver cura e il pregare possono diventare l’asse portante della nostra giornata…




REGALI A STUDENTI MERITEVOLI

Il dono della signora Concetta De Luca

Paglieta, 3 Febbraio 2024. Una storia toccante e ispiratrice, proveniente da Paglieta, viene resa nota oggi dal sindaco, avv. Ernesto Graziani e dal vicesindaco, il dott. Antonio Demattia. La protagonista di questa straordinaria vicenda è la  stimata concittadina, la signora Concetta De Luca, che, in occasione del suo novantesimo compleanno, ha compiuto un gesto di grande altruismo rinunciando ai regali ricevuti e decidendo di donarli al  Comune di Paglieta.

La decisione della signora Concetta di devolvere i regali ricevuti da familiari e amici alle borse di studio per gli studenti meritevoli di Paglieta è stata accolta favorevolmente e  condivisa anche dal figlio, il prof. Michele Di Matteo. Le borse di studio sono state istituite dall’Amministrazione Graziani tre anni fa e rappresentano un fondamentale sostegno per gli studenti locali che si distinguono per il loro impegno e merito accademico.

Il sindaco Graziani ha dichiarato con profonda gratitudine: “Il gesto generoso di questa eccezionale concittadina riflette la vera solidarietà e il senso di comunità che caratterizzano Paglieta. Questo atto di altruismo contribuirà significativamente alla formazione educativa degli studenti locali, dimostrando quanto sia preziosa la connessione tra generazioni nella nostra comunità. La signora Concetta è un esempio luminoso di dedizione al bene comune.”

Il vicesindaco, il dott. Antonio Demattia, ha aggiunto: “La signora Concetta non è nuova a queste attenzioni verso la comunità di Paglieta, in particolare nei confronti dei più giovani. In passato, al taglio della torta per le sue ottanta candeline, aveva già fatto una donazione al nostro Comune. Le borse di studio saranno conferite a conclusione dell’Anno Scolastico 2023/2024 e al termine degli Esami di Stato, suddivise per gli studenti degni di lode per la licenza della scuola primaria, secondaria  di 1° e 2° grado, e saranno intitolate alla nostra concittadina che le ha date in dono.  Oltre a rinnovarle gli auguri, la ringraziamo di cuore per questo nobile gesto che lascerà un’impronta indelebile nella storia della nostra comunità.”

Da parte sua, la signora Concetta ha affermato: “Sono veramente contenta che gli studenti di Paglieta possano ricevere anche con il mio contributo un piccolo, ma comunque importante, stimolo per la loro crescita. Auguro ai vincitori delle borse di studio un futuro ricco di soddisfazioni”.

Si ricorda che l’Amministrazione comunale di Paglieta ha già un regolamento per l’erogazione di borse di studio attraverso i fondi del Bilancio comunale. Questa ulteriore erogazione si andrà ad aggiungere a quella  esistente,  restando divise.




LE SACROSANTE RAGIONI DEL SUD

di Michele Rutigliano

Politicainsieme.com, 3 febbraio 2024. Forse è un po’ prematuro tracciare un bilancio della politica meridionalista di questo Governo. Ma, se il buon giorno si vede dal mattino, a chi ci chiede come stanno effettivamente le cose, potremmo  tranquillamente rispondere (parafrasando Erich Maria Remarque) che non c’è  “Niente di nuovo sul fronte meridionale” .

Se al Sud, contrariamente alle indicazioni del Pnrr, continuano ad essere riservate solo avanzi e briciole , allora non ci resta che proclamare Vincenzo De Luca  unico, vero e autentico “Avvocato del popolo meridionale”.  Lui sì che difende le regioni del Sud, altro che i fratelli, le sorelle o i cognati d’Italia.  Ma quali sono  gli argomenti  su cui sta martellando il Governatore della Campania?  Questa volta, dobbiamo riconoscerlo, non c’entra né il piagnisteo né il mai sopito vittimismo di alcuni politici meridionali che non vogliono mai assumersi la responsabilità dei loro fallimenti.

Questa volta non è così.  Il Presidente della Regione Campania ha ragioni da vendere quando protesta contro le discriminazioni e le umiliazioni che il Governo sta riservando al Mezzogiorno. Dopo aver definito una “Legge Truffa”, quella sull’Autonomia differenziata, De Luca è andato giù ancora più duro. Ha accusato il Governo di centralizzare i fondi europei destinati al Sud, sottraendoli alle amministrazioni locali e affidandoli al Ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, da lui sfidato ad un dibattito pubblico sui dati  forniti e sui criteri utilizzati nella ripartizione dei fondi. Un altro provvedimento, anche questo bersaglio delle sue critiche, è la creazione di una Zes Unica per il Mezzogiorno. Una Zona Economica Speciale che vorrebbe scimmiottare la Cassa per il Mezzogiorno.

Ma non è aria per i tempi che corrono.  Se consideriamo la penuria di risorse e la lentezza nella realizzazione dei progetti previsti nel Pnrr a favore del Sud, con ogni probabilità la Zes Unica andrà a finire su un binario morto.  Ebbene, pur considerando la forte diversità storica, economica e politica del nostro Secondo dopoguerra con il tempo attuale, balza subito agli occhi una cosa. La totale assenza di visione per il Mezzogiorno, oggi più che mai, in preda alla desertificazione industriale, alla denatalità e al progressivo spopolamento delle sue aree interne.  E allora, cosa fa il Governo, per contrastare questo scenario? Fa votare alla sua maggioranza una legge come quella sull’Autonomia differenziata. Un provvedimento molto simile ad una estrema unzione per le regioni più svantaggiate del nostro Paese.

Come sono lontani i tempi della Cassa per il Mezzogiorno. Un Ente che, nei suoi primi vent’anni, operò una vera e propria rivoluzione per il Sud. Vogliamo ricordare ai patrioti quali erano i suoi punti di forza? Innanzitutto, la sua dotazione finanziaria. Ebbe la capacità di attrarre risorse finanziarie sia nazionali che internazionali, sia dallo Stato italiano che da organismi internazionali, c come la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo e la Banca europea per gli investimenti. Tutto questo  permise alla Cassa di disporre di un ampio budget, che raggiunse, nel 1962, il 4,5% del PIL nazionale.

Un secondo punto di forza fu la capacità di innovare la struttura e la funzione dell’amministrazione pubblica. La Cassa fu  un modello di riforma amministrativa che si distinse per la sua autonomia, la sua efficienza, la sua competenza tecnica e la sua visione strategica. Si dotò, inoltre, di una pianificazione degli interventi, basata su studi e analisi scientifiche. Con una programmazione dei complessi organici, ovvero di insiemi coordinati di opere e progetti che miravano a creare poli di sviluppo integrato. In questo modo, esercitò  un ruolo di coordinamento tra i vari ministeri e le regioni interessate, con  una strategia che seppe evitare sovrapposizioni e conflitti di competenza.

Un terzo punto di forza fu la capacità di realizzare opere e progetti di grande rilevanza come strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, acquedotti, centrali elettriche, scuole, ospedali, case popolari.

Senza dimenticare che fu proprio la Cassa a favorire  lo sviluppo economico del Mezzogiorno, attraverso la creazione di aree industriali, la concessione di incentivi fiscali e finanziari, la partecipazione a società miste pubblico-private, la promozione di settori strategici come la siderurgia, la chimica, la meccanica, l’elettronica, la petrolchimica. Così come sostenne  lo sviluppo agricolo e sociale del Sud, attraverso la riforma agraria, la bonifica di aree paludose, la lotta alla malaria, la formazione professionale, la cooperazione e la cultura

Ma la più grande soddisfazione per De Luca e, sia detto per inciso per tutti i meridionali che non vogliono rassegnarsi al lento declino del Sud, non è tanto il risalto e l’eco che sta ottenendo sulla stampa e presso l’opinione pubblica più avveduta. La soddisfazione è  ben altra.  La sua battaglia per difendere le ragioni del Sud risale nientedimeno che ai primi del Novecento. Con le stesse argomentazioni e lo stesso rigore documentale, fu Francesco Saverio Nitti a denunciare lo stato di abbandono in cui si sarebbe trovato il Sud se si fossero  applicati due pesi e due misure nel governo del neonato Regno d’Italia. Andiamo a vedere cosa scrisse Nitti in un suo volumetto, pubblicato a Torino nel 1900, dal titolo “Nord e Sud”, proprio sul tema della ripartizione territoriale delle entrate e delle spese dello Stato. A soli trentadue anni, già docente ordinario di Scienza delle Finanze e Diritto finanziario presso l’Università di Napoli, affrontò il tema del bilancio dello Stato dal 1862 al 1896-97. E subito fece notare l’iniqua ripartizione della Spesa pubblica in Italia. Dall’unità in poi il Mezzogiorno aveva subito un continuo e costante drenaggio di risorse solo per favorire lo sviluppo infrastrutturale e industriale dell’Italia settentrionale.  Confutate, in poche righe, quelle analisi di comodo e superficiali  che tentavano di ridurre a motivazioni antropologiche la natura del divario,  documentò  con  analisi, studi e  statistiche che il divario tra le due aree del paese era diventato così consistente  a  seguito di precise scelte di politiche finanziarie, economiche e doganali.  E contestò duramente  quella tesi  «molto comune […] non solamente radicata nel Nord d’Italia», che il Sud avesse sfruttato il bilancio nazionale.

Era del tutto falso, scriveva Nitti, che i meridionali pagassero meno tasse e meno imposte e conservassero i propri risparmi in maniera improduttiva. Era esattamente il contrario. E fu il solo a documentare come il  Mezzogiorno, fino al 1860, avesse conservato «più grandi risparmi che in quasi tutte le regioni del Nord». Prima delle politiche doganali del 1887, tra il 1880 e il 1888, aggiunse ancora Nitti,  «la ricchezza agraria del Veneto non era superiore a quella della Puglia, e tra Genova e Bari, tra Milano e Napoli era assai minore differenza di sviluppo economico e industriale che ora non sia».

Ma a fine Ottocento, «insieme a una diminuzione nella capacità di consumo», si notavano chiaramente «i sintomi allarmanti dell’arresto del risparmio, dello sviluppo della emigrazione povera, della pigra formazione dell’industria di fronte al bisogno crescente. Tra il 1870 e il 1888 la importanza del Mezzogiorno nella vita sociale ed economica dell’Italia era molto maggiore che oggi non sia».  Quanto sarebbe utile al governo dei sovranisti e dei patrioti ripassare un po’ di storia della questione meridionale.  Dice bene De Luca: al Sud non servono le nozze con i fichi secchi dei tagli, dei rinvii e degli accantonamenti. Servono certezze e coraggio nell’affrontare le sfide. Don Luigi Sturzo sosteneva che la questione del Sud la dovevano risolvere soprattutto i meridionali. E, in larghissima parte, dovrebbe essere così. Ma oggi, in questo rinnovato contesto europeo, da questione economica è diventata soprattutto una questione politica e morale. Ed è in questi termini che andrebbe affrontata. E non con provvedimenti discriminatori e punitivi che, ove mai fossero attuati, sposterebbero indietro di 163 anni l’orologio della nostra Storia.

Michele Rutigliano




GEO IN ABRUZZO

Il documentario Rai Tre martedì prossimo alle 16

Roma, 3 febbraio 2024. Martedì 6 febbraio, dopo le ore 16, durante la puntata di RAI Tre Geo andrà in onda un nuovo documentario di 23 minuti ambientato in Abruzzo con la regia di Diego D’Innocenzo e prodotto da TERRA dal titolo: “Cento erbe d’Abruzzo”.

SINOSSI

Il centerbe è il liquore verde più famoso d’Abruzzo. Fu inventato dai monaci dell’Abbazia di San Clemente a Casauria, vicino a Pescara, nel medioevo, ed è uno dei primi liquori in assoluto della storia italiana. I monaci erano esperti nella preparazione dei medicinali a base di erbe, che raccoglievano sulle montagne della Maiella, e crearono un elisir, con l’aggiunta dell’alcool, come ristoro per i pellegrini di passaggio. Nell’ottocento un farmacista di Tocco a Casauria scoprì la ricetta originaria dell’Abbazia e la trasformò in un liquore di successo. Giovanna, una talentuosa chef proprio di Tocco da Casauria, ci insegna a preparare tre gustosi piatti, un risotto, un secondo di pesce e un dolce, partendo dal prezioso elisir verde, il liquore delle cento erbe d’Abruzzo

 N.B.: la messa in onda potrebbe essere posticipata per eventuali e imprevedibili cambi di palinsesto Rai.

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OGNI SPERANZA NELLE MANI DELL’ETERNO

Torniamo indietro nel tempo, ma non proprio

Torrevecchia Teatina, 2 febbraio 2024. A volte tornano in mente ricordi, fatti ed eventi memorabili: momenti da incorniciare, come foto della propria vita, nella grande sala dei ricordi. Solite circostanze del quotidiano, i soliti saluti incrociando amici e conoscenti ed ecco quelle due o tre parole veloci e secche che si fissano nella mente e che d’improvviso ti risolvono ogni arcano, ogni dubbio e ti sciolgono d’un tratto quell’assillante nodo gordiano.

Il più classico dei commenti di un conoscente sulle note questioni amministrative e politiche del momento:  

“Non ci si capisce più niente. Incredibile… siamo tornati indietro di cinquant’anni!”  

Ecco puntuale ed immediata la risposta di un noto prelato scomparso qualche tempo fa:

“La verità è che siete rimasti fermi. Non siete mai andati avanti!”

Cosa aggiungere a questa chiara, veloce ed inconfutabile analisi con verifica e risposta immediata?  

Nulla di più per un mondo cristallizzato nell’oscuro passato, con i suoi singolari cammini fra tristi simulacri, per svanire nelle più anonime delle conclusioni. Siamo rimasti imprigionati nel passato.

Si possono tentare analisi, ragionamenti per cercare di capire le proprie sciagure, i propri guai, le proprie ansie e tutto il male che ci scoraggia: i fatti sono sempre lì presenti, che si succedono uno dopo l’altro  per sconfessare tutti e tutto.

C’è poco da ragionare quando la ragione è ferma.

Se si è asserviti a quell’ego ossessivo e perverso che condensa solo superbia, invidia e tradimento, rimangono poche possibilità di salvezza. Per chi vuole tentare il cammino è duro sicuramente, intanto bisogna svegliarsi.

Cercare, poi, di rimettere in moto la propria ragione intorpidita per capire, almeno, dove ci si trova ed affrontare in coscienza il male, il malessere con tutte le sue derivazioni; dunque, cercare di trovare i giusti strumenti del buon senso per abbattere questo maledetto male e distruggerlo fin nei più insignificanti ma nocivi residui, per rinascere, infine, nella piena bellezza. Tutto questo solo se connessi con la volontà.

Se il noto prelato, alla fine, anche lui abbandonò l’ultimo dei tentativi scuotendo la polvere sotto i suoi piedi, le possibilità di rinascita, a questo punto, non possono essere riservate che all’Eterno.

[Nelle Sue mani ogni nostra speranza].

nm




IL DISAGIO DEI CATTOLICI SENZA CASA

di Domenico Galbiati

Politicainsieme.com, 2 febbraio 2024. Il dibattito relativo al ruolo politico dei cattolici, nell’attuale contesto bipolare, sembra un fiume carsico, che, per quanto scorra ininterrottamente negli strati profondi del nostro sistema politico-istituzionale, solo quando, qua e là, irrompere in superficie, giunge all’ evidenza del discorso pubblico.

Poiché questo succede con frequenza crescente, l’impressione è che tutto ciò non derivi da un’istanza pretestuosa che i cattolici vorrebbero avanzare in ossequio alla loro storia. Bensì segnali una condizione oggettiva, una domanda diffusa, mossa da una carenza di cultura politica che molti avvertono la necessità e l’urgenza di colmare, ben al di là dello stesso mondo cattolico. In altri termini, il venir meno di una presenza politica che si rifaccia alla cultura liberal-democratica e popolare del movimento cattolico è un vulnus per il nostro Paese, prima e più di quanto non sia un problema per i cattolici come tali.

A maggior ragione, infatti, nell’era della complessità, la moderazione purché intesa non come atteggiamento accomodatizio e compiacente, bensì come severo senso della misura – può esprime addirittura una sorta di potenziale rivoluzionario, cioè la capacità di orientare quei processi di trasformazione che, se non guidati, avvengono comunque, di per sé ed a nostro dispetto. Ma su questo torneremo un’altra volta.

Intanto, va detto che il disagio dei cattolici che militano nel PD, di cui parla Pierluigi Castagnetti in una recente intervista, il senso incompiuto, sempre del Partito Democratico, cui accenna Stefano Folli su Repubblica, i cattolici senza casa di cui scrive Antonio Polito sul Corriere, rientrano, in un certo qual modo, in questo ordine di considerazioni. Peraltro, se si intendesse avanzare su un terreno impervio ed esplorare le possibili forme di una presenza politica rinnovata, che sia in grado di leggere ed interpretare i tempi nuovi in cui ci stiamo inoltrando, secondo una concezione cristiana dell’ uomo, della vita e della storia, sarebbe necessario, anzitutto, tenere fermi alcuni punti cardinali. In carenza dei quali, come succede da troppo tempo, ci si muove in tondo e non si riesce ad intraprendere un nuovo cammino.

In primo luogo, la consapevolezza che la Democrazia Cristiana è stata una singolarità della storia, cioè un evento unico ed irripetibile, pertinente al suo momento e, dunque, necessariamente contingente, per cui il riassorbimento della cosiddetta diaspora lascia il tempo che trova e, di fatto, non porta da nessuna parte.

In secondo luogo, è necessario riconoscere come il pluralismo delle opzioni politiche dei cattolici sia ormai un fatto acquisito ed irreversibile, che, d’altra parte, non va considerato una dissipazione, ma addirittura un arricchimento, nella misura in cui attesta come i cattolici sappiano esercitare la loro personale autonomia di giudizio e, quando accostano la politica, non si lascino irretiti in una postura ideologica.

In terzo luogo, la convinzione che la cultura politica del cattolicesimo democratico e popolare – in quanto, appunto, non ha nulla di ideologico – per sua natura, per la stessa impronta personalista che la caratterizza, è in grado di accostare gli eventi della storia in modo aperto, mantenendo fermi i principi, gli assiomi etici, culturali ed ideali da cui prende le mosse ed apprendendo, nel contempo, induttivamente dal contatto vivo con la realtà. Per questo, è una cultura che non si esaurisce nelle forme contingenti, cui da’ vita nei differenti frangenti storici che è chiamata ad attraversare – dal PPI di Sturzo alla DC di De Gasperi e Moro – ma li trascende e dura nel tempo, pronta a reinterpretare nuove fasi della vicenda umana.

Infine, è tempo che i cattolici superino quella barriera sottile, eppure troppe volte impenetrabile, che separa il cosiddetto ambito pre-politico da un impegno espressamente politico, osando anche una nuova forma partitica che va, ovviamente, ripensata a fondo.

Questo è il passo che, con la sua forza esigua e nella piena consapevolezza dei suoi limiti, INSIEME ha voluto emblematicamente compiere, evocando un’autonomia di elaborazione culturale, prima che di schieramento, in un contesto che ci vede alternativi alla sinistra, addirittura schiettamente antitetici alla Meloni ed a Salvini. Del resto – e qui sta il vero nodo della questione – il nostro Paese non ha bisogno di un “partito cattolico”. Ha bisogno di una forza politica di ispirazione cristiana, che è tutt’altra cosa, nella misura in cui deve saper dire e declinare sul piano dell’ azione politica, con linguaggio nuovo ed argomenti pertinenti, a chi viene da altre culture, l’intrinseco valore umano e civile dei valori in cui crediamo. Così da renderli comprensibili, accessibili e fors’anche accattivanti anche per coloro che della vita e della dignità della persona hanno un concetto dissimile dal nostro.

Sturzo e De Gasperi, per quanto fossero a capo di partiti laici ed aconfessionali, nelle condizioni storiche date, necessariamente trovavano nei cattolici il loro riferimento più immediato. Oggi le cose stanno in altro modo.

Votino pure i cattolici come liberamente ritengono – cosa, peraltro, che hanno sempre fatto – ma ciò non lede la legittimità di riproporre agli italiani una visione ed una prospettiva che si rifaccia ai valori che ritroviamo congiuntamente nella Costituzione della Repubblica e nella Dottrina Sociale della Chiesa.